domenica 15 giugno 2025

Il disagio nella famiglia contemporanea. Una lettura lacaniana


1. Introduzione

La famiglia contemporanea si presenta come uno dei luoghi privilegiati in cui si manifesta il disagio psichico. Il venir meno delle strutture simboliche tradizionali ha reso più fragile il contesto familiare, spesso trasformandolo da luogo di trasmissione del desiderio e della legge a spazio confuso di domande, proiezioni e disorientamento. Una lettura lacaniana consente di cogliere questi fenomeni a partire dalle trasformazioni del significante, del Nome-del-Padre e del desiderio.


2. Il declino del Nome-del-Padre

Lacan (anni ’60-’70) ha sottolineato il progressivo declino del Nome-del-Padre, cioè della funzione simbolica che organizza la legge e struttura l’inconscio. Questo declino si riflette in una famiglia dove:

  • la funzione paterna non si impone più come punto di riferimento simbolico;
  • la funzione materna tende a inglobare il figlio, con effetti di alienazione e simbiosi.

Esempio:

In molte famiglie monoparentali o con padri “presenti-assenti”, si osservano madri che occupano tutto il campo simbolico, parlando "a nome del padre", ma in realtà senza mediazione. Il bambino diventa oggetto del loro godimento (jouissance), senza un terzo che tagli questa relazione.


3. La funzione della madre e la questione del godimento

Lacan distingue la madre come funzione del desiderio (apertura alla mancanza) dalla madre tutta (che chiude, godendo del figlio come oggetto).

Quando la madre non accede alla dimensione del desiderio, ma resta legata al godimento, si crea un soffocamento dello spazio soggettivo del figlio.

Esempio:

Nel caso di un adolescente con disagio psichico che vive in una famiglia con una madre iperprotettiva, si nota spesso l’impossibilità di separarsi. Il figlio, privo di una funzione paterna che introduca la legge della mancanza, resta imprigionato nel fantasma materno.


4. Nuove configurazioni familiari e nuove sfide simboliche

La pluralità delle forme familiari (famiglie ricostituite, omogenitoriali, monogenitoriali, ecc.) mette in evidenza che ciò che conta per la strutturazione del soggetto non è la forma, ma la funzione simbolica: chi occupa la funzione della legge, della castrazione simbolica, del desiderio.

Esempio:

In una famiglia omogenitoriale dove uno dei genitori riesce a sostenere la funzione del desiderio e della mancanza, il bambino può strutturarsi simbolicamente, purché vi sia un punto terzo che separi l’Altro materno dal soggetto.


5. Il ritorno del padre reale

In assenza della funzione simbolica del padre, può emergere un padre reale (violento, autoritario, o totalmente deresponsabilizzato) che non media, ma impone o abdica. Lacan chiama questo fenomeno "il padre che gode", cioè colui che non rappresenta la legge ma il proprio godimento.

Esempio:

Padri che trattano i figli come amici o rivali, introducendo dinamiche di seduzione o competizione che generano angoscia nei bambini. Qui il padre non taglia il godimento materno, ma vi partecipa o lo duplica.


6. Conseguenze sul piano clinico ed educativo

Il disagio familiare contemporaneo si esprime spesso in:

  • sintomi di angoscia, acting out e passaggi all’atto nei bambini;
  • difficoltà nei processi di separazione e individuazione;
  • rifiuto del limite, ma anche ricerca angosciosa di esso.

Esempio clinico-educativo:

Nei servizi per minori, si incontrano spesso soggetti che mettono in scena il fallimento della funzione simbolica: comportamenti esplosivi o fusioni affettive eccessive con gli adulti educatori, come se cercassero un significante padrone che manca nel proprio discorso familiare.


Conclusione

La lettura lacaniana del disagio nella famiglia contemporanea mostra come la crisi del legame simbolico e della funzione del desiderio produca forme nuove ma riconoscibili di sofferenza soggettiva. La sfida è riaprire lo spazio della parola e del desiderio, restituendo al soggetto una possibilità di separazione e di iscrizione nella legge simbolica.


Bibliografia essenziale

Opere di Lacan

  • Lacan, J. (1953-1980). Seminari I-XX. In particolare:
    • Seminario V: Le formazioni dell’inconscio
    • Seminario VII: L’etica della psicoanalisi
    • Seminario XI: I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi
    • Seminario XVII: Il rovescio della psicoanalisi
    • Seminario XX: Encore (sul godimento e la femminilità)

Commentatori e applicazioni

  • Miller, J.-A. (2004). Il posto dell’insegnamento di Lacan nella storia della psicoanalisi.
  • Recalcati, M. (2007). Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre.
  • Recalcati, M. (2011). Le mani della madre. Desiderio, fantasmi ed eredità del materno.
  • Lebrun, J.-P. (2006). Le perversioni ordinarie. Vivere senza il Nome-del-Padre.
  • Mannoni, M. (1969). Il bambino, la maestra e lo psicoanalista (utile anche per il lavoro educativo con disabilità).

giovedì 12 giugno 2025

Cambiare il mondo senza prendere il potere: Zapatismo, desiderio e soggettivazione politica in chiave psicoanalitica

Cambiare il mondo senza prendere il potere. Zapatismo, desiderio e soggettivazione politica in chiave psicoanalitica


Introduzione

Il movimento zapatista, emerso nel 1994 nel Chiapas, ha rappresentato una rottura simbolica e politica con i paradigmi rivoluzionari tradizionali. Il suo rifiuto esplicito di "prendere il potere" e la pratica del "comandare obbedendo" offrono un'occasione unica per una lettura psicoanalitica della soggettivazione politica, del desiderio collettivo e della funzione dell'Altro. Questa lettura, ispirata alla teoria lacaniana, permette di comprendere il carattere rivoluzionario dello zapatismo non come presa del potere statuale, ma come trasformazione del legame sociale. Tuttavia, questa proposta etico-politica, pur profondamente innovativa, presenta limiti rilevanti quando confrontata con le sfide materiali e simboliche della contemporaneità.


1. Il soggetto politico tra mancanza e desiderio

In psicoanalisi il soggetto non è un'entità compatta ma divisa ($), costitutivamente mancante. Il desiderio non nasce da un bisogno, ma dall'incontro con l'Altro e dal fallimento di ogni soddisfazione piena. Lo zapatismo, nel rifiuto della conquista del potere centrale, sembra assumere questo carattere strutturalmente mancante del desiderio rivoluzionario, spostandolo dal piano del potere sull'altro al piano dell'apertura all'altro. "Camminare domandando" è una forma politica del desiderio: non voler colmare la mancanza con un potere, ma farne il motore del processo collettivo. Tuttavia, come nota Zizek, il rischio di una politica del desiderio priva di mediazione istituzionale è quello di cadere in una forma di impotenza sublimata, dove il desiderio stesso viene feticizzato a scapito dell'efficacia storica.


2. Il potere come significante padrone (S1)

Lacan individua nel significante padrone (S1) il fondamento simbolico del discorso del potere. Le rivoluzioni moderne hanno spesso sostituito un S1 con un altro (il re con il popolo, il capitale con il partito), senza modificare la struttura stessa del discorso. Lo zapatismo, al contrario, rifiuta di incarnare un nuovo S1. La sua struttura politica orizzontale, la pluralità dei soggetti e delle parole, il rifiuto della centralizzazione sono tutti tentativi di evitare la riemersione del discorso del padrone. Tuttavia, Laclau ha evidenziato che ogni articolazione politica richiede un momento di condensazione simbolica, un significante vuoto capace di unificare le domande eterogenee. Il rifiuto dello S1, se radicale, rischia di impedire la costruzione di un'egemonia contro-egemonica.


