💢Quando il soggetto si consuma nell'ideale di essere sempre attivo
Nel mondo contemporaneo, la connessione è diventata una condizione continua. Lavoriamo online, comunichiamo online, costruiamo la nostra immagine sui social, riceviamo notifiche anche mentre dormiamo. Questa iperconnessione, più che un’opportunità, si configura sempre più come un imperativo: essere raggiungibili, pronti, aggiornati, performanti.
🔄 Prestare, produrre, postare
Nel lavoro, la reperibilità si è trasformata in un dovere silenzioso. Si risponde alle mail a tarda sera, si è sempre “sul pezzo”, si dimostra di esserci, anche quando non si è più davvero lì. Anche la sfera personale risente di questa logica: si pubblica per mostrarsi attivi, felici, presenti. Ma tutto questo rischia di diventare un circuito chiuso: si esiste solo se si produce, se si appare, se si dimostra qualcosa.
La pressione alla performance non riguarda più solo il lavoro, ma ogni dimensione dell’esperienza. Ogni tempo è tempo da ottimizzare. Ogni gesto è leggibile come un contenuto. L’inazione, la pausa, il silenzio diventano sospetti.
🧠 Cosa succede al soggetto
Questa modalità continua di esposizione e prestazione ha un prezzo psichico. Spesso emergono:
- uno stato di allerta cronica, con ansia e difficoltà a “staccare”;
- vissuti di inadeguatezza, confrontandosi con modelli irrealistici;
- una crescente difficoltà a desiderare, cioè a distinguere ciò che si vuole da ciò che si dovrebbe volere.
In termini psicoanalitici, il soggetto rischia di essere interamente asservito al godimento dell’Altro, cioè al circuito di aspettative e visibilità che lo cattura, senza spazio per elaborare la propria mancanza.
👩💻 Un esempio clinico
X. è una libera professionista nel settore creativo. Cura il suo sito, pubblica sui social, risponde a ogni messaggio dei clienti in tempi rapidissimi. All’apparenza è organizzata, ma racconta un senso crescente di esaurimento. Quando prova a prendersi una pausa, avverte un’inquietudine profonda. Dice: “Non so più se sto lavorando o se sto solo cercando di non deludere nessuno. Anche il tempo libero mi sembra lavoro, solo che non lo riconosco come tale”.
🔎 Un riferimento lacaniano
Lacan, nel suo discorso del capitalista, ha messo a fuoco un tipo di legame sociale in cui il soggetto è preso in una catena di consumo e produzione continua, dove la mancanza non ha più posto. Ogni oggetto è lì per colmare, per soddisfare, per funzionare. Ma se non c’è mancanza, non può esserci nemmeno desiderio.
Tuttavia, Lacan non contrappone semplicemente desiderio e Altro. Al contrario: “Il desiderio è il desiderio dell’Altro” (Seminario XI). Il desiderio nasce nell’Altro, si struttura nel linguaggio, si articola nel campo della domanda. Ma non si esaurisce in ciò che l’Altro chiede: emerge nello scarto, nel resto che sfugge alla domanda dell’Altro, in quel vuoto che la prestazione cerca costantemente di negare.
🧭 Spunto conclusivo: dare tempo alla mancanza
In una cultura che premia la velocità e misura il valore attraverso la visibilità, sottrarsi può essere un atto etico. Non per fuggire dall’Altro, ma per riaprire un tempo diverso: non solo funzionale, non solo occupato, ma abitato.
Disconnettersi non è rifiutare il legame, ma introdurre un limite: al godimento, alla domanda, alla prestazione continua. È in questo tempo ritrovato che può affacciarsi un desiderio proprio, un tempo soggettivo che non sia solo il riflesso dell’Altro.