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lunedì 28 aprile 2025

Il reale del corpo nell’arte di Tracey Emin

 

Tracey Emin 1


L’arte di Tracey Emin in mostra a Palazzo Strozzi, Firenze (marzo-luglio 2025), dal titolo Sex and Solitude si distingue per un’esposizione diretta e senza mediazioni della dimensione più vulnerabile dell’esistenza.
Attraverso il corpo, Emin esplora il Reale: ciò che resiste al linguaggio, che si manifesta come trauma, mancanza, memoria incisa nella carne.

Non si tratta di raccontare il corpo idealizzato o celebrato, ma il corpo segnato dall’esperienza, capace di testimoniare ciò che sfugge alle rappresentazioni comuni.

1. Gli anni ’90: il trauma come materia artistica

Negli anni ’90, Emin porta sulla scena artistica temi personali e dolorosi, senza alcuna preoccupazione per il pudore o la convenzione.
Opere come Everyone I Have Ever Slept With (1995), Why I Never Became a Dancer (1995) e My Bed (1998) presentano il corpo come spazio reale del trauma e della disgregazione.

La confessione, il disordine, l’esposizione delle ferite non sono teatralizzazioni, ma presenze che infrangono ogni distanza estetica.
Qui il Reale si impone nella sua forma più cruda, al di là di ogni tentativo di sublimazione.

2. Gli anni 2000: la memoria come traccia del Reale

Nel decennio successivo, il linguaggio di Emin si fa più essenziale.
Nei disegni, nei dipinti e nelle installazioni più mature, il corpo si racconta attraverso segni minimi, frammenti di memoria che emergono quasi in punta di piedi.

In opere come Self-Portrait: Bath (2005) e The Last Great Adventure is You (2014), la dimensione traumatica non scompare, ma si trasforma in traccia, in presenza silenziosa.
Il Reale non viene rimosso, ma accolto nei suoi resti, nelle sue iscrizioni più sottili.

3. Gli anni recenti: l’esperienza della perdita

Negli anni più recenti, Emin affronta il tema della perdita in modo ancora più essenziale.
The Mother (2017-2022) e I Want My Time With You (2018) testimoniano un rapporto con il corpo che non cerca più di reagire o di esporsi, ma piuttosto di abitare la mancanza.

La maternità mancata, il tempo che passa, le separazioni: tutto si condensa in opere che non gridano, ma che lasciano emergere una presenza fragile e persistente.

Il Reale qui non è più l’urgenza del trauma: è l’accettazione della mancanza come parte inevitabile dell’esperienza umana.

Il corpo come luogo del Reale

Il percorso di Tracey Emin mostra come l’arte possa essere uno spazio per attraversare il Reale senza negarlo.
Dal trauma alla memoria, dalla ferita alla perdita, il corpo resta il luogo privilegiato in cui ciò che resiste al linguaggio può manifestarsi.

La sua opera invita a riconoscere che la fragilità, lungi dall’essere un limite, è una delle forme più autentiche di presenza nel mondo.


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