3. Comandare obbedendo: sovversione dell'Altro

"Comandare obbedendo" è una formula che disinnesca la verticalità del comando. Il capo non è l'Uno che sa, ma colui che risponde. L'autorità è ridotta a funzione simbolica, temporanea, legata al riconoscimento della comunità. Qui il soggetto politico non è rappresentato, ma articolato: si apre uno spazio di enunciazione dove l'autorità diventa funzione dell'ascolto. Questo può essere paragonato al discorso dell'analista, dove il sapere non è imposto ma evocato, emergente. Tuttavia, Badiou ha criticato le forme di democrazia radicale che rinunciano a ogni forma di decisione sovrana, vedendo in esse un rischio di dispersione: senza un Evento che imponga un nuovo ordine simbolico, il rischio è che la politica si dissolva nel sociale.


4. Il noi che include il diverso: identità molteplice

Lo zapatismo parla di un "noi" che non si chiude nell'identità ma che include la differenza. Il "nosotros" zapatista è il luogo simbolico dove il soggetto può esistere senza essere ridotto all'identico. È una politica del soggetto diviso, in cui il legame non è dato dalla somiglianza, ma dall'apertura all'inassimilabile. In termini psicoanalitici, si tratta di un "noi" che assume la castrazione simbolica e non cerca di riempirla con un Uno totalizzante. Pavón-Cuéllar, nella sua lettura critica della psicoanalisi latinoamericana, sottolinea l'importanza di non proiettare su questi "noi" locali un'immagine idealizzata o mitica del soggetto rivoluzionario: il rischio è quello di riprodurre inconsciamente una funzione dell'Altro coloniale, anche se apparentemente decostruita.


5. Il tempo dell'attesa e la soggettivazione come processo

Lo zapatismo non ha fretta di vincere. Rifiuta le logiche dell'accelerazione rivoluzionaria. Il tempo è il tempo dell'altro, del processo, della trasformazione soggettiva. Come in analisi, dove il tempo logico non coincide con il tempo cronologico, anche la rivoluzione zapatista procede per atti simbolici, interruzioni, retroazioni, elaborazioni collettive. Non c'è un fine, ma una direzione: quella dell'emancipazione soggettiva e comunitaria. Tuttavia, questa temporalità rischia di restare impolitica se non viene articolata con una strategia che tenga conto dei dispositivi di potere globali: come sottolinea Zizek, la sospensione dell'atto sovrano può diventare complicità con lo stato delle cose se non attraversa l'ordine simbolico con un taglio.


Conclusione: una rivoluzione etica con limiti strategici

Lo zapatismo rappresenta un esempio vivente di quella che Lacan avrebbe chiamato un'etica del desiderio. Non si tratta di abolire il potere, ma di sottrarsi alla sua cattura immaginaria. Non si tratta di eliminare il significante padrone, ma di ridurne gli effetti, di renderlo reversibile, temporaneo, attraversabile. In questo senso, lo zapatismo è una rivoluzione simbolica: non per prendere il potere, ma per trasformare il legame sociale.

Tuttavia, come notano diversi critici (Zizek, Laclau, Badiou, Pavón-Cuéllar), la rinuncia al potere può tradursi in una rinuncia alla trasformazione reale delle strutture materiali. L’esperienza zapatista mostra i limiti di una politica del desiderio quando non è sostenuta da una riflessione sul simbolico e sul reale della violenza sistemica. Forse la sfida, oggi, è quella di tenere insieme etica del desiderio e costruzione di istituzioni emancipative.


Bibliografia essenziale

  • Jacques Lacan, Il seminario. Libro XVII: Il rovescio della psicoanalisi, Einaudi
  • John Holloway, Cambiare il mondo senza prendere il potere, Alegre
  • Subcomandante Marcos, Ya basta!, Feltrinelli
  • Enrique Dussel, 20 tesi di politica, Castelvecchi
  • Cornelius Castoriadis, L’istituzione immaginaria della società, Einaudi
  • Gloria Muñoz Ramírez, EZLN: el fuego y la palabra, Ediciones La Jornada
  • Miguel Benasayag, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli
  • Frantz Fanon, I dannati della terra, Einaudi
  • Ian Parker e David Pavón-Cuéllar, Lacan, Discourse, Event: New Psychoanalytic Approaches to the Political, Routledge
  • Slavoj Zizek, Meno di niente, Ponte alle Grazie
  • Ernesto Laclau, La ragione populista, Laterza
  • Alain Badiou, L'ipotesi comunista, Ponte alle Grazie 

La famiglia contemporanea nella prospettiva lacaniana: tra sintomo, desiderio e funzione simbolica


Introduzione

Nel contesto attuale, la famiglia si presenta come un crocevia instabile di configurazioni relazionali, pressioni sociali e discorsi normativi. Di fronte alla moltiplicazione dei modelli familiari — monogenitoriali, omogenitoriali, migranti, ricomposti — l’approccio lacaniano offre una lettura non normativa, centrata non sulla forma della famiglia ma sulla sua funzione simbolica. Lungi dall’essere un residuo teorico del Novecento, il pensiero di Jacques Lacan fornisce strumenti ancora potenti per leggere la soggettivazione contemporanea, soprattutto laddove il discorso educativo e clinico si confronta con il disagio infantile e adolescenziale.


1.Famiglia e funzione del Nome-del-Padre

Per Lacan, la famiglia è il luogo primario di strutturazione del soggetto. La funzione del Nome-del-Padre non coincide con la figura paterna reale, ma designa un operatore simbolico che introduce il bambino nel campo del desiderio e del linguaggio, separandolo dall’immersione immaginaria nella relazione duale con la madre:

“Il Nome-del-Padre è il significante che fonda la legge come tale, e che essa stessa in quanto tale si rappresenta” (Lacan, 1957-58, Il Seminario. Libro V).

La crisi contemporanea del Nome-del-Padre, legata alla fragilizzazione dei legami simbolici, produce costellazioni familiari in cui i ruoli generazionali si sfumano: padri in posizione di minoranza simbolica, madri sovrainvestite, e figli portatori di un sintomo che non appartiene solo a loro, ma all’intero sistema familiare.

Esempio clinico (rielaborato): un bambino manifesta rifiuto scolastico e sintomi ansiosi in seguito alla separazione dei genitori. L’intervento lacaniano non mira a “curare” il sintomo in senso diretto, ma a leggerlo come formulazione soggettiva di un non-detto materno, espressione di una solitudine impossibile da nominare.


2.Il soggetto diviso e il desiderio dell’Altro

La soggettivazione, per Lacan, nasce nell’incontro con il desiderio dell’Altro. Il bambino si costruisce nella risposta alla domanda materna implicita: “Cosa sono per te?”. In assenza di una funzione simbolica che limiti tale domanda, il bambino può diventare oggetto fantasmatico del desiderio altrui, subendo un'alienazione soggettiva profonda.

“Il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro” (Lacan, 1958, Seminario VI).

Famiglie in cui la separazione soggettiva non è avvenuta, o in cui uno dei membri è trattenuto in una funzione riparativa o pacificante, tendono a produrre sintomi che incarnano questo eccesso di senso.

Esempio clinico: un adolescente svolge il ruolo di mediatore tra i genitori separati. Il lavoro educativo non si limita a “rafforzarne la resilienza”, ma si orienta verso la disidentificazione dalla funzione immaginaria, restituendo al soggetto lo spazio per non essere ciò che gli altri vogliono.


3.Il sintomo come prodotto della struttura familiare

Il sintomo, in una lettura lacaniana, non è mai solo individuale. Esso si colloca spesso nel figlio come “sintomo della coppia”, ovvero come elemento che mantiene in vita un legame o ne denuncia l’inconsistenza.

“Il bambino è preso nella funzione di oggetto a per il desiderio dei genitori” (Lacan, 1967, Proposta del 9 ottobre).

In particolare, nelle famiglie ricomposte o in transizione, il sintomo può esprimere tensioni non simbolizzate tra i membri.

Esempio clinico: un ragazzo si autolesiona nel contesto di una nuova convivenza con la compagna del padre. Il suo gesto diventa iscrizione corporea di un’impossibilità a scegliere tra due fedeltà contrapposte. Il sintomo qui nomina una divisione, laddove il discorso familiare resta silenzioso.


4.L’équipe come luogo di non-sapere

L’intervento educativo o psicologico ispirato al pensiero lacaniano non si fonda sull’applicazione di tecniche risolutive, ma sull’ascolto del soggetto e del suo sintomo come traccia di una verità. L’équipe non si pone come detentrice di sapere, ma come luogo di ospitalità dell’enigma.

“Il sapere non è mai tutto. L’inconscio non è qualcosa da interpretare una volta per tutte, ma da far parlare” (Lacan, 1977, Seminario XX).

  • L’educatore assume una posizione di presenza non intrusiva, sostenendo il tempo soggettivo dell’elaborazione.
  • Lo psicologo non interpreta in modo diretto, ma facilita il passaggio dalla sofferenza passiva alla possibilità di assumere il sintomo.
  • Tutti i membri dell’équipe si confrontano con l’idea che il sapere non può essere posseduto, ma solo evocato.


5. Nuove configurazioni familiari e discorsi sociali

Nel mondo contemporaneo, le famiglie si articolano in forme plurali, e non sempre si basano su un triangolo edipico. Tuttavia, ciò che resta fondamentale per la soggettivazione è la possibilità che vi sia una mediazione simbolica: un ordine che separi, nomini, strutturi.

In molte famiglie migranti, ad esempio, o in contesti religiosi fortemente normativi, il discorso dell’Altro si presenta sotto forma di identificazioni rigide o regole impositive. In altri casi, il discorso neoliberale si sostituisce al Nome-del-Padre con un invito a essere “performanti”, “adattati”, “flessibili”.

“Non è tanto la legge in quanto tale che struttura, quanto il suo buco, l’impossibilità di completarla” (Lacan, 1972-73, Seminario XX).

L’approccio lacaniano non impone nuovi modelli, ma mira a riaprire lo spazio della domanda soggettiva, contro ogni discorso totalizzante.


Conclusione

In un tempo in cui la famiglia appare attraversata da incertezze simboliche e da sintomi che si manifestano sempre più precocemente nei bambini e negli adolescenti, la prospettiva lacaniana rappresenta un invito a non chiudere troppo presto il senso. Non si tratta di ripristinare un ordine perduto, ma di creare le condizioni affinché nel soggetto si apra un margine di libertà, dove il sintomo possa trasformarsi in parola, e la famiglia possa diventare — pur nelle sue nuove forme — un luogo di separazione e desiderio, e non solo di bisogno e identificazione.


Bibliografia essenziale

  • Lacan, J. (1957-58). Il Seminario. Libro V. Le formazioni dell’inconscio. Torino: Einaudi.
  • Lacan, J. (1958). Il Seminario. Libro VI. Il desiderio e la sua interpretazione. Inedito in italiano, disponibile in traduzioni parziali.
  • Lacan, J. (1967). Proposta del 9 ottobre 1967 sullo psicoanalista della scuola, in Scritti. Torino: Einaudi, 1974.
  • Lacan, J. (1972-73). Il Seminario. Libro XX. Ancora. Torino: Einaudi, 2001.
  • Mannoni, M. (1964). Il bambino, il suo “insegnante” e la psicoanalista. Torino: Einaudi, 1976.
  • Dolto, F. (1985). L'immagine inconscia del corpo. Milano: Raffaello Cortina 1997

Tra Neo-Liberalismo e Neo-Comunitarismo: quale Terza Via?

 

La crisi del neoliberismo e la fragilità delle risposte neocomunitariste hanno riaperto, negli ultimi anni, la questione di una “terza via” tra individualismo deregolato e organicismo identitario. Tuttavia, la stessa espressione “terza via” è problematica, poiché troppo spesso è stata svuotata di contenuto, ridotta a una posizione centrista priva di forza trasformativa. Lo scopo di questo articolo è ripensare la possibilità di una via alternativa, capace di tenere insieme libertà e legame, individuo e comunità, in chiave critica e psicoanalitica. L’ipotesi è che la psicoanalisi, in particolare l’insegnamento di Lacan, possa offrire strumenti per una critica delle forme ideologiche dominanti e per un’apertura verso forme inedite di partecipazione e simbolizzazione del legame sociale.

Neoliberismo: l’egemonia dell’individuo astratto

Il neoliberismo, emerso come progetto politico negli anni Ottanta, ha promosso un modello di soggettività centrato sull’autonomia competitiva, sulla responsabilità individuale e sulla disintermediazione istituzionale. L’“homo oeconomicus” viene presentato come soggetto razionale, autonomo, sempre orientato all’ottimizzazione dei propri interessi. Questo modello ha invaso ogni ambito della vita: dalla scuola alla sanità, dal lavoro alla politica. La logica della performance, dell’efficienza e della valutazione permanente ha sostituito il senso del legame e della responsabilità collettiva.

Come ha osservato Wendy Brown, il neoliberismo non è semplicemente un paradigma economico, ma un’“ontologia politica” (Brown, 2015), che trasforma le soggettività e i modi di vivere. In questo senso, la crisi della democrazia non è estranea alla logica neoliberale, ma ne è un effetto.

Neocomunitarismo: il ritorno dell’identità forte

Di fronte alla desertificazione sociale prodotta dal neoliberismo, si è assistito a un ritorno di proposte neocomunitarie: nazionalismi, populismi, tradizionalismi religiosi o culturali. Questi movimenti, spesso reazionari, si fondano su un’idea di comunità chiusa, omogenea, basata su un’identità condivisa e un nemico esterno da cui difendersi.

Charles Taylor, pur da una prospettiva non reazionaria, ha criticato il liberalismo moderno per la sua cecità rispetto alle “culture forti” e ai legami di appartenenza (Taylor, 1992). Tuttavia, le forme neocomunitarie dominanti oggi tendono a irrigidire questi legami, trasformandoli in ideologie escludenti e autoritarie.

Il populismo contemporaneo, sia di destra che di sinistra, si muove spesso in questo quadro: propone una comunità di “gente vera” contrapposta a élite corrotte, alimenta risentimento e identità semplificate. Eppure, come sottolinea Ernesto Laclau, il populismo non è un’ideologia ma una logica politica: può aprire o chiudere il campo del possibile.

La Terza Via tra illusione e possibilità

Negli anni Novanta, Tony Blair, Anthony Giddens e altri proposero una “terza via” come superamento delle opposizioni tra Stato e mercato, tra socialismo e capitalismo. Ma quella proposta si è rivelata rapidamente una razionalizzazione del neoliberismo con volto umano, senza reale forza critica. La vera questione oggi non è mediare tra due estremi, ma decostruire le logiche che li rendono complementari.

Perché, come mostra Lacan, ciò che si oppone frontalmente a un discorso dominante può spesso esserne il complemento immaginario. L’“uomo forte” è la risposta speculare al “soggetto abbandonato” della governance neoliberale.

La psicoanalisi non fornisce modelli politici, ma può indicare un orientamento critico. In particolare, può aiutare a pensare una comunità che non sia fondata su un’identità o su un godimento condiviso, ma su un vuoto simbolico, su un legame non totalizzante. È ciò che Lacan chiamava “legame sociale” non fuso, non chiuso. La psicoanalisi, in questo senso, non propone una politica positiva, ma una critica delle identificazioni totalizzanti, una vigilanza sui miti dell’appartenenza.

Esperienze e tentativi politici

A partire da questo orientamento critico, possiamo osservare alcune esperienze politiche contemporanee che tentano di uscire dalla dicotomia tra neoliberismo e neocomunitarismo.

  • DiEM25 (Democracy in Europe Movement 2025), fondato da Yanis Varoufakis, è un tentativo di costruire una rete democratica transnazionale europea che non si fonda né sul sovranismo né sulla tecnocrazia neoliberale. Il suo progetto implica forme partecipative di democrazia e controllo dei poteri economici.

