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domenica 23 marzo 2025

Metafisica Occidentale e Risignificazione Psicoanalitica





La metafisica subordinativa occidentale è il frutto di una lunga tradizione filosofica che ha cercato di risolvere, rappresentare e ordinare la realtà attraverso un principio che subordinasse l'individuo o il mondo a un ordine superiore, trascendente, razionale o simbolico. Nel corso della storia della filosofia, questa subordinazione ha assunto forme diverse, ma ha sempre implicato una limitazione del soggetto e della sua libertà in favore di un ordine più ampio. In questo percorso, la metafisica occidentale si è confrontata con il Reale e con il resto (ciò che sfugge all’ordine simbolico), e questo confronto diventa centrale nella risignificazione psicoanalitica proposta da Lacan.

1. Le Origini: I Presocratici e Platone

Nei Presocratici, la subordinazione si manifesta nel tentativo di identificare un principio unico e universale che regolasse l'universo. Per Eraclito, questo principio era il Logos, una legge che subordinava l'intero flusso di eventi, creando un ordine. Ma c’era anche un altro aspetto, legato al resto: l’idea che il Logos potesse essere inaccessibile o parzialmente comprensibile. Anche per Parmeneide, la realtà è subordinata a un principio dell’essere che rifiuta la molteplicità, ma il suo pensiero lascia intendere un resto: l’impossibilità di pensare pienamente l'essere e il non-essere.

In Platone, la subordinazione è legata all'idea delle Idee. Il mondo sensibile è subordinato al mondo delle Idee, ma le Idee sono incompletable, ci sfuggono, lasciando dietro di sé un vuoto o un resto. Platone non può rendere completa la conoscenza del mondo delle Idee e lascia un aspetto inaccessibile, qualcosa che non può essere pensato. Questa tensione tra il principio subordinato e il resto diventa un tema ricorrente.

2. Aristotele: Subordinazione e Finalismo

Per Aristotele, la subordinazione si configura in termini di causa finale. L’universo è subordinato a un fine naturale e ogni ente ha una funzione in un ordine teleologico. Ma anche qui emerge il resto: la molteplicità della realtà non può essere completamente ridotta a un principio finale e la percezione dell’ordine stesso lascia spazio a quello che non può essere compreso del tutto. La causa finale rimane, in certo senso, impenetrabile e sfuggente.

3. Il Medioevo: Subordinazione al Divino

Nel pensiero medievale, la subordinazione raggiunge la sua espressione più forte con l’affermazione di un ordine divino che governa il mondo. Tommaso d’Aquino afferma che l’uomo è subordinato alla volontà divina e al disegno divino. L’uomo, il mondo e l’universo sono subordinati all’essere di Dio. Tuttavia, in questo schema esiste sempre qualcosa che rimane incomprensibile o misterioso: il resto. Il mistero di Dio, la sua volontà, è sempre al di là della comprensione umana, creando una tensione tra ciò che è conoscibile e ciò che sfugge.

4. La Modernità: Razionalità e Limiti della Conoscenza

Con la modernità, la subordinazione si sposta dalla sfera teologica a quella razionale. In Cartesio, l’individuo è subordinato alla ragione come fondamento della conoscenza certa. La ragione è il criterio che permette di risolvere l’incertezza. Tuttavia, anche per Cartesio, vi è un resto: il dubbio cartesiano, la consapevolezza che non è possibile afferrare tutto con certezza, ma solo quella porzione di realtà che la ragione può chiaramente percepire. Il Reale rimane una parte sconosciuta, esterna alla ragione.

Nel pensiero di Kant, la subordinazione del soggetto si manifesta nelle strutture a priori che filtrano la realtà. L'uomo è subordinato a categorie che organizzano l'esperienza, ma il Reale (il noumeno) resta al di fuori del nostro accesso diretto, irraggiungibile, e rappresenta proprio il resto che sfugge al nostro sistema di conoscenza. Per Kant, il soggetto è sempre limitato e subordinato a un sistema di rappresentazioni che non può mai completamente cogliere la realtà in sé.

5. Filosofia Contemporanea: Il Linguaggio e la Subordinazione al Simbolico

Nel pensiero contemporaneo, il linguaggio e il simbolico diventano il luogo della subordinazione. Heidegger pone l’accento sul fatto che l'uomo è subordinato al linguaggio e al tempo. Il linguaggio non è un semplice strumento del pensiero, ma lo struttura e lo limita. Anche il rapporto con l’essere è subordinato a una rivelazione frammentaria e storica che non consente una comprensione totale. In questo quadro, il Reale resta fuori dalla nostra portata, come un "essere" che non può mai essere completamente afferrato dal soggetto umano.

Nietzsche rovescia il concetto di subordinazione: l’individuo deve rompere con ogni tipo di ordine trascendente o razionale, in un atto di affermazione della propria volontà di potenza. Tuttavia, la volontà di potenza non è mai totalmente libera; è sempre subordinata a conflitti, desideri e tensioni. Il Reale in Nietzsche è la lotta per il potere, un potere che sfugge sempre alla completa realizzazione, rimanendo in una costante dialettica di affermazione e negazione.

6. Lacan: Subordinazione al Significante e al Linguaggio

In Lacan, la metafisica subordinativa prende una forma radicalmente nuova. Il soggetto è subordinato al linguaggio e ai significanti che lo costituiscono. Il S1 (significante padrone) diventa il concetto centrale: l’individuo è sempre sotto il dominio di un significante che precede la sua esperienza e lo struttura, dando forma al suo inconscio. La subordinazione lacaniana non riguarda solo un principio ontologico o razionale, ma è un effetto della relazione simbolica in cui il soggetto è intrappolato. Il Reale, per Lacan, è ciò che sfugge a questa simbolizzazione: è l’aspetto del mondo che non può essere interamente ridotto al linguaggio o al significante.

Il resto per Lacan è ciò che non può essere detto, ciò che il linguaggio non può esprimere, ma che comunque si manifesta nel desiderio, nei sintomi e nelle lacune del significante. Il soggetto è sempre intrappolato tra il simbolico (ciò che è rappresentabile) e il Reale (ciò che sfugge), e la sua esistenza è definita proprio da questa tensione tra ciò che può essere detto e ciò che resta taciuto, tra il simbolico e l’impossibile.

7. Conclusioni: Persistenza della Subordinazione e Il Reale

Nel corso della storia della filosofia, la subordinazione è sempre stata una parte integrante del modo in cui l’uomo ha cercato di comprendere e orientarsi nel mondo. Se la metafisica occidentale ha cercato di subordinare l’individuo e la realtà a principi trascendenti, razionali o simbolici, il pensiero contemporaneo e la psicoanalisi lacaniana rivelano che questa subordinazione non è mai completa. Il Reale sfugge sempre alla totalizzazione simbolica e lascia un resto che non può essere ridotto a un ordine razionale o linguistico.

La metafisica subordinativa occidentale, quindi, può essere vista come la storia di un tentativo costante di fare i conti con il Reale senza abolire il principio subordinativo, ma riconoscendo che esiste sempre una parte di realtà che rimane fuori dalla nostra portata, un resto che non possiamo simbolizzare o rappresentare completamente.

Bibliografia:

  1. Platone, La Repubblica.
  2. Aristotele, Metafisica.
  3. Tommaso d'Aquino, Somma Teologica.
  4. René Descartes, Meditazioni metafisiche.
  5. Immanuel Kant, Critica della ragion pura.
  6. Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello spirito.
  7. Martin Heidegger, Essere e tempo.
  8. Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra.
  9. Jacques Lacan, Écrits.
  10. Panayotis Kantzas, Il Seminario permanente. "La polis senza Creonte e senza Antigone. La politica senza Legge e senza Desiderio" 2012-2017

lunedì 17 marzo 2025

Risignificazione Psicoanalitica Cultura Cattolica




Il cattolicesimo, oltre a essere un sistema di credenze, può essere inteso come un dispositivo simbolico che ordina il desiderio e regola il rapporto con la Legge, la colpa e il godimento. La psicoanalisi, soprattutto nella prospettiva lacaniana, permette di cogliere le tensioni interne a questa cultura, mettendo in luce le sue potenzialità trasformative e i suoi rischi di rigidità dogmatica. Una risignificazione psicoanalitica della cultura cattolica non mira a delegittimarla, ma a riconoscerne le strutture profonde, per comprendere come essa incida sulla soggettività e sulle dinamiche collettive.

1. Il Nome-del-Padre tra Simbolico e Godimento

Il cattolicesimo ha sempre costruito la sua struttura simbolica attorno alla figura del Padre, ma con una peculiarità rispetto ad altre tradizioni religiose: il Padre si incarna nel Figlio e si offre in sacrificio. Questo introduce una complessità che Lacan avrebbe potuto leggere come una tensione tra la funzione simbolica del Nome-del-Padre e l’irruzione del godimento.

• Nome-del-Padre e Legge: Tradizionalmente, il Nome-del-Padre è la funzione che introduce il soggetto nel simbolico, limitando il godimento e organizzando il desiderio. Nel cattolicesimo, questa funzione non si presenta solo come interdizione, ma anche come un gesto d’amore (il sacrificio del Figlio).

• Il Cristo come "Padre sacrificato": Gesù, in quanto incarnazione del Padre, introduce un elemento paradossale: la Legge non si impone solo dall’alto, ma si fa carne e sofferenza. Questo può essere letto come un tentativo di integrare il godimento nella funzione paterna, senza però eliminarne la tensione.

• Il rischio dell’integralismo: Se il Nome-del-Padre viene assolutizzato, si cade in una dimensione integralista, dove la Legge diventa totalitaria e impedisce la dialettica del desiderio. D'altra parte, se il Padre si dissolve del tutto, si apre un vuoto che può essere riempito da fantasmi di godimento senza limite (da qui l’angoscia dell’uomo moderno di fronte alla perdita dei grandi riferimenti simbolici).

2. Il Peccato Originale e la Struttura della Colpa

Uno degli elementi più distintivi della cultura cattolica è la centralità del peccato originale, che introduce il soggetto in una dimensione di mancanza originaria e colpa strutturale.

• Il peccato come mancanza simbolica: In chiave psicoanalitica, il peccato originale può essere letto come una metafora della castrazione simbolica: il soggetto si scopre mancante, non autosufficiente, sempre in debito rispetto a un Altro che lo precede.

• Colpa e desiderio: Il cattolicesimo struttura questa mancanza attraverso il senso di colpa, ma offre anche dispositivi di reinscrizione simbolica come la confessione e il perdono. Questi atti funzionano come momenti di rielaborazione soggettiva, evitando che la colpa diventi un puro peso superegoico.

• Il rischio di un super-io opprimente: Se la colpa viene gestita rigidamente, il cattolicesimo può alimentare una dinamica di super-io feroce, che spinge il soggetto a un godimento colpevolizzante e masochistico (vedi certe pratiche ascetiche estreme). Ma nella sua forma più vitale, la colpa cattolica può invece trasformarsi in un dispositivo di elaborazione della mancanza, aprendo a una relazione più etica con il desiderio.

3. La Chiesa e il Corpo Mistico: un Simbolico Senza Totalità?

Il cattolicesimo ha una visione comunitaria che si esprime nella nozione di Chiesa come "corpo mistico". Questo concetto può essere letto come un tentativo di costruire un Uno che non sia una pura totalizzazione, ma che mantenga una dimensione di alterità interna.

• Chiesa e legame sociale: In chiave lacaniana, la Chiesa può essere vista come una formazione discorsiva che permette l’articolazione del soggetto all’interno di un ordine simbolico. Se essa funziona come un luogo di ospitalità per la mancanza, può diventare uno spazio di soggettivazione.

• Il rischio della chiusura identitaria: Quando la Chiesa si irrigidisce in una logica identitaria e difensiva, rischia di perdere questa funzione simbolica e di trasformarsi in un S1 assoluto, che non ammette il conflitto e la differenza.

• Verso una comunità non feticista: La sfida della cultura cattolica oggi potrebbe essere quella di mantenere una dimensione comunitaria senza cadere in un’autorità monolitica, trovando forme di mediazione che consentano la dialettica tra l’Uno e la molteplicità.

4. Mistica e Godimento Femminile: un'Alternativa alla Legge Paterna?

Un elemento poco esplorato nella cultura cattolica è il ruolo della mistica, che sembra aprire a un’esperienza del godimento diversa da quella regolata dalla funzione paterna.

• Il godimento mistico: Nella mistica cristiana, troviamo testimonianze di un rapporto con il divino che eccede la logica fallica del Nome-del-Padre. Figure come Teresa d’Avila o Giovanni della Croce descrivono un’esperienza di fusione con Dio che sembra avvicinarsi al godimento femminile teorizzato da Lacan: un godimento non tutto inscritto nel simbolico, che sfugge alla pura opposizione tra legge e trasgressione.

• Una via d’uscita dall’autoritarismo religioso?: Se il cattolicesimo ha sempre oscillato tra il rigore della Legge e l’eccesso del godimento, la mistica potrebbe offrire una terza via, che non nega il simbolico ma lo apre a una dimensione di alterità irriducibile. In questo senso, una risignificazione della mistica potrebbe rappresentare una possibilità di rinnovamento per la cultura cattolica.

Conclusione: Verso un Cattolicesimo Senza Feticizzazione dell’Uno?

Una risignificazione psicoanalitica della cultura cattolica non significa né rifiutarla né aderire acriticamente ai suoi dogmi, ma coglierne le tensioni interne e le potenzialità.

• Oltre l’integralismo e il nichilismo: Da un lato, il cattolicesimo rischia di feticizzare l’S1, irrigidendosi in una struttura dogmatica chiusa. Dall’altro, la sua dissoluzione nel relativismo potrebbe portare alla perdita del legame simbolico.

• Una cultura dell’ospitalità della mancanza: Il cattolicesimo potrebbe trovare una nuova vitalità proprio accogliendo la sua dimensione paradossale: un simbolico che non si chiude in un Uno totalizzante, ma che lascia spazio al desiderio, alla colpa elaborata e a un godimento non esclusivamente fallico.

• Se il cattolicesimo vuole restare un luogo significativo nella contemporaneità, potrebbe smettere di cercare un ritorno nostalgico all’ordine e accettare di essere una cultura della mancanza, della relazione e della dialettica tra simbolico e godimento.

Questa lettura apre alla possibilità di un cattolicesimo non più come dispositivo di potere chiuso, ma come spazio simbolico aperto alla risignificazione del soggetto nel legame con l’Altro. 


Bibliografia 

  • Freud, S. (1927). L’avvenire di un’illusione. Bollati Boringhieri.
  • Freud, S. (1930). Il disagio della civiltà. Bollati Boringhieri.
  • Lacan, J. (1966). Écrits. Seuil.
  • Lacan, J. (1973). Le Séminaire, Livre XI: Les quatre concepts fondamentaux de la psychanalyse. Seuil.
  • Lacan, J. (1972-73). Le Séminaire, Livre XX: Encore. Seuil.
  • Mannoni, M. (1979). La psicoanalisi tra scienza e religione. Einaudi.
  • Certeau, M. de (1982). La fable mystique. Gallimard.
  • Recalcati, M. (2010). Cosa resta del padre?. Raffaello Cortina.
  • Agamben, G. (2012). Il mistero del male. Laterza.
  • Esposito, R. (2013). Due: La macchina della teologia politica e il posto del pensiero. Einaudi.
  • Panayotis Kantzas, "Lezioni fiorentine. Legge e desiderio tra Oriente e Occidente", Unifi, Facoltà di Scienze Politiche, panayotis kantzas lezioni fiorentine - Cerca con Google

sabato 15 marzo 2025

Risignificazione psicoanalitica nella cultura giapponese

Risignificazione psicoanalitica nella cultura giapponese



La risignificazione nella cultura giapponese è un processo complesso che coinvolge tradizione, modernità e trasformazioni simboliche, un tema che può essere letto anche attraverso la lente della psicoanalisi. Lacan sottolinea il ruolo del Nome-del-Padre nella strutturazione del soggetto e dell’ordine simbolico; in Giappone, il confronto tra la tradizione e le influenze moderne ha generato un'evaporazione parziale di questo significante, portando a nuove forme di soggettività e rielaborazione simbolica.

1. La figura del padre e la sua risignificazione

Nella società giapponese tradizionale, la figura paterna era il fulcro della gerarchia familiare e sociale, rappresentando un’autorità quasi assoluta. Questo richiama la funzione del Nome-del-Padre come elemento regolatore dell’ordine simbolico. Tuttavia, la modernizzazione ha portato a un indebolimento di questa figura, creando un vuoto simbolico simile a quello osservato nelle società occidentali.

Lacan descrive l'evaporazione del Nome-del-Padre come una crisi del significante che garantisce la stabilità soggettiva e sociale. In Giappone, il padre contemporaneo si trova tra due tensioni: da un lato, il peso della tradizione che lo vuole garante dell'armonia familiare e sociale; dall’altro, la richiesta di una maggiore apertura affettiva e partecipazione alla vita emotiva della famiglia. Questo slittamento genera una nuova configurazione del desiderio e della legge, che può portare a esiti sia nevrotici (conflitto tra dovere e desiderio) sia sintomatici (alienazione dal ruolo tradizionale).

2. Il concetto di "Kokoro" e la costruzione dell'identità soggettiva

Il concetto giapponese di kokoro (心), che indica cuore, mente e spirito, ha un legame con la formazione dell’identità soggettiva. In chiave psicoanalitica, possiamo leggerlo come un equivalente del desiderio dell’Altro: il kokoro non è solo un nucleo interiore, ma è sempre situato in una rete di relazioni e aspettative sociali.

Con l’ingresso della psicoanalisi in Giappone nel XX secolo, il kokoro ha subito una risignificazione che lo avvicina all’idea di inconscio, inteso non più solo come nucleo armonico da mantenere in equilibrio, ma come luogo di conflitto tra pulsioni e norme sociali. Questa transizione è visibile anche nella crescente attenzione alla sofferenza psichica nella società giapponese, un tempo mediata esclusivamente attraverso il gruppo e le strutture sociali, e oggi sempre più affrontata individualmente attraverso il discorso terapeutico.

3. Il concetto di "Wa" e la dinamica tra simbolico e immaginario

Il concetto di wa (和), ovvero l’armonia, rappresenta un principio fondamentale della cultura giapponese. Tradizionalmente, il wa garantiva la coesione sociale attraverso una rigida adesione alle gerarchie e al senso del dovere. Tuttavia, la modernità ha portato a una frattura tra il bisogno di armonia collettiva e il desiderio individuale.

In termini lacaniani, il wa può essere visto come un ideale dell’Io (Ich-Ideal), una costruzione immaginaria che regola il rapporto tra il soggetto e l’Altro sociale. Con la crisi del Nome-del-Padre, questo ideale è diventato più fragile: da un lato, il soggetto giapponese è ancora vincolato all’esigenza di mantenere il wa; dall’altro, l’introduzione di valori occidentali come l’individualismo ha generato un conflitto tra l’ordine simbolico tradizionale e i nuovi significati emergenti.

4. Il vuoto Zen e la risignificazione del desiderio

La filosofia Zen offre un'interessante chiave di lettura per comprendere la relazione tra psicoanalisi e cultura giapponese. Nel pensiero Zen, il vuoto (空, ku) non è un’assenza negativa, ma uno spazio di potenziale trasformazione. In parallelo, Lacan definisce il desiderio come strutturalmente mancanza-a-essere: il soggetto desidera sempre ciò che gli sfugge, e questa mancanza è ciò che lo costituisce.

La pratica Zen, con la sua enfasi sulla de-identificazione dall’Io e sull’accettazione dell’impermanenza, può essere vista come una modalità di risignificazione del desiderio. Se nella tradizione occidentale la psicoanalisi lavora sulla parola e sull’articolazione simbolica del desiderio, nel pensiero Zen si assiste a una sospensione della dialettica dell’Altro, cercando un accesso diretto a un’esperienza non mediata della realtà. Tuttavia, entrambe le prospettive riconoscono la centralità della mancanza come fondamento dell’esistenza soggettiva.

5. La risignificazione nelle pratiche artistiche e simboliche

Anche l’arte giapponese riflette il processo di risignificazione simbolica attraverso forme espressive che mettono in discussione il rapporto tra pieno e vuoto, soggetto e mondo. La calligrafia giapponese (shodo), ad esempio, può essere letta in chiave psicoanalitica come un atto che lascia traccia dell’inconscio nel gesto, un’esteriorizzazione del rapporto tra significante e soggetto.

Allo stesso modo, la cerimonia del tè (chanoyu) e il teatro Nō utilizzano il rituale come spazio di risignificazione, creando una dimensione in cui il significante si carica di un valore che trascende l’individuo e lo collega a una dimensione simbolica più ampia. Questa attenzione alla forma come veicolo di significato si avvicina all’idea lacaniana secondo cui il soggetto è effetto del significante, costantemente rimodellato dalle strutture simboliche che lo precedono.

Conclusioni

La cultura giapponese, nel suo confronto con la modernità e la psicoanalisi, ha prodotto una serie di risignificazioni che riflettono sia la crisi del Nome-del-Padre che nuove modalità di costruzione del soggetto. Il padre simbolico, il concetto di kokoro, l’armonia sociale (wa) e il vuoto Zen sono tutti elementi che hanno subito trasformazioni, passando da una funzione regolativa fissa a una struttura più fluida, in cui il soggetto giapponese si muove tra tradizione e innovazione.

Se la psicoanalisi occidentale lavora sulla parola e sulla rielaborazione del desiderio attraverso il significante, la cultura giapponese offre una prospettiva diversa, in cui il vuoto e il gesto simbolico diventano strumenti di trasformazione. In questo senso, la risignificazione giapponese non avviene solo attraverso il discorso, ma anche attraverso un’integrazione tra corpo, simbolo e esperienza estetica, offrendo un’interessante alternativa alla concezione occidentale del soggetto e del desiderio.


Bibliografia

  • Barthes, R. (1970). L’impero dei segni. Einaudi.
  • Doi, T. (1971). Amae: A Key Concept in Japanese Culture. Kodansha.
  • Freud, S. (1913). Totem e tabù. Boringhieri.
  • Lacan, J. (1966). Écrits. Seuil.
  • Lacan, J. (1973). Il seminario XI. Einaudi.
  • Marra, R. (2012). Lacan e il Giappone. Mimesis.
  • Nishida, K. (1921). An Inquiry into the Good. Yale University Press.
  • Ueda, S. (2001). Lacan and Zen. Kyoto University Press.

venerdì 14 marzo 2025

Risignificazione psicoanalitica della tradizione culturale indiana



 




La cultura indiana si sviluppa su una matrice simbolica profondamente diversa da quella occidentale. Se l’Occidente ha fondato la propria soggettività sul Nome-del-Padre, come principio organizzatore della Legge e del desiderio, la tradizione indiana si articola attraverso un sistema complesso di dharma, karma e un rapporto fluido tra il soggetto e il reale. La psicoanalisi, nel suo confronto con questa tradizione, deve quindi operare una risignificazione che tenga conto di questa struttura simbolica peculiare.


1. L’Ordine Simbolico Indiano: Dharma, Karma e Anātman

L’India non ha mai sviluppato un’idea di Padre simbolico simile a quella occidentale. L’ordine simbolico si basa invece su:

  • Dharma (Legge cosmica e sociale): non un’autorità personale, ma un ordine impersonale che regola l’esistenza
  • Karma (conseguenza delle azioni): la Legge non si impone dall’alto, ma opera attraverso la causalità etica
  • Anātman (assenza di un Sé sostanziale, nel buddhismo): il soggetto non è un’entità fissa, ma un processo

Questa struttura rende il Nome-del-Padre meno rigido: la Legge non è imposta dall’Altro assoluto, ma emerge dal flusso della realtà stessa.


2. L’Evaporazione del Nome-del-Padre nella Modernità Indiana

La modernità, con la colonizzazione britannica e l’introduzione del modello occidentale, ha portato una trasformazione dell’ordine simbolico indiano:

  • Crisi del Dharma tradizionale: le caste e le gerarchie simboliche sono state messe in discussione
  • Scontro tra razionalità occidentale e misticismo orientale: la scienza moderna ha ridefinito il rapporto con il sacro
  • Globalizzazione e capitalismo: il desiderio è sempre più regolato dal mercato e non dalla struttura cosmica tradizionale

Questi cambiamenti hanno portato a nuove forme di angoscia, legate a un indebolimento dell’ordine simbolico tradizionale e a una soggettività più frammentata.


3. Nuove Forme di Significante Padrone in India

Se il Nome-del-Padre classico è meno presente, nuovi Significanti Padroni (S1) emergono:

  • Il nazionalismo indù: cerca di ristabilire un significante forte attraverso un’ideologia politica-religiosa
  • Il mercato globale: il capitalismo crea un nuovo ordine simbolico basato sul consumo e sul desiderio senza limite
  • Il ritorno delle pratiche spirituali: come tentativo di recuperare un’ancoraggio simbolico al di fuori della modernità

L’India contemporanea si trova quindi divisa tra la nostalgia di un ordine cosmico perduto e l’accettazione di un mondo sempre più frammentato e caotico.


4. La Psicoanalisi come Spazio di Mediazione

La psicoanalisi può offrire un modo di ripensare la crisi del significante nell’India contemporanea, integrando elementi della tradizione con la modernità:

  • Rielaborare il concetto di Dharma: non come Legge fissa, ma come principio dinamico che regola il desiderio
  • Accettare la mancanza e il vuoto: in linea con il pensiero buddhista, senza cercare nuovi idoli simbolici assoluti
  • Creare spazi di soggettivazione: al di fuori delle rigidità casteiste o delle nuove forme di identificazione totalizzante

La psicoanalisi, dunque, non deve imporre il modello occidentale del Nome-del-Padre, ma può aiutare a costruire nuove configurazioni simboliche capaci di sostenere il soggetto indiano contemporaneo.


5. Conclusione: Verso un Nuovo Ordine Simbolico?

L’India sta attraversando una fase di transizione simbolica: il vecchio ordine cosmico è in crisi, ma un nuovo significante dominante non si è ancora stabilito. La sfida è trovare un equilibrio tra:

  • Un ritorno nostalgico a un ordine tradizionale ormai irrecuperabile
  • L’accettazione della frammentazione postmoderna e neoliberale
  • Una nuova forma di simbolizzazione, che integri la ricchezza della tradizione indiana con le esigenze della soggettività contemporanea

La psicoanalisi può offrire un luogo di elaborazione per questa trasformazione, senza imporre il Nome-del-Padre occidentale, ma aiutando il soggetto indiano a trovare nuove modalità di desiderio e Legge.

