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sabato 26 luglio 2025

La Modernità e la sfida del Reale

«Il deserto cresce: guai a chi in sé cela deserti»

— Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra


La Modernità e la crisi dell’Assoluto

Nietzsche ha intuito come pochi altri il destino della modernità: con la “morte di Dio” si sarebbe aperto uno spazio vuoto, abitato da nuovi idoli e nuove volontà di potenza. Ma non si tratta solo di un crollo della fede, bensì dell’evaporazione di ogni fondamento stabile per la Legge, il Senso e il Desiderio. In termini lacaniani, potremmo dire che si è dissolto il Nome-del-Padre come garante dell’ordine simbolico, lasciando il soggetto esposto a un Reale senza mediazioni.

L’Occidente ha reagito a questa perdita assolutizzando altri registri: la tecnica, il capitale, la scienza, il consumo. Il vuoto lasciato da Dio è stato colmato da forme secolarizzate di assoluto, non meno dogmatiche. Lungi dall’aprire una pluralità libera di sensi, la crisi del sacro ha spesso prodotto fondamentalismi moderni. Come ha scritto Lacan, il discorso del capitalista promette di eludere la castrazione simbolica: "funziona a meraviglia, ma proprio per questo va verso la catastrofe" (Lacan, “Radiophonie”).


Il ritorno dei fondamentalismi

Nel vuoto lasciato dall’Assoluto religioso, si sono affacciati nuovi assolutismi. Da un lato i fondamentalismi religiosi, che riattivano in forma regressiva e violenta il significante Padre. Dall’altro, una tecnocrazia globale che sostituisce l’autorità con l’algoritmo e la decisione con la previsione. In entrambi i casi, ciò che si evita è il confronto con il Reale: l’inconsistenza dell’Altro, il non-senso radicale del desiderio umano.

Il fondamentalismo religioso reintroduce un Dio-Altro totale, che ordina e punisce; la tecnocrazia promette un mondo senza soggettività, dove tutto può essere calcolato. In questa polarità, la modernità si mostra in tutta la sua ambivalenza: emancipatrice e ansiogena, razionale e delirante. La verità è che nessuno vuole davvero abitare il Reale: si preferisce l’Altro pieno, sia sotto forma di Shari’a che di Intelligenza Artificiale.


Capitalismo e autoritarismi: una dialettica inquietante

Non va dimenticato che anche il capitalismo è un fondamentalismo. Come scrive Žižek, esso funziona come “una religione senza teologia”: totalizzante, globale, non negoziabile. Ma oggi il suo dominio non è più indiscusso. Dopo la lunga stagione della globalizzazione liberale, assistiamo a un ritorno dell’elemento statuale e autoritario: Russia, Cina, India e molte altre nazioni promuovono modelli che intrecciano capitalismo e controllo sociale, mercato e comando.

La Russia di Putin propone una restaurazione simbolica in chiave nazionale-religiosa, mescolando ortodossia, patriottismo e gestione centralizzata. La Cina afferma un capitalismo tecnocratico senza democrazia, in cui il Partito assume il ruolo di S1: significante-padrone che regola senso, storia e identità. Gli USA, pur restando una potenza capitalistica liberale, si trovano attraversati da pulsioni autoritarie interne e da una sfida esterna che ne relativizza l’universalismo.

In questo scenario multipolare, il capitalismo non sparisce: si adatta. Assume coloriture culturali diverse, si ibrida con modelli verticali, perde la sua maschera liberal-progressista. Nasce una dialettica tra mercato e comando, tra algoritmo e decisione, tra flusso e muro. E forse, come suggeriva Lacan nella sua lettura del Discorso del capitalista, questa dialettica è destinata a esplodere, perché elude troppo a lungo la questione della mancanza.


L’Europa e la sfida della simbolizzazione

In questo contesto, l’Europa appare fragile ma anche potenzialmente feconda. Non ha più un centro, ma conserva la memoria del tragico, del conflitto, della pluralità. Potrebbe rappresentare una via alternativa tra fondamentalismi religiosi e totalitarismi tecnici, tra mercato assoluto e Stato assoluto. Ma per farlo dovrebbe ripensare radicalmente il proprio rapporto con il Reale, rinunciando all’illusione di una armonia preconfezionata.

Ciò significa riscoprire il limite come risorsa: la castrazione simbolica come condizione di libertà, non come perdita da negare. Significa, in termini politici, pensare la legge non come imposizione ma come campo di mediazione. E accettare che la verità non sia mai tutta, che il soggetto sia sempre decentrato, che nessun sistema possa redimere una volta per tutte la mancanza d’essere.