  • Barcelona en Comú e le esperienze municipali spagnole degli anni 2015-2019 hanno mostrato la possibilità di un’azione politica radicata nel territorio, capace di costruire partecipazione, gestione pubblica dei beni comuni, e innovazione istituzionale.

  • Le esperienze femministe e queer, come quelle legate al transfemminismo italiano o ai movimenti latinoamericani (Ni Una Menos), mostrano che è possibile costruire comunità politiche a partire dalla differenza, senza mitologie identitarie. Queste pratiche producono un legame che si regge sul riconoscimento della singolarità e del conflitto, non sull’unità fittizia.

  • Fridays for Future e Extinction Rebellion pongono un’altra sfida decisiva: pensare il legame politico oltre l’antropocentrismo, attraverso nuove forme di alleanza tra soggetti umani e non umani, tra generazioni e tra culture.

Una comunità non totalitaria

Tutte queste esperienze, pur con i loro limiti, mostrano che è possibile praticare un comunitario critico, non chiuso, non totalizzante. La questione non è dunque quella di fondare un’“altra comunità”, ma di pensare un’altra modalità del legame, che tenga conto della divisione soggettiva e della differenza.

Come ha detto Jacques-Alain Miller, “la psicoanalisi non ha vocazione a fondare una comunità, ma a evitare che la comunità diventi totalitaria” (Miller, 2003). In questo senso, essa non si pone né dentro né fuori dalla politica, ma come uno sguardo che decostruisce i fantasmi identificatori, vigilando sul ritorno del godimento come fondamento del potere.

Conclusione

Una terza via possibile potrebbe quindi essere quella che mantiene il desiderio di trasformazione sociale senza cadere nella nostalgia dell’Uno. Una politica che sappia valorizzare le differenze, accettare il conflitto, praticare forme nuove di ospitalità del soggetto. Una politica che, come la psicoanalisi, riconosca il limite come condizione di libertà e di legame.


Bibliografia

  • Brown, W. (2015). Undoing the Demos. Neoliberalism’s Stealth Revolution. MIT Press.

  • Giddens, A. (1998). The Third Way: The Renewal of Social Democracy. Polity Press.

  • Lacan, J. (1969-70). Il rovescio della psicoanalisi. Seminario XVII.

  • Laclau, E. (2005). La ragione populista. Laterza.

  • Miller, J.-A. (2003). Intervento al Forum “La psicoanalisi è un’utopia?”, Buenos Aires.

  • Taylor, C. (1992). Multiculturalism and the Politics of Recognition. Princeton University Press.

  • Varoufakis, Y. (2016). And the Weak Suffer What They Must?. Nation Books.


venerdì 6 giugno 2025

Il leader nelle formazioni politiche: una lettura psicoanalitica

 

Leader e Formazioni politiche


Introduzione

La relazione tra leader e massa è un nodo cruciale per comprendere le dinamiche politiche collettive. A partire da Freud (1921), la psicoanalisi ha mostrato come i leader funzionino come figure di identificazione primaria, in grado di organizzare il desiderio e di strutturare l’investimento libidico collettivo. La teoria lacaniana, con il concetto di discorso del padrone e la formalizzazione dei quattro discorsi, ha permesso un ulteriore avanzamento: il leader non è solo un soggetto carismatico, ma un punto di sutura simbolica che struttura il legame sociale. In questa prospettiva, si può distinguere tra diversi tipi di leadership, ciascuno in rapporto con specifiche strutture psichiche e modi di funzionamento delle masse.


Tipologie di leadership in relazione alla psiche delle masse

Tipo di leadership Struttura psichica del leader Discorso dominante Struttura psichica prevalente nella massa Esempi storici
Perversa Perversa Discorso del padrone Complicità feticistica, adesione acritica Hitler, Mussolini
Paranoide Paranoide Discorso del padrone / universitario Identificazione persecutoria, coesione nell’odio Stalin, Netaniahu (in parte)
Isterica Isterica Discorso dell’isterica Idealizzazione, domanda incessante Zelensky, Greta Thunberg
Ossessiva Ossessiva Discorso universitario / padrone Adesione razionale, controllo difensivo De Gaulle, Cavour
Generativa Simbolicamente situata Discorso del padrone (pluralizzato)/ analista Cooperazione, legame orizzontale Gandhi, M.L. King, Allende
Analitica Funzione di causa Discorso dell’analista Apertura al desiderio, spostamento soggettivo Figura liminare, rara


Discussione

Le leadership perverse, come quelle di Hitler e Mussolini, si fondano su un godimento autoritario che incarna la Legge come volontà arbitraria. Il leader perverso si offre come oggetto causa del godimento della massa, convertendo il desiderio in obbedienza. Le masse risuonano a livello feticistico con questo assetto, godendo dell’identificazione senza colpa.

La leadership paranoide struttura invece il legame sociale attorno a un Nemico, interno o esterno. Il leader paranoide è convinto della propria missione salvifica e costruisce un legame comunitario attraverso la minaccia. Le masse si organizzano intorno alla coesione difensiva e all’identificazione persecutoria.

La leadership isterica, invece, gioca sul versante della domanda. Il leader isterico pone incessantemente una questione all’Altro – “perché questo mondo è così ingiusto?” – e convoca la massa a seguirlo nella sua inquietudine. Questo può generare mobilitazioni potenti ma anche instabilità.

Il leader ossessivo, come De Gaulle, agisce a partire da un punto di Legge che lo attraversa. Tende a strutturare la massa attraverso norme, pianificazione e razionalità. Il legame sociale si costruisce su un’identificazione con la coerenza e l’integrità del leader.

La leadership generativa si fonda su una simbolizzazione condivisa e situata. Gandhi e Martin Luther King hanno costruito la loro autorità non sulla forza o sulla fascinazione, ma sull’adesione etica a un principio superiore. La loro funzione è quella del significante che mette in parola e in forma il desiderio collettivo, senza imporsi come totalizzante. Questo tipo di leadership permette una soggettivazione diffusa.

Infine, in modo più raro e limite, vi è la possibilità di un leader che si ponga nella posizione del discorso analitico: non come colui che sa, ma come colui che causa desiderio. In questo caso, il leader non è un punto di godimento, né di identificazione rigida, ma una funzione che apre lo spazio della parola, del dubbio, della responsabilità soggettiva. È il caso di alcune figure rivoluzionarie che rifiutano il potere personale, o di alcune esperienze assembleari dove il ruolo del leader è decentrato e decostruito.


Bibliografia essenziale

  • Freud, S. (1921). Psicologia delle masse e analisi dell’Io. Opere, vol. XI.
  • Lacan, J. (1969-70). Il rovescio della psicoanalisi. Seminario XVII.
  • Recalcati, M. (2007). L’uomo senza inconscio. Raffaello Cortina.
  • Lazzarato, M. (2012). La fabbrica dell’uomo indebitato. DeriveApprodi.
  • Žižek, S. (2006). La soggettivazione politica. Meltemi.


giovedì 5 giugno 2025

Il potere di generare: leadership diffusa e soggettività sociale in trasformazione

Potere di generare


📌 Abstract

L’articolo propone una riflessione critica sulla leadership generativa come forma emergente di soggettivazione collettiva nel lavoro contemporaneo, con particolare attenzione al terzo settore e al sindacalismo critico. In un contesto segnato dalla crisi del management tradizionale e dalla trasformazione delle istituzioni del lavoro, emergono pratiche di leadership distribuita che non si fondano sul comando, ma sulla capacità di attivare, sostenere e accompagnare processi generativi di senso e cooperazione. Attraverso una lettura che integra contributi teorici della psicologia sociale, della filosofia politica e della psicoanalisi lacaniana, l’articolo indaga i nodi critici e le potenzialità di queste esperienze, portando esempi tratti dal mondo del lavoro sociale e dei movimenti sindacali di base.

1. Introduzione: una crisi simbolica e organizzativa del lavoro

Nel cuore della crisi del capitalismo cognitivo e dell’economia delle piattaforme, il lavoro appare attraversato da una duplice contraddizione: da un lato la crescente frammentazione dei diritti e dei legami professionali; dall’altro, il riemergere di pratiche comunitarie, collaborative e politicamente consapevoli, che interrogano il modello dominante di leadership come puro esercizio di comando e controllo.

Come osservano Bonomi e Masiero (2020), nella società post-fordista emergono nuove soggettività che non si lasciano più organizzare secondo schemi gerarchici rigidi, ma richiedono forme di riconoscimento e partecipazione che valorizzino l’esperienza e l’iniziativa. La nozione di "leadership generativa" (Magatti, 2022) permette di leggere questi fenomeni in chiave trasformativa, come processi in cui non si trasmette solo potere, ma si produce soggettività, senso, e legami nuovi.

2. Cos’è la leadership generativa

La leadership generativa è un concetto emerso per indicare una forma di guida che non si limita a gestire o motivare, ma che attiva spazi di senso condiviso, di innovazione sociale e di trasformazione reciproca. Magatti (2022) parla di una leadership che "non si impone ma dispone", che ha la capacità di generare contesti e possibilità più che di esercitare controllo.

Questa forma di leadership è spesso situata e diffusa, come notano Pearce & Conger (2003), che la descrivono come "shared leadership", cioè una funzione che può emergere collettivamente e che si sviluppa lungo relazioni orizzontali, non necessariamente vincolata a ruoli o gerarchie formali. È una funzione che può emergere in momenti critici, o in modo rotante, come nei gruppi cooperativi o nei collettivi sindacali.

3. Lacan, il desiderio e la funzione del vuoto nella leadership

Jacques Lacan ha mostrato come ogni struttura del potere sia anche una struttura del desiderio. Il significante-padrone (S1) non è solo comando, ma ciò che organizza il discorso e orienta il desiderio collettivo (Lacan, 1981). Quando il comando manageriale perde legittimità simbolica, la funzione del leader non può più consistere nell’imposizione di norme, ma nel sostenere spazi vuoti in cui possano emergere soggettività.

Come suggerisce il Lacan del Seminario XI (1975), il desiderio si sostiene su un vuoto strutturale, e dunque anche la funzione del leader può essere interpretata come custodia di uno spazio simbolico generativo, e non come occupazione autoritaria. Questo è ciò che accade in molte esperienze del terzo settore e del sindacalismo critico, dove l’autorità si reinventa come ascolto radicale e messa in questione reciproca.

4. Due casi esemplari

4.1. Un collettivo educativo in area metropolitana

In una cooperativa sociale impegnata nell’accoglienza di famiglie migranti, l’équipe educativa ha rifiutato una struttura gerarchica rigida, scegliendo di ruotare la funzione di coordinamento tra i vari educatori. Si è trattato di una leadership "distribuita" e "non delegata" (Pearce & Conger, 2003), dove la capacità di guidare è emersa dall’esperienza e dalle relazioni.

Il risultato è stato un gruppo più coeso, capace di proporre innovazioni anche rischiose, rafforzando il senso di appartenenza e di responsabilità collettiva. È emersa una leadership generativa, che ha attivato soggettività senza fondarsi sul potere formale.

4.2. Un’assemblea sindacale di base nei servizi pubblici

In una grande città del Nord Italia, un gruppo di operatori sociosanitari, educatori e tecnici precari ha dato vita a un’assemblea intersettoriale, ispirata a pratiche mutualistiche. L’assenza di una figura fissa di portavoce ha favorito l’emergere di competenze multiple: comunicazione, lettura normativa, organizzazione dal basso.

Questa modalità ha permesso l’attivazione di nuove soggettività politiche, in linea con quanto afferma Giorgi (2022): "il lavoro che resiste non è solo quello che rivendica, ma quello che produce legami e senso". La leadership, in questi contesti, è funzione relazionale e generativa, più che gerarchica o rappresentativa.

5. Soggettività generativa e sindacalismo critico

Il sindacalismo critico — che comprende esperienze autonome, di base e anche talune trasformazioni interne alla rappresentanza tradizionale — rappresenta un terreno fertile per forme di leadership generativa. Giorgi (2022) parla di una "politica della cooperazione situata" che produce leadership relazionali e temporanee.

In questo contesto, il ruolo del leader non è comandare o rappresentare, ma connettere, tradurre, ascoltare, stimolare. Come affermano Carli e Paniccia (2003), è nell’analisi della domanda collettiva che può emergere una funzione generativa del coordinamento, al servizio di processi partecipativi.

6. Conclusioni

In un’epoca in cui il modello organizzativo tradizionale è sempre più inefficace, la leadership generativa si configura come pratica trasformativa. Nei contesti del terzo settore e nel sindacalismo critico, essa rompe la logica verticale del potere e propone un’altra visione: quella del potere di generare, del potere di sostenere vite e legami, e non solo performance.

Come nota Dejours (2009), "il lavoro contiene una dimensione di verità" che non può essere catturata dalla sola logica dell’efficienza. La leadership generativa custodisce questa verità, promuovendo spazi di parola, ascolto e trasformazione reciproca.


📚 Bibliografia

  • Bonomi, A. & Masiero, M. (2020). La società circolare. DeriveApprodi.
  • Carli, R. & Paniccia, R.M. (2003). Psicologia della partecipazione. FrancoAngeli.
  • Dejours, C. (2009). La banalità dell’ingiustizia sociale. Raffaello Cortina.
  • Giorgi, C. (2022). Il lavoro che resiste. Manifestolibri.
  • Lacan, J. (1975). Il seminario. Libro XI: I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi. Einaudi.
  • Lacan, J. (1981). Il seminario. Libro XVII: Il rovescio della psicoanalisi. Einaudi.
  • Magatti, M. (2022). Generare libertà. Accedere al futuro. Feltrinelli.
  • Mazzoleni, G. (2023). Leadership generativa. Oltre il management tradizionale. Vita e Pensiero.
  • Pearce, C. L. & Conger, J. A. (2003). Shared Leadership: Reframing the Hows and Whys of Leadership. SAGE.
  • Sandri, G. (2018). Fare cooperazione oggi. Edizioni Gruppo Abele.


Il leader e le masse. Una lettura politico-psicoanalitica


Leadership e masse



Introduzione

Il rapporto tra leader e masse ha suscitato numerose riflessioni in psicologia, sociologia e psicoanalisi. A partire da Freud e dalla sua opera Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921), è stato messo in luce come il leader non sia semplicemente una figura che guida, ma rappresenti un nodo psichico e simbolico in cui si condensano desideri, paure e fantasie collettive.

La psicoanalisi lacaniana ha approfondito queste dinamiche ponendo attenzione alla struttura del discorso che un leader incarna e alla relazione inconscia che lega la massa a quella figura. In questo articolo, proveremo a classificare alcune forme di leadership secondo la loro struttura psichica dominante, a esplorare i diversi legami con le masse e a proporre esempi politici paradigmatici che illustrano tali dinamiche.


Tipi psichici di leadership e legami con la massa

Non tutti i leader sono uguali dal punto di vista psichico. Possiamo distinguere diverse strutture psicologiche prevalenti che influenzano profondamente il tipo di discorso che un leader adotta e la forma del legame che stabilisce con la massa.

1. Il leader narcisista

Il leader narcisista si propone come figura grandiosa, completa, che chiede alla massa una identificazione totale. È spesso carismatico, accentra il potere e cerca l’adorazione. L’esempio storico più noto è Hitler, ma si possono citare anche Mussolini o Donald Trump. La massa si riconosce nel suo narcisismo e ne amplifica l’immagine.