La risignificazione psicoanalitica della tradizione culturale islamica

 La risignificazione psicoanalitica della tradizione culturale islamica

La risignificazione psicoanalitica della tradizione culturale islamica implica un dialogo tra la psicoanalisi e i concetti fondamentali dell’Islam, con particolare attenzione alla relazione con l’autorità, la Legge (Shari‘a), il desiderio, la soggettività, e la comunità (Umma). Questo confronto deve tenere conto della complessità della tradizione islamica, che include diverse scuole giuridiche, correnti mistiche (come il Sufismo) e differenti esperienze storiche e culturali.


1. Il Nome-del-Padre e la Legge Divina: Differenze e Risonanze

Nella psicoanalisi lacaniana, il Nome-del-Padre (Nom-du-Père) rappresenta la funzione simbolica che introduce il soggetto nell’ordine della Legge e del linguaggio. In Occidente, la crisi del Nome-del-Padre ha portato alla sua “evaporazione”, con una conseguente perdita di riferimento simbolico. Nell’Islam, invece, la Legge (Shari‘a) mantiene un forte statuto normativo, strutturando il legame tra Dio, il soggetto e la comunità.

Tuttavia, c’è una differenza fondamentale: mentre in Occidente il Nome-del-Padre è legato a un padre umano, nell’Islam la Legge viene direttamente da Dio. Questo implica che il significante padrone (S1) nell’Islam non è un padre terreno, ma il Testo sacro (Corano) e la sua interpretazione. L'assenza di una mediazione paterna umana (come nel cristianesimo, dove il Padre è incarnato in Cristo) porta a una relazione diretta tra il soggetto e la Legge divina, mediata dai testi e dai giurisperiti.

Dal punto di vista psicoanalitico, questo può generare una diversa organizzazione del Super-Io, che non è tanto legato all’interiorizzazione della figura paterna, quanto alla testualità e alla sua interpretazione. Il desiderio e la colpa non si organizzano primariamente attorno a un padre umano, ma intorno alla parola divina e alla conformità alla Legge.


2. Desiderio e Rimosso: L’Islam come una Legge senza Transgressione?

Freud ha interpretato la civiltà occidentale come fondata su un meccanismo di desiderio e rimozione, in cui la Legge paterna crea il desiderio come effetto della proibizione. L’Islam, essendo fortemente normativo, sembra offrire una struttura differente: il desiderio non è tanto il prodotto della proibizione, quanto dell’adesione alla Legge stessa.

In questo senso, l’Islam può essere letto come un ordine simbolico chiuso, in cui la Legge non si pone come ostacolo, ma come via diretta alla realizzazione della soggettività. La trasgressione, quindi, non gioca lo stesso ruolo che ha in Occidente: il peccato e la colpa sono direttamente regolati dalla relazione con Dio, piuttosto che da una dialettica edipica con il padre umano.

Tuttavia, anche nell’Islam emergono tensioni: il desiderio, pur regolato dalla Legge, trova vie di espressione nel misticismo sufi, nella poesia erotica, e nella mistica dell’amore divino, che possono essere letti come tentativi di simbolizzare ciò che la Legge non riesce completamente a contenere.


3. Il Sufismo: Una Via per la Sublimazione del Desiderio

Il Sufismo, la corrente mistica dell’Islam, offre una possibile risignificazione psicoanalitica della soggettività islamica. Nel Sufismo, il desiderio è trasformato in amore per Dio, in una relazione che assume tratti quasi erotici e passionali. L’amore divino non è più solo un’adesione alla Legge, ma una esperienza di perdita e di fusione.

Lacan, con il concetto di jouissance (godimento), permette di leggere il Sufismo come una modalità di gestione del desiderio che va oltre il semplice divieto. In molte poesie sufi, il mistico descrive la propria relazione con Dio in termini di assenza, mancanza, attesa, e struggimento, tutti elementi che richiamano la struttura del desiderio come mancanza. In questo senso, il Sufismo introduce nella cultura islamica un’apertura all’Altro, che può essere vista come un’anticipazione di un desiderio non interamente regolato dalla Legge.


4. La Comunità (Umma) e l’Identificazione Collettiva

Un altro elemento centrale dell’Islam è la nozione di Umma, la comunità dei credenti. Dal punto di vista psicoanalitico, questo aspetto può essere visto come una forma di identificazione primaria che riduce il conflitto individuale con la Legge, offrendo un forte sostegno simbolico al soggetto.

Se in Occidente la crisi del Nome-del-Padre ha portato all’individualizzazione del desiderio e alla frammentazione dell’identità, nell’Islam la comunità funziona come un elemento stabilizzante, riducendo l’angoscia della solitudine esistenziale. Tuttavia, questa forte identificazione può anche creare rigidità: il soggetto islamico può essere portato a rinunciare a un’elaborazione individuale del desiderio, appoggiandosi all’autorità collettiva.

Questa struttura ha implicazioni anche sul piano della psicopatologia: nei contesti clinici, il soggetto musulmano potrebbe vivere il sintomo non come un conflitto interno individuale, ma come una rottura con la comunità. L’angoscia non deriverebbe solo da un problema soggettivo, ma da una perdita di appartenenza.


5. L’Islam e la Modernità: Il Conflitto tra Autorità e Desiderio

L’Islam contemporaneo è attraversato da un forte conflitto tra tradizione e modernità. Il processo di secolarizzazione ha messo in crisi il rapporto con la Legge, creando nuovi spazi per il desiderio individuale. La globalizzazione, l’incontro con l’Occidente e i movimenti riformisti all’interno del mondo islamico hanno portato a un rinnovamento del rapporto con la Legge, creando nuove tensioni tra adesione alla norma e affermazione del desiderio soggettivo.

Dal punto di vista psicoanalitico, possiamo vedere questa trasformazione come un passaggio da una Legge assoluta a una Legge interpretata, in cui il soggetto è chiamato a mediare tra la tradizione e il proprio desiderio. In questo senso, la psicoanalisi potrebbe offrire uno spazio per elaborare il conflitto tra appartenenza e individualità, tra il significante padrone della Legge e il desiderio soggettivo.


Conclusioni: Un Nuovo Spazio per la Psicoanalisi nell’Islam?

La psicoanalisi offre strumenti per comprendere la soggettività islamica in un’epoca di trasformazione. Se da un lato l’Islam ha tradizionalmente fornito un ordine simbolico molto stabile, dall’altro la modernità ha aperto nuove questioni che richiedono una risignificazione del rapporto tra Legge e desiderio.

  • Il Nome-del-Padre, in Islam, è incarnato direttamente dalla Legge divina, più che dalla figura paterna umana.
  • Il desiderio si struttura non tanto come effetto della proibizione, ma come adesione alla Legge e alla comunità.
  • Il Sufismo offre una via mistica per la sublimazione del desiderio, introducendo una dialettica del mancare e del perdere.
  • La modernità ha aperto una crisi del rapporto con la Legge, creando nuove tensioni psichiche e opportunità per la psicoanalisi.

La sfida della psicoanalisi in contesto islamico non è imporre modelli occidentali, ma aprire uno spazio di elaborazione del desiderio all’interno di una cultura in trasformazione, riconoscendo le sue specificità e le sue possibilità di risignificazione.

Risignificazione psicoanalitica della Tradizione culturale cinese

Risignificazione psicoanalitica della Tradizione culturale cinese 


La risignificazione psicoanalitica della tradizione culturale cinese implica una rielaborazione dei suoi principi fondamentali alla luce delle teorie psicoanalitiche, con un focus sui concetti di identità, soggettività, autorità, relazione familiare, e inconscio. Questo processo esplora come i concetti tradizionali cinesi, come filialità, yin e yang, vuoto (kū), e la via del Tao, possano essere reinterpretati attraverso le lenti della psicoanalisi per esplorare i dinamismi psichici, relazionali e collettivi.

1. La Filialità e la Relazione con l'Autorità: La Dinamica Padre-Figlio

Nel pensiero psicoanalitico, la relazione tra il padre e il figlio è una delle dinamiche fondamentali nella formazione della soggettività. Nella tradizione cinese, il rispetto filiale (孝, xiào) è un principio cardine, che implica una forte obbedienza verso i genitori, in particolare verso il padre. Tuttavia, questo concetto di autorità paterna va analizzato in chiave psicoanalitica: come la figura paterna venga internalizzata nel bambino e come influenzi la formazione dell'Inconscio.

Nella psicoanalisi lacaniana, il padre è simbolicamente rappresentato dal Nome-del-Padre, il quale svolge un ruolo fondamentale nel fornire il significante che permette la separazione dell'individuo dalla massa indistinta, dall'immediatezza della realtà preverbale. In questa chiave, la figura paterna nella tradizione cinese può essere vista come una forma di significante paterno che contribuisce a modellare l'identità del figlio, non solo attraverso il rispetto e l'obbedienza, ma anche tramite la legge simbolica che il padre rappresenta.

Un'analisi psicoanalitica della filialità potrebbe portare alla luce come la dinamica di sottomissione del figlio alla figura del padre rispecchi un aspetto più profondo di adesione a una norma sociale e simbolica, connessa con l'internazionalizzazione delle regole familiari e sociali. Il figlio, in quanto portatore di un significante paterno che non è solo familiare, ma anche culturale e sociale, potrebbe interiorizzare questa struttura come un modo per navigare il conflitto tra desiderio individuale e ordine sociale.

2. Yin e Yang: La Dualità e l'Integrazione degli Opposti

Il concetto di yin e yang nella cultura cinese si riferisce alla complementarietà degli opposti, che si uniscono in un equilibrio dinamico. Questa concezione può essere messa in relazione con il concetto lacaniano di Soggetto diviso, in cui l'individuo è sempre in cerca di un equilibrio tra diverse forze interne e conflittuali.

Nel contesto della psicoanalisi, questa dualità potrebbe essere vista come una metafora del conflitto psichico tra impulsi opposti, come l'istinto e la moralità, il desiderio e la legge, la passione e la razionalità. La psicoanalisi potrebbe suggerire che la ricerca dell'equilibrio tra yin e yang rifletta la tensione tra il principio del piacere e il principio della realtà, come esemplificato dalle teorie freudiane.

Un'interpretazione psicoanalitica del yin e yang potrebbe suggerire che la ricerca dell'armonia tra queste forze opposte rispecchi il tentativo di integrare la dimensione inconscia con quella conscia, di superare il conflitto interiore e arrivare a una sintesi. In questa lettura, il concetto di yin e yang non è solo cosmologico, ma anche un principio di integrazione psichica in cui il soggetto lavora per bilanciare parti di sé che appaiono come opposte o in contrasto, ma che sono essenziali per la sua completezza.

3. Il Vuoto (空, Kū): La Nozione di Impermanenza e l'Inconscio

Il concetto di vuoto (空, kū) nel Buddhismo cinese, che proviene dalla tradizione Mahāyāna, è centrale nella cultura cinese. Questo vuoto non va inteso come una semplice assenza, ma come una condizione dinamica che implica impermanenza, mutabilità e possibilità di trasformazione.

Dal punto di vista psicoanalitico, il vuoto può essere interpretato come una metafora dell'inconscio. Il vuoto non è un'assenza totale, ma uno spazio carico di potenziale trasformazione, proprio come l'inconscio che contiene desideri, conflitti e traumi non risolti. La risonanza psicoanalitica del vuoto è legata alla capacità del soggetto di fare spazio alle dinamiche inconsce e di integrarle nella sua vita conscia.

Inoltre, il vuoto può essere associato alla nozione di mancanza: in psicoanalisi, la mancanza è vista come fondamentale nella costituzione del soggetto. L'incontro con il vuoto nel pensiero cinese potrebbe essere paragonato alla consapevolezza della propria mancanza nell'individuo, che è un aspetto centrale nel processo di individuazione e di costruzione dell'identità. Il vuoto diventa quindi un principio psicoanalitico per lasciare spazio al desiderio e al sogno, e per affrontare le contraddizioni interne.

4. La Via del Tao: L'Accettazione della Fluttuazione e della Rimozione della Forza Irrigida

Il Tao nella tradizione cinese è il principio universale che guida l'ordine naturale delle cose. La sua filosofia promuove la non-interferenza (wu wei) e l'armonizzazione con il flusso naturale della vita.

In psicoanalisi, questo potrebbe essere interpretato come la necessità di accettare la fluttuazione delle forze psichiche interne, piuttosto che cercare di controllarle rigidamente. La risignificazione psicoanalitica della via del Tao potrebbe suggerire che l'atto di accettare il flusso delle emozioni e dei desideri, invece di reprimerli o resistervi, permette una migliore integrazione del sé.

La psicoanalisi lacaniana potrebbe interpretare il Tao come un invito a riconoscere il soggetto diviso e il desiderio che emerge in modo fluido, senza costrizioni. In questo senso, il Tao rappresenta una filosofia psicoanalitica che abbraccia la non-possibilità di una controllo assoluto, accettando il movimento incessante del desiderio, del pensiero e del corpo.

Conclusioni

La risignificazione psicoanalitica della tradizione culturale cinese offre una profonda possibilità di comprensione dei meccanismi psicologici e relazionali radicati in una cultura che, pur essendo storicamente e filosoficamente distante dalla psicoanalisi occidentale, condivide tematiche universali come l'identità, il desiderio, l'autorità, e il conflitto interno. Concetti come la filialità, il yin e yang, il vuoto e il Tao possono essere letti come metafore psicoanalitiche che esplorano la tensione tra l'individuo e la collettività, la consapevolezza del desiderio inconscio, e la costante ricerca di equilibrio psichico. In questo senso, la psicoanalisi diventa uno strumento per risignificare non solo la cultura cinese, ma anche il nostro modo di comprendere l'individuo e la sua psiche in un mondo globalizzato.

Risignificazione psicoanalitica della tradizione culturale USA

 

Risignificazione psicoanalitica della tradizione culturale USA


1. Il Nome-del-Padre e la Tradizione Americana

Gli Stati Uniti si fondano su un’eredità simbolica peculiare, che combina:

  • Il protestantesimo (soprattutto calvinista e puritano) → la salvezza attraverso il lavoro e la predestinazione
  • L’individualismo liberale → il soggetto si costruisce attraverso l’autoaffermazione
  • Il mito della frontiera → la libertà è legata all’espansione e alla conquista

Questi elementi hanno prodotto una configurazione simbolica del Nome-del-Padre diversa da quella europea:

  • Non è il padre-sacerdote della Chiesa cattolica né il padre-monarca dell’Ancien Régime
  • È il padre-autodidatta, il pioniere, il self-made man → un padre imprenditoriale, più che autoritario

Se in Europa il Nome-del-Padre si è fondato sulla tradizione e sulla Legge, negli USA il significante padrone (S1) si è costruito intorno all’idea di successo e volontà individuale.


2. L’Evaporazione del Nome-del-Padre negli USA

Jacques Lacan descrive l’evaporazione del Nome-del-Padre come una crisi dell’ordine simbolico, dove la funzione paterna perde il suo ruolo organizzatore. Negli USA, questa crisi si manifesta in vari modi:

  1. Declino dell’autorità simbolica

    • Dalla seconda metà del Novecento, l’autorità paterna si è trasformata in una funzione manageriale → il padre diventa un coach, un “mentore”, non più una figura di Legge.
    • La cultura americana ha enfatizzato il successo personale a scapito delle strutture collettive → il pioniere ha sostituito il padre-legislatore.
  2. Ascesa della tecnologia e del mercato come nuovi S1

    • Il capitalismo neoliberale ha sostituito il Nome-del-Padre con il valore di mercato: sei valido se produci e hai successo.
    • Silicon Valley ha imposto una nuova forma di superego → l’imperativo della performance infinita (vedi Byung-Chul Han).
  3. La politizzazione del Nome-del-Padre

    • Negli ultimi decenni, la crisi del padre ha portato alla ricerca di nuove figure di autorità → Trump e i movimenti populisti di destra si presentano come “restauratori” del padre perduto.
    • Dall’altra parte, la cultura woke decostruisce l’idea di padre come figura egemonica → rifiuto della norma, orizzontalità delle relazioni, identità fluide.


3. Nuove Forme di Significante Padrone negli USA

Senza un Nome-del-Padre stabile, emergono nuovi significanti padroni che cercano di riempire il vuoto simbolico:

  • Il successo personale come nuova Legge → “Se non ce la fai, è colpa tua”
  • La tecnologia come padre supremo → algoritmo, AI, social media guidano il desiderio
  • Il capitalismo woke → l’identità diventa un prodotto di mercato
  • Il complottismo → senza un’autorità chiara, si moltiplicano narrazioni paranoiche (QAnon, deep state)


4. Possibili Vie di Risignificazione Psicoanalitica

La psicoanalisi lacaniana, negli USA, può proporre una risignificazione dell’ordine simbolico, evitando sia la nostalgia per il padre tradizionale sia la frammentazione completa:

  1. Dare spazio al desiderio al di là del mercato → Creare luoghi di soggettivazione che non siano solo produttivi (terapia, gruppi, spazi di parola).
  2. Riconoscere il vuoto senza riempirlo con miti paranoici → Accettare la mancanza come parte della condizione umana, senza dover costruire padri artificiali (tecnologia, politica identitaria estrema).
  3. Integrare il Nome-del-Padre in modo più fluido → Non più un’autorità rigida, ma una funzione di orientamento, capace di costruire un legame sociale senza rigidità gerarchiche.

In sintesi, la psicoanalisi negli USA può aiutare a costruire una nuova articolazione del Nome-del-Padre, che non sia né l’onnipotenza del self-made man né la dissoluzione totale dell’autorità.

Lacan e il Pensiero Orientale

 Lacan e il Pensiero Orientale


Il rapporto tra Lacan e il pensiero orientale è ambivalente: da un lato, troviamo alcuni punti di convergenza tra la sua teoria del desiderio e concetti del buddhismo e del taoismo; dall’altro, Lacan rimane radicato in una concezione del soggetto e dell’inconscio che è specificamente occidentale, legata alla mancanza, al significante e alla struttura simbolica.


1. Il Desiderio in Lacan e nel Pensiero Orientale

Lacan: il desiderio come mancanza

Lacan definisce il desiderio come ciò che nasce dalla mancanza-a-essere (manque-à-être), ovvero dal fatto che il soggetto non è mai pienamente se stesso.

Il desiderio è sempre legato al significante, cioè al linguaggio e alla sua strutturazione dell’inconscio.

Il Nome-del-Padre e la Legge sono elementi fondamentali che regolano il desiderio e lo rendono umano.

Buddhismo: il desiderio come illusione

Il buddhismo, soprattutto nella sua versione mahayana e zen, considera il desiderio come radice della sofferenza (dukkha).

Il Nirvana è la condizione in cui il desiderio cessa, perché il soggetto smette di attaccarsi alle illusioni dell’io e del mondo fenomenico.

Il buddhismo propone quindi una via che mira a superare il desiderio, mentre Lacan lo considera costitutivo dell’essere umano.

Taoismo: il desiderio come armonia

Nel taoismo, il desiderio non è da sopprimere, ma da vivere in accordo con il Tao, la via naturale delle cose.

Il concetto di wu wei (non-agire) suggerisce un modo di vivere il desiderio senza forzature, senza cercare di dominarlo o eliminarlo.

In questo senso, il taoismo sembra più vicino alla posizione di Lacan rispetto al buddhismo, perché non propone una cancellazione del desiderio, ma un suo fluire senza costrizioni.


2. Differenze Fondamentali: Mancanza vs. Pienezza

Uno dei punti di maggiore distanza tra Lacan e il pensiero orientale riguarda la concezione della soggettività:

Lacan → Il soggetto è diviso, manca sempre di qualcosa e il suo desiderio è inestinguibile.

Buddhismo/Taoismo → L’io è un’illusione e il soggetto può raggiungere uno stato di “pienezza” o armonia attraverso il distacco dal desiderio.

Questa differenza è cruciale: Lacan non crede in una possibile realizzazione ultima del desiderio, mentre molte tradizioni orientali cercano una via di liberazione dalla sofferenza legata al desiderio stesso.


3. Possibili Punti di Incontro

Nonostante queste differenze, ci sono alcuni punti in cui Lacan e il pensiero orientale potrebbero dialogare:

L’illusione dell’io → Lacan e il buddhismo concordano sul fatto che l’io è un’illusione, una costruzione immaginaria che il soggetto si racconta.