Conclusione

La modernità è il tempo della mancanza dell’Altro. Nietzsche lo ha anticipato, Lacan lo ha teorizzato, la geopolitica lo conferma. Il rischio è di sostituire l’Altro che manca con dei simulacri assoluti: Dio, mercato, algoritmo, Stato. La sfida è un’altra: abitare il Reale, senza dogmi, senza garanzie, senza padroni. Solo così il soggetto – e forse anche l’Europa – potrà tornare a desiderare.


Breve Bibliografia

  • Nietzsche, F. (1882). La gaia scienza.
  • Lacan, J. (1970). Radiophonie in Autres Écrits.
  • Lacan, J. (1972). Il Seminario XX – Encore.
  • Žižek, S. (2006). Viviamo in tempi interessanti.
  • Han, B.-C. (2014). La società della trasparenza.
  • Esposito, R. (2009). Pensiero vivente.




 



mercoledì 16 luglio 2025

Dio è inconscio. Perché l’ateismo non basta

 



«La vera questione dell’ateismo è che Dio è inconscio»
— Jacques Lacan, Seminario XX – Encore (1972–1973)

 

Lacan non ha mai smesso di sorprenderci con le sue formule taglienti e provocatorie. Ma tra tutte, una spicca per la sua potenza teorica e simbolica:


«La vera questione dell’ateismo è che Dio è inconscio».


Una frase che rovescia la prospettiva razionalista del moderno “non credente” e ci invita a pensare in modo diverso il rapporto tra soggetto, fede e linguaggio.

L’inconscio non è ateo

Per Lacan, Dio non è un oggetto di fede, ma un significante. Non qualcosa da credere o negare, ma una funzione simbolica: il nome dell’Altro assoluto, del punto da cui proviene la Legge, il senso, la colpa, il desiderio stesso.
Quando dice che Dio è inconscio, Lacan non intende che Dio si nasconde in qualche angolo della psiche, ma che la funzione di Dio opera nella struttura del linguaggio stesso, là dove prende forma l’inconscio.

Freud aveva già mostrato che la religione nasce da bisogni profondi: la protezione, la colpa, il bisogno di un Padre. Ma Lacan va oltre: anche se ci si dichiara atei, il “posto di Dio” può continuare a strutturare il nostro rapporto con l’ideale, con la Legge, con il godimento.


Anche l’ateo ha un Dio

Il soggetto che dice “non credo” non è per questo liberato dalla funzione che Dio occupava nel proprio discorso.
Anzi: se non ha elaborato quel significante, Dio può ritornare sotto altre forme.
Può diventare Scienza assoluta, Ideale morale, Mercato, Nazione, Progresso, Successo.
L’ateo non è immune dal sacro. Lo ha solo spostato.

In questo senso, l’ateismo ingenuo è una rimozione, non una liberazione. È il rischio di non sapere più come e dove Dio agisce dentro di sé, nel proprio modo di desiderare, obbedire, colpevolizzarsi.
Un ateismo che non attraversa l’inconscio può essere più dogmatico di molte fedi.


La traversata del significante “Dio”

Lacan non ci chiede di credere in Dio. Ci invita a trattare il significante “Dio” come un sintomo, qualcosa che ha strutturato il soggetto e che merita ascolto, non negazione.
L’unica forma di “ateismo” autentico, in questa prospettiva, è un’elaborazione soggettiva della funzione di Dio nell’inconscio.
Un lavoro che passa per il riconoscimento di come abbiamo ricevuto la Legge, di cosa ci comanda da dentro, di come immaginiamo il nostro giudice, la colpa, la redenzione.

L’ateismo non è dire “Dio non esiste”, ma interrogare il luogo da cui Dio parlava. Solo così si può disattivare il potere assoluto di quel significante.


Il posto vuoto

Forse, in fondo, l’ateismo radicale è impossibile.
Perché esiste sempre, nella struttura del soggetto, un posto per Dio. Anche solo come vuoto.
E questo vuoto — che può chiamarsi mancanza, Legge, Altro, Nome-del-Padre — non è qualcosa da colmare, ma da abitare consapevolmente.

L’etica che ne deriva non è quella del credente né quella del razionalista, ma di chi sa che non c’è garanzia.
Che il senso non è dato.
Che l’Altro non esiste, ma ci parla lo stesso.
E che Dio, anche rimosso, lascia tracce nel modo in cui parliamo, godiamo, desideriamo.