  • Struttura del discorso: discorso del padrone
  • Legame: identificazione immaginaria, idealizzazione

2. Il leader paranoico

In questo caso, il leader costruisce il suo potere sulla base di una divisione netta tra amici e nemici. Il mondo viene letto in chiave complottistica o persecutoria. La massa si unisce sotto la minaccia dell’Altro ostile. Esempi: Stalin, Netanyahu.

  • Struttura del discorso: padrone rigido
  • Legame: proiezione della colpa, coesione nella minaccia

3. Il leader isterico

Questo tipo di leader non si pone come il soggetto che sa, ma come colui che interroga il potere. Spinge la massa a mobilitarsi, a interrogarsi. È una figura inquieta, spesso in movimento. Zelensky e Greta Thunberg sono esempi contemporanei: pongono domande, attivano energie, mettono sotto pressione l’ordine esistente.

  • Struttura del discorso: discorso isterico
  • Legame: domanda, identificazione parziale, spinta alla trasformazione

4. Il leader ossessivo

È colui che guida richiamandosi alla legge, alla razionalità, alla norma. Incarna la stabilità, ma anche il rischio della rigidità. Si affida spesso alle istituzioni e alla coerenza logica del discorso. De Gaulle o Luigi Einaudi rappresentano questo modello.

  • Struttura del discorso: universitario
  • Legame: delega razionale, fiducia nella norma

5. Il leader generativo e situato

È un leader che parla dal margine, non si propone come colui che sa o che domina, ma apre uno spazio comune, attivando un desiderio condiviso. Può avere una funzione prossima a quella dell’analista: non impone, ma fa emergere. Gandhi e Martin Luther King sono esempi emblematici.

  • Struttura del discorso: prossimo al discorso dell’analista
  • Legame: evocazione del desiderio collettivo, decentramento dell’Io


Tipi di massa e risonanza psichica

Anche le masse non sono tutte uguali. Esse risuonano in modo diverso secondo la propria struttura psichica collettiva prevalente.

1. Massa identificatoria

È quella che si riconosce totalmente nel leader, aderendo senza riserve. Cerca un leader forte, sicuro, idealizzato. Trova risposta nei leader narcisisti e paranoici. Spesso si associa a derive autoritarie.

2. Massa interrogativa

È spinta da una domanda di cambiamento, di verità. Si mobilita più facilmente, è meno stabile ma più creativa. Si rispecchia in leader isterici o generativi.

3. Massa legalitaria

Cerca la stabilità, il rispetto delle regole, la coerenza. Preferisce leader ossessivi o universitari. Può sostenere progetti duraturi, ma anche irrigidirsi di fronte al cambiamento.

4. Massa frammentata

È tipica delle democrazie tardo-moderne. È dispersa, disillusa, su strutture profonde, inconsce, che condizionano le forme del potere e le possibilità di cambiamento. Capire questi legami attraverso la lente della psicoanalisi permette di leggere la storia politica con maggiore profondità.

Non si tratta di giudicare le strutture come superiori o inferiori, ma di riconoscere le loro dinamiche, le loro forze e i loro rischi. La possibilità di un legame generativo – in cui il leader non si impone ma apre – rappresenta forse oggi l’alternativa più feconda alla logica narcisistica o paranoica che ha dominato molti momenti della storia.


Esempi politici paradigmatici

Hitler e la struttura paranoico-narcisistica

Adolf Hitler rappresenta il modello del leader paranoico-carismatico. La sua ideologia totalitaria, costruita sull’identificazione tra popolo e Führer, funziona come un legame speculare in cui le masse si riconoscono nel leader come immagine ideale. Freud, nel saggio Psicologia delle masse e analisi dell'Io (1921), aveva già descritto come il leader funzioni come Ideal-Ich per la massa, producendo un effetto di ipnosi collettiva.

Gandhi e Martin Luther King: il modello isterico-propositivo

Sia Gandhi che Martin Luther King incarnano un altro tipo di legame. La loro leadership non si basa su un’identificazione chiusa ma sull’apertura a un Altro da sé (la non-violenza, la giustizia), che rilancia il desiderio collettivo e lo orienta verso una trasformazione. La loro struttura isterica si manifesta nel continuo interrogarsi sulla propria posizione e sul senso del proprio agire.

De Gaulle e la leadership ossessiva-istituzionale

Charles de Gaulle offre un esempio di leader con tratti ossessivi, legato a una visione ordinata e statuale della politica. Il suo ruolo nella rifondazione della Francia si basa su un’idea di continuità simbolica: la Nazione come valore superiore, la Costituzione come garanzia, la Legge come vincolo. La sua leadership genera fiducia perché si situa nel tempo lungo dell’istituzione.

Zelensky e la posizione isterica in contesto traumatico

Volodymyr Zelensky rappresenta un caso di leadership emersa in un contesto bellico. La sua posizione inizialmente ironica e teatrale si trasforma, sotto la pressione della guerra, in un appello costante all’Altro (Occidente, comunità internazionale). La sua struttura può essere letta come isterica, in quanto sempre spinta dal desiderio dell’Altro, nel tentativo di rappresentare la sofferenza e il bisogno di riconoscimento del proprio popolo.

Greta Thunberg: il desiderio come spostamento

Pur non essendo una leader politica nel senso stretto, Greta Thunberg rappresenta una forma di leadership distribuita e generativa. Non chiede identificazione, ma spinge a un movimento: «Ascoltate la scienza», «Agite». La sua posizione mobilita senza incarnare direttamente il significante padrone. In questo senso, si avvicina al "discorso dell’analista" di cui parla Lacan: si mette al posto della causa del desiderio per far sorgere un desiderio nuovo negli altri.


Conclusione

La psicoanalisi ci permette di leggere il fenomeno della leadership non solo in termini politici ma anche come risposta inconscia a una domanda di senso, identità e appartenenza. Le masse non sono passive, ma partecipano psichicamente al legame che il leader incarna. La responsabilità politica consiste anche nella capacità del leader di non saturare questo legame, ma di lasciarlo aperto alla trasformazione.

Bibliografia essenziale

  • Freud, S. (1921). Psicologia delle masse e analisi dell'Io.
  • Lacan, J. (1969-70). Il Seminario. Libro XVII. Il rovescio della psicoanalisi.
  • Fromm, E. (1941). Fuga dalla libertà.
  • Recalcati, M. (2007). L’uomo senza inconscio. Raffaello Cortina.
  • Laclau, E. (2005). La ragione populista. Laterza.
  • Badiou, A. (2009). Secondo manifesto per la filosofia.



venerdì 30 maggio 2025

La leadership generativa nel Terzo Settore: dinamiche soggettive e pratiche collettive in un’epoca di trasformazione

 

Social Worker


Introduzione: crisi economica, politica e sfide dell’internet economy

Il contesto economico e politico attuale è caratterizzato da una complessità crescente e da trasformazioni profonde, dovute alla crisi della globalizzazione neoliberale, all’instabilità geopolitica e alla diffusione accelerata delle tecnologie digitali, che modificano radicalmente i modelli di produzione, lavoro e partecipazione sociale. L’economia digitale (internet economy) impone nuove modalità di governance e di organizzazione, che incidono anche sui processi di rappresentanza e sulle forme di leadership.

In tale scenario, il Terzo Settore emerge come spazio cruciale di innovazione sociale, capace di tessere relazioni tra mercato, istituzioni e comunità. La sfida principale riguarda la capacità di sviluppare modelli di leadership che superino i limiti dei tradizionali approcci manageriali, spesso gerarchici e verticali, per adottare forme più fluide, distribuite e generative.


Leadership postmanageriale e generativa: definizioni e riferimenti teorici

La leadership postmanageriale si distingue per un approccio meno autoritario, fondato su pratiche di collaborazione, condivisione del potere e valorizzazione della soggettività collettiva. La leadership generativa, collegata a questa, si concentra sull’emergere di nuove soggettività e sulla costruzione di significati condivisi, attivando processi creativi e trasformativi all’interno delle organizzazioni.