L’importanza del vuoto → Lacan parla della mancanza strutturale del soggetto, mentre il buddhismo e il taoismo vedono il vuoto (sunyata nel buddhismo, wu nel taoismo) come una condizione essenziale della realtà.

L’ambiguità del godimento (jouissance) → Lacan sottolinea come il godimento possa essere sia fonte di piacere sia di sofferenza; nel buddhismo si trova una visione simile nel concetto di attaccamento (tanha).


4. Verso una Risignificazione Psicoanalitica del Pensiero Orientale?

Se la psicoanalisi lacaniana volesse rileggere il pensiero orientale potrebbe proporre:

Una visione del desiderio non come qualcosa da eliminare, ma da ristrutturare in base alle coordinate culturali locali.

Un’analisi del vuoto non come annullamento del soggetto, ma come condizione del desiderio (un’idea più vicina al taoismo che al buddhismo).

Un approccio alla sofferenza meno legato alla colpa e più alla trasformazione simbolica, come si trova nelle pratiche zen di decostruzione dell’io.

In sintesi, Lacan e il pensiero orientale non sono sovrapponibili, ma possono offrire spunti di dialogo sulla natura del desiderio e sulla condizione del soggetto.



Il Destino (Al Qadar) nella Religione Islamica. Una lettura psicoanalitica

Il Destino (Al Qadar) nella Religione Islamica. Una lettura psicoanalitica 




Dal punto di vista psicoanalitico lacaniano, il concetto di destino (qadar) nell’Islam può essere letto attraverso la dialettica tra il Simbolico, l'Immaginario e il Reale, nonché attraverso la questione del desiderio, del significante padrone (S1) e del soggetto barrato ($).


1. Il Destino come Significante Padrone (S1)

Nell’Islam, il qadar rappresenta una struttura fondativa del senso, un significante che ordina il reale e attribuisce una direzione all’esistenza. In termini lacaniani, possiamo dire che il destino assume la funzione di S1, il significante padrone che struttura il discorso e garantisce una coerenza all'Altro.

  • "Tutto è scritto nel Libro di Allah" può essere letto come un’affermazione che stabilisce un ordine simbolico rassicurante, che previene l'angoscia del soggetto di fronte alla contingenza dell’esistenza.
  • Questo S1 (qadar) permette di leggere gli eventi della vita come parte di un disegno ordinato, limitando il rischio di un incontro troppo traumatico con il Reale.


2. Il Reale e la Contingenza: il Destino come Risposta alla Causalità

Lacan distingue tra necessità, contingenza e impossibile. Il qadar islamico cerca di chiudere l’accesso alla contingenza sostenendo che nulla avviene per caso, ma tutto è parte del piano divino.

  • Il soggetto è così preservato da un vuoto di senso, evitando l’incontro con l’assenza di una causa ultima.
  • Tuttavia, questo stesso ordine può generare un eccesso di senso, un sovraccarico simbolico che rischia di negare l’apertura del soggetto al desiderio.

Qui vediamo un paradosso:

  • Da un lato, l’Islam afferma che l’essere umano è responsabile delle proprie azioni.
  • Dall’altro, tutto è già scritto.

Questa tensione può essere letta come la tensione strutturale tra il soggetto barrato ($), diviso tra il proprio desiderio e il significante dell’Altro, e il fantasma di una totalità simbolica.


3. Il Qadar come Metafora del Nome-del-Padre

Se leggiamo il qadar come un Nome-del-Padre (Nom-du-Père), esso si presenta come una garanzia simbolica che organizza la soggettività.

  • Il Nome-del-Padre introduce la Legge, che nel contesto islamico si manifesta nella shari’a, una struttura che guida il soggetto nella sua relazione con il mondo e con il desiderio.
  • Tuttavia, questo Nome non è mai del tutto stabile: la differenza tra scuole teologiche (Mutaziliti, Ashariti, Maturiditi) mostra che vi è sempre una tensione tra un Nome-del-Padre rigido e determinista e un Nome-del-Padre che lascia spazio al desiderio e alla responsabilità soggettiva.

Dove questa funzione si irrigidisce, si può assistere a una cristallizzazione del soggetto nel Simbolico, con un annullamento della sua posizione desiderante. Dove, invece, il Nome-del-Padre si apre a un certo grado di flessibilità, può emergere un soggetto capace di assumere il proprio desiderio senza annullarlo nella volontà divina.


4. Destino e Godimento: tra Sottomissione e Jouissance

L’Islam significa letteralmente "sottomissione" (a Dio). Questa sottomissione può essere letta in chiave lacaniana come una dialettica con il godimento (jouissance).

  • Se il qadar è l'S1 che struttura l'ordine simbolico, esso può anche funzionare come un limite al godimento, ponendo delle regole che regolano l’accesso al desiderio.
  • Tuttavia, questa regolazione del godimento può assumere due forme:
    1. Una forma simbolica e pacificante → Dove il soggetto assume il proprio rapporto con la Legge senza un eccesso di senso.
    2. Una forma di godimento nell'atto stesso della sottomissione → Dove la sottomissione al destino diventa una forma di godimento paradossale, come nel caso di alcuni discorsi fatalisti o fondamentalisti, dove l'obbedienza assoluta diventa essa stessa un godimento.


5. Il Destino come Fantasma e la Dialettica del Desiderio

Nel discorso del musulmano credente, il qadar può anche funzionare come un fantasma che protegge il soggetto dall'angoscia del desiderio.

  • Il soggetto può dire: "Non sono io a scegliere, è Allah che decide."
  • Questo può essere rassicurante, ma può anche funzionare come una negazione del desiderio soggettivo, spostando la responsabilità dell’azione sull’Altro divino.

Lacan direbbe che questa posizione può essere un modo per evitare il "non c’è Altro dell’Altro", ovvero la mancanza strutturale che caratterizza il grande Altro. Ma se tutto è già scritto, non c’è spazio per la mancanza e quindi nemmeno per il desiderio.

Tuttavia, questa posizione non è assoluta: la teologia islamica mantiene uno spazio di scelta (specialmente nelle correnti mutazilite e maturidite), permettendo al soggetto di abitare il proprio desiderio senza dissolverlo nell’onnipotenza divina.


Conclusione: il Destino tra Simbolico, Reale e Immaginario

Possiamo quindi leggere il qadar come una tensione tra tre registri:

  • Simbolico → Il qadar come significante padrone (S1), che struttura il discorso e fornisce un ordine.
  • Immaginario → L’idea rassicurante di un Dio che guida tutto, che può però diventare un fantasma che soffoca il desiderio.
  • Reale → L’angoscia della contingenza, che il discorso religioso cerca di velare, ma che riemerge sempre nei momenti di crisi.

Il destino islamico, quindi, può essere visto come un modo di trattare il Reale attraverso il Simbolico, ma il suo rapporto con il desiderio rimane ambiguo: può aprire alla responsabilità soggettiva o può funzionare come un fantasma che protegge dall’angoscia della libertà.

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