Conclusione

“La vera questione dell’ateismo è che Dio è inconscio” non è una formula mistica, ma una diagnosi strutturale.
Non si può semplicemente liberarsi di Dio, come non ci si libera del desiderio o del linguaggio.
Ci si può solo interrogare:

  • Quale posto occupa Dio nella mia storia?
  • In che forma parla ancora in me?
  • Quali nomi lo hanno sostituito?

In questa traversata, non c’è verità assoluta, ma un soggetto che si responsabilizza del proprio rapporto con l’Altro, anche quando l’Altro è silenzioso.


giovedì 10 luglio 2025

🌍 Crisi globale: economia, guerra e godimento. Lettura della disgregazione contemporanea


1. Crisi multipla: economia, desiderio, governance

  • Per Marx, la crisi è interna al capitale stesso, che produce contraddizioni tra valore d’uso e accumulazione di plusvalore.
  • Per Keynes, la crisi è fallimento del coordinamento tra investimento, consumo e aspettative: quando nessun attore prende l’iniziativa, il sistema collassa.
  • Per Lacan, il discorso capitalista produce un godimento senza mancanza, dove l’Altro simbolico è espulso e il soggetto funziona come ingranaggio.

Insieme, questi tre sguardi ci mostrano un mondo in cui:

  • il capitale cerca solo accumulazione,
  • lo Stato ha rinunciato a ogni funzione anticiclica e coordinativa,
  • il soggetto è sottomesso al godimento cieco.


2. La guerra come manifestazione catastrofica delle contraddizioni

Le guerre in Ucraina e Gaza non sono solo eventi politici o geopolitici: sono la manifestazione catastrofica delle contraddizioni sistemiche.

  • Per Marx, la guerra è spesso una "valvola di sfogo" per il capitale in crisi, un modo per distruggere capitale e forza lavoro in eccesso, e rilanciare cicli di accumulazione.
  • Per Keynes, la guerra esplode quando fallisce il coordinamento economico tra Stati, e l’investimento pubblico viene sostituito dalla corsa agli armamenti e dalla logica del panico.
  • Per Lacan, la guerra rappresenta il ritorno del reale in forma cruda: quando la parola viene espulsa, resta solo il godimento dell’annientamento.

L’assenza di un Altro simbolico condiviso – sia esso la diplomazia, il diritto internazionale, o la cooperazione economica – lascia spazio a identità paranoiche, fantasie di purezza, potere senza legittimità.

Le guerre contemporanee sono dunque il luogo in cui convergono:

  • la crisi della rappresentanza,
  • la crisi del capitale,
  • la crisi del senso.

Sono, a tutti gli effetti, il punto di rottura del legame globale.


3. Disordine geopolitico: dal mercato mondiale a zone di godimento

Keynes sognava un mondo coordinato attraverso istituzioni multilaterali (FMI, Banca Mondiale) e bilanciamenti commerciali (Bretton Woods). Oggi, invece, assistiamo a:

Zona Logica dominante Sintomo
USA Politica monetaria + dazi Ritorno al protezionismo competitivo
Cina Investimento statale strategico Capitalismo guidato ma opaco
UE Austerità e paralisi Frammentazione interna
Russia Comando verticale Guerra come strumento di coesione
Israele Ethno-capitalismo militarizzato Guerra permanente
Sud globale Dipendenza e shock esterni Reazioni a catena di instabilità

Marx direbbe: è la crisi terminale del mercato mondiale. Keynes: è la rottura della fiducia sistemica. Lacan: è il godimento che rifiuta l’Altro.


4. Il fallimento dell’intervento pubblico

Un punto decisivo in ottica keynesiana è che gli Stati, dopo la crisi del 2008, hanno:

  • salvato le banche, ma non riformato i meccanismi del profitto;
  • stampato moneta, ma non investito in infrastrutture o redistribuzione;
  • alimentato la speculazione, ma non riattivato la domanda interna in modo duraturo.

Ciò ha alimentato:

  • l’accumulazione di debito pubblico senza contropartita produttiva,
  • il ritorno delle élite finanziarie come nuovi padroni,
  • l’inflazione come conflitto redistributivo irrisolto.

In ottica lacaniana, lo Stato non è più garante dell’Altro, ma funziona come S1 amministrativo, gestore di algoritmi, incapace di produrre legame.