Il contributo della psicoanalisi lacaniana risulta fondamentale per interpretare la leadership come funzione simbolica. Secondo tale prospettiva, la leadership agisce come “significante padrone” che organizza e stabilizza il campo sociale e simbolico, ma che nel modello generativo non si manifesta come imposizione rigida, bensì come apertura a un campo plurale, in cui più soggettività trovano spazio e possibilità di espressione.


La leadership nel Terzo Settore: pratiche distribuite e soggettività generative

Nel Terzo Settore, che include cooperative sociali, associazioni, enti non profit e realtà di economia sociale, la leadership generativa si manifesta in forme situate, distribuite e relazionali. Queste forme si fondano su valori di partecipazione, inclusione e mutualità, distinguendosi da modelli aziendalistici tradizionali.

Gli operatori sociali, educatori professionali, psicologi e figure di coordinamento svolgono funzioni di leadership diffusa, in cui il ruolo formale non coincide con l’esercizio effettivo della funzione simbolica di guida e facilitazione. La leadership qui è lavoro simbolico e relazionale, capace di integrare le diversità e di favorire processi di empowerment.

Esempio 1: un progetto di inclusione sociale in una grande città

In un’organizzazione dedicata all’inclusione sociale di persone in situazione di vulnerabilità, la leadership è distribuita tra educatori, mediatori culturali e coordinatori, che insieme costruiscono spazi di dialogo e decisione condivisa. La pratica di leadership generativa ha permesso di superare rigidità organizzative e di valorizzare le competenze e le esperienze dei singoli, migliorando la qualità degli interventi e la coesione interna.

Esempio 2: una rete territoriale per il sostegno alle famiglie

Una rete di enti del Terzo Settore impegnata nel sostegno alle famiglie ha sviluppato un modello di leadership situata, in cui i leader locali agiscono come facilitatori di processi di co-progettazione e mediazione tra diversi attori sociali. La leadership non è concentrata in un singolo soggetto, ma si distribuisce e si adatta alle diverse situazioni, promuovendo una governance partecipata e inclusiva.


Sindacalismo critico: laboratorio di leadership generativa

Anche nel campo sindacale, in particolare nei sindacati di base, si osserva un’importante evoluzione verso forme di leadership generativa e distribuita. Questi sindacati promuovono pratiche di autorganizzazione, partecipazione diretta e costruzione collettiva di strategie, mettendo in discussione i modelli tradizionali di rappresentanza verticale.

In questo contesto, la leadership si esprime come capacità di attivare soggettività multiple, riconoscere la pluralità delle identità lavorative e mediare i conflitti trasformandoli in momenti di innovazione sociale e culturale.

Esempio 3: rappresentanza dei lavoratori della gig economy

Un sindacato di base ha avviato una campagna di rappresentanza per lavoratori della gig economy, tipicamente frammentati e privi di tutele tradizionali. La leadership collettiva e assembleare ha permesso di costruire reti di solidarietà e di rivendicazione che intrecciano istanze economiche con pratiche culturali, favorendo una nuova soggettività politica dei lavoratori digitali.



Il ruolo di psicologi e educatori nel Terzo Settore

Psicologi, educatori professionali e assistenti sociali sono attori fondamentali della leadership generativa nel Terzo Settore. Non solo svolgono compiti tecnici, ma incarnano funzioni simboliche e relazionali che favoriscono la soggettivazione degli utenti, la mediazione culturale e la costruzione di comunità inclusive.

Gli psicologi, in particolare, contribuiscono come mediatori simbolici, sostenendo la trasformazione dei conflitti in risorse e facilitando processi di empowerment. Gli educatori professionali, con la loro capacità di facilitare dinamiche di gruppo e di relazione, rappresentano spesso nodi centrali nella rete di leadership distribuita.


Conclusioni

La leadership postmanageriale e generativa nel Terzo Settore si configura come una risposta strategica alle sfide poste dalle trasformazioni economiche, sociali e tecnologiche in atto. Essa implica una ridefinizione della leadership stessa, intesa come processo collettivo, distribuito e situato, capace di integrare dimensioni simboliche, relazionali e organizzative.

In questa prospettiva, il Terzo Settore diventa un laboratorio privilegiato per sperimentare forme di leadership che siano creative, inclusivi e politicamente significative, contribuendo a costruire comunità resilienti e capaci di innovazione sociale.


Bibliografia essenziale

  • Argyris, C., & Schön, D. (1978). Organizational Learning: A Theory of Action Perspective. Addison-Wesley.
  • Bennis, W. G. (2003). On Becoming a Leader. Basic Books.
  • Foster, R., & Kaplan, S. (2001). Creative Destruction. Crown Business.
  • Lacan, J. (1972). Le séminaire, Livre VIII: Le transfert. Seuil.
  • Magatti, M. (2019). La società in guerra. Il Mulino.
  • Ricketts, E. (2018). Generative Leadership in Practice. Palgrave Macmillan.
  • Ropo, A., & Salovaara, P. (2017). Leadership-as-Practice. Routledge.
  • Senge, P. M. (1990). The Fifth Discipline. Doubleday.
  • Wheatley, M. J. (2006). Leadership and the New Science. Berrett-Koehler.

sabato 24 maggio 2025

La notte come soglia: lettura lacaniana di “Di notte” di Mariangela Gualtieri

Notte come soglia



“Di notte” di Mariangela Gualtieri

Di notte
le mille faccende riposte
il chiacchierio delle cose
ottuso chiuso a chiave nello scrigno nero
e il tempo davanti pare esteso
e le stelle mandano lo sfolgorio
fin dentro le mie pupille chiuse.

Che notte di neve meravigliosa
dentro, nelle falde del cuore acceso
a tutto motore, che partitura
di silenzio e di luce.

Domani ancora caricheremo il fardello
faremo la fatica delle sporte
dolorose e del peso. Domani
tenteremo di destreggiarci
fra le spine del giorno.
Staremo nel precipizio delle faccende.
E poi di nuovo la notte col suo premio
di sospensione distesa.

La notte
che talmente avvicina l’oltretomba
e tutto il di là della vita
con le creature addormentate nel bosco
e la sua corda tesa di buio.

La notte su metà del pianeta
con mani addormentata sui cuscini
e occhi che si chiudono dentro tutte le case.

E ora da qui, dal nocciolo più interno
della notte, rifletto e accetto
l’alta compitazione, l’investitura
in scrittura terrestre, della sacrosanta vita
attutita, come imbottita e sepolta
nei corpi del genere umano.



Nella poesia “Di notte”, Mariangela Gualtieri ci conduce in uno spazio-tempo sospeso, dove il linguaggio si attenua, le cose tacciono, e si apre una soglia densa di silenzio e interiorità. Da un punto di vista psicoanalitico lacaniano, la notte evocata dalla poetessa può essere letta come il momento privilegiato in cui il soggetto, liberato dalla pressione del discorso dominante del giorno, si confronta con il proprio desiderio, con il Reale, e forse — in forma embrionale — con la possibilità di rilanciare un nuovo significante padrone (S1).

1. La sospensione del Simbolico e l’apertura al Reale

Gualtieri apre la poesia con l’immagine di un mondo che si ritira: “le mille faccende riposte”, “il chiacchierio delle cose ottuso, chiuso a chiave”. È il momento in cui il Simbolico dominante, con i suoi imperativi di efficienza, utilità e produttività, si ritira, lasciando spazio a un vuoto fertile. La notte non è solo assenza di luce, ma assenza di senso obbligato, una partitura di silenzio e di luce che apre la possibilità di un’altra scrittura, di un’altra articolazione soggettiva.

Qui si fa sentire il Reale, non come trauma brutale, ma come presenza viva e notturna, avvertita nel corpo: “il cuore acceso a tutto motore”. Un godimento, forse, che sfugge alla presa del Nome-del-Padre, e che si avvicina al godimento femminile indicato da Lacan nel Seminario XX — un godimento Altro, non tutto simbolizzabile.

2. Il soggetto nella notte: sospeso tra veglia e sogno

La notte descritta da Gualtieri non è semplicemente un tempo del riposo, ma un tempo in cui il soggetto si raccoglie, riflette, e accetta un compito: “dal nocciolo più interno della notte, rifletto e accetto l’alta compitazione”. In termini lacaniani, qui il soggetto non è più parlato dall’Altro, ma si assume come causa del proprio desiderio. La “scrittura terrestre” può allora essere vista come una forma di investitura soggettiva, il rilancio di un nuovo S1, che non domina, ma orienta.

Questo S1 è radicalmente diverso da quello del giorno, fatto di “fardelli”, “sporte dolorose”, “spine del giorno”: tutti segni del discorso del padrone moderno, che aliena il soggetto nella sua funzione sociale. La notte invece offre la possibilità di articolare un S1 singolare, forse poetico, forse etico, che nasce dall’esperienza del Reale e dalla sospensione del già-detto.

3. Il rilancio di un nuovo S1

In questa sospensione, possiamo leggere la notte come tempo propizio per rilanciare un nuovo significante padrone, non imposto dall’Altro, ma emerso dal fondo del soggetto. Questo nuovo S1 non è normativo, ma segnale di un altro possibile discorso, più vicino alla vita, alla fragilità, alla finitudine condivisa. La poesia stessa, nella sua forma, è già esempio di questo altro S1, che non comanda ma chiede ospitalità nel linguaggio.

Possiamo ipotizzare che questo S1 notturno — fragile, terreno, scritto — sia un S1 del legame, non della prestazione; un S1 che nomina la “sacrosanta vita attutita” nei corpi umani, e non la vita performante, visibile, riconosciuta. È, in questo senso, un S1 sottratto all’economia della visibilità, e perciò prossimo all’etica psicoanalitica del desiderio: non ciò che realizza, ma ciò che orienta nella notte.

4. Conclusione: un altro discorso è possibile

La notte di Gualtieri è un invito a sospendere il dominio dell’S1 diurno e a rendere possibile un altro discorso, fondato non sul comando, ma sulla scrittura del desiderio. In essa il soggetto non è annullato, ma trasfigurato dal silenzio e dalla possibilità di nominare altrimenti la propria vita.

In un’epoca segnata dal dominio dei discorsi tecnocratici e prestazionali, la poesia — e la notte che la rende possibile — possono essere lette come spazi di resistenza simbolica. Luoghi dove l’Altro non impone, ma ascolta, e dove il soggetto può rilanciare un S1 proprio, fragile e sacro, capace di dare inizio a un discorso più umano.


giovedì 22 maggio 2025

"Verrà la morte e avrà i tuoi occhi" di Cesare Pavese: una lettura lacaniana


Verrà la morte


Verrà la morte e avrà i tuoi occhi 

– questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.

Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

Cesare Pavese 


"Verrà la morte e avrà i tuoi occhi", scritta da Cesare Pavese tra marzo e giugno del 1950, è forse il testo più nudo, tragico e radicale dell’intera sua opera. Ultimo approdo della sua scrittura poetica e insieme testamento esistenziale, questa poesia rappresenta l’incontro del soggetto con il reale, là dove il simbolico vacilla e il desiderio si confronta con la sua impossibilità.

1. Biografia e bibliografia: un ritorno alla poesia come sinthomo

La poesia appartiene a un piccolo ciclo postumo, pubblicato nel 1951, poco dopo il suicidio di Pavese. Dopo anni dedicati alla narrativa (La casa in collina, Il diavolo sulle colline, La luna e i falò), Pavese ritorna alla forma lirica, ma non più nella modalità epica e narrativa di Lavorare stanca. Qui la poesia è essenziale, concentrata, assoluta. È il suo sinthomo nel senso lacaniano: una forma di legame soggettivo con il reale, che tiene insieme ciò che non può essere simbolizzato — il lutto, la mancanza, il godimento.

In questa fase finale della sua vita, Pavese appare disarmato, incapace di trovare ancora riparo nel mito (come nei Dialoghi con Leucò) o nella cultura. Resta solo il corpo a corpo con la mancanza: una scrittura che si fa confessione, ma anche soglia di sparizione del soggetto.

2. Lo sguardo dell’Altro come oggetto a

Il verso iniziale — "Verrà la morte e avrà i tuoi occhi" — è già tutto un programma di svelamento. In esso, la morte non ha volto proprio, ma assume quello dell’amata. Si affaccia così il reale nel luogo dell’Altro: la Cosa (das Ding) si iscrive nello sguardo dell’amore. Non si tratta di un amore consolante, ma dell’incontro traumatico con il godimento che eccede il senso, con l’oggetto a che abita lo sguardo dell’Altro.

In Lacan, lo sguardo è oggetto pulsionale: non restituisce l'immagine rassicurante dell’Io, ma la buca, la inquieta. Gli occhi dell’amata sono allora il punto in cui il soggetto si smarrisce, non perché tradito, ma perché esposto all’eccesso del godimento, al buco del significante.

3. Morte e desiderio: il fallimento dell’amore simbolico

Lacan insegna che l’amore cerca di colmare la mancanza dell’Altro, ma senza riuscirci: è sempre disallineato, sospeso. Qui, l’amore è totalmente attraversato dal fallimento: non resta parola che tenga, solo un volto che coincide con la morte. L’Altro amato si rivela non come garanzia simbolica, ma come luogo della perdita.

La poesia lacanianamente mostra che non c’è Nome-del-Padre che possa rappresentare il lutto. L’amata è reale, assoluta, non mediabile: rappresenta quella parte dell’Altro che non risponde, che uccide. In questo senso, l’amore non è redenzione, ma catastrofe.

4. Godimento e pulsione di morte

Nel testo si avverte una jouissance che non passa più attraverso il desiderio, ma si coagula in una pulsione di morte, in un abbandono alla fine. L’io poetico è incollato all’oggetto a, senza più possibilità di separazione simbolica. Non c’è sublimazione, né trasfigurazione. Solo l’essenziale: l’incontro tra il soggetto e il reale del godimento, che non può essere detto ma solo subito.

5. Scrivere per scomparire: il soggetto come resto

Se in Lavorare stanca il soggetto si collocava nel mondo, nella storia e nel paesaggio, qui si dissolve. La scrittura non è più gesto di fondazione, ma atto terminale. Pavese scrive la poesia come atto ultimo, non tanto per dire qualcosa, quanto per testimoniare il punto in cui la parola fallisce e resta solo l’oggetto del godimento.

In questo senso, Verrà la morte è anche una poesia sul fallimento del simbolico: non c’è elaborazione, non c’è lutto, solo l’apparizione cruda della fine.


Conclusione

"Verrà la morte e avrà i tuoi occhi" è uno dei testi più potenti della letteratura italiana del Novecento proprio perché è anche uno dei più puri esempi dell’incontro tra poesia e reale. In essa Pavese mostra ciò che nella sua opera era sempre stato latente: il desiderio come mancanza, l’amore come impossibilità, il soggetto come resto.

Letta nell’orientamento lacaniano, la poesia rivela la struttura profonda dell’esperienza soggettiva: il volto dell’amore come luogo della perdita, lo sguardo dell’Altro come oggetto a, la scrittura come sinthomo per tenere insieme ciò che altrimenti crolla.

Una poesia che, come il desiderio stesso, non consola. Ma dice — con precisione vertiginosa — l’impossibile da dire.



Il disagio nella famiglia contemporanea. Una lettura lacaniana

1. Introduzione La famiglia contemporanea si presenta come uno dei luoghi privilegiati in cui si manifesta il disagio psichico. Il venir m...