5. Antigone e il rifiuto del “funzionamento senza soggetto”

In un mondo in cui:

  • il capitalismo si auto-riproduce senza limiti,
  • il discorso sociale è strutturato sull'eccitazione e sul controllo,
  • lo Stato abdica alla sua funzione regolativa,

Antigone diventa figura politica fondamentale: non è nostalgia dell’ordine, ma testimonianza di un’etica del limite.

In termini keynesiani:

  • serve una nuova volontà collettiva che rompa l’equilibrio perverso tra rendita e miseria, tra algoritmo e guerra.

In termini lacaniani:

  • serve una riapertura del desiderio, che rimetta la mancanza al centro del legame.


Conclusione: senza mancanza, senza progetto

Per Marx, la crisi viene dal profitto cieco. Per Keynes, dal fallimento della fiducia e dell’intervento pubblico. Per Lacan, dalla cancellazione della mancanza e dell’Altro.

Oggi, le tre crisi coincidono:

  • crisi economica (disuguaglianze, inflazione, debito),
  • crisi politica (guerre, nazionalismi, ritorno del comando),
  • crisi simbolica (assenza di desiderio, saturazione del godimento).

In assenza di soggetti che manchino, progettino, coordinino e parlino, il mondo si disgrega tra comando militare e funzionamento algoritmico.

La posta in gioco non è solo il PIL, ma la possibilità stessa del legame umano e politico.


📚 Bibliografia essenziale

  • Karl Marx, Il Capitale, vol. I-III
  • John M. Keynes, Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, 1936
  • Jacques Lacan, Il seminario. Libro XVII: Il rovescio della psicoanalisi, 1969-70
  • Wolfgang Streeck, Tempo guadagnato, 2013
  • Nancy Fraser, Capitalismo cannibale, 2022
  • Alain Badiou, La vera vita, 2016
  • Slavoj Žižek, Il coraggio della disperazione, 2017
  • Christian Marazzi, Capitale e Linguaggio 


lunedì 19 maggio 2025

Soggettività performativa e Crisi del Legame simbolico

Logica Coordinativa


1. Introduzione

La logica coordinativa rappresenta una delle configurazioni dominanti della razionalità contemporanea. Essa si fonda su una modalità di pensiero e di organizzazione sociale che mira a mettere in relazione elementi molteplici senza conflitto, senza gerarchia esplicita, attraverso il principio della connessione funzionale. Tale logica, apparentemente neutra e inclusiva, produce in realtà forme insidiose di desoggettivazione, sottraendo al soggetto la sua possibilità di insistenza, di rottura, di domanda etica radicale. Questa logica attraversa tanto il campo politico quanto quello clinico, sociale e persino educativo, e si manifesta nella governance, nella psicologia adattiva, nella pedagogia prestazionale.


2. Razionalità coordinativa e funzionamento sistemico

Come ha osservato Habermas, la razionalità moderna si è differenziata in due registri: la razionalità strumentale del sistema e la razionalità comunicativa del mondo della vita. Tuttavia, la proposta habermasiana di salvare la sfera comunicativa tramite un'etica del discorso sembra oggi insufficientemente radicale. La logica coordinativa assorbe anche il discorso etico in un regime di gestione, dove il conflitto viene convertito in procedura, e la domanda viene trasformata in problema da risolvere.

In questo senso, si può affermare con Adorno che "non c’è vita vera nella vita falsa" (Minima Moralia, 1951). La logica coordinativa neutralizza la negatività, l’attrito che costituisce la materia della soggettività e dell’etica. Essa si presenta come la forma postmoderna della razionalità funzionalista, in cui tutto si connette, ma nulla resiste.


3. Clinica del soggetto e razionalità coordinativa

Nel campo clinico, tale logica si manifesta nel passaggio dalla psicoanalisi alla psicoterapia evidence-based, dalla domanda all’adattamento, dal sintomo come messaggio al sintomo come disfunzione. La clinica della ragione coordinativa è quella che non vuole sapere del soggetto, ma solo dei suoi comportamenti, dei suoi pattern, dei suoi deficit. Come sottolinea Lacan, la psicoanalisi non è una psicologia dell’Io, ma una pratica del soggetto diviso, strutturato dal linguaggio, irriducibile alla funzione adattiva (Écrits, 1966).

L’inconscio, in questa logica, diventa rumore, il sintomo una distorsione, e la cura una normalizzazione. In tale orizzonte, la clinica si trasforma in governance dell’individuo, in ingegneria della felicità o della resilienza. Come ricorda Byung-Chul Han (La società della stanchezza, 2010), l’individuo contemporaneo si sente libero proprio mentre è completamente inserito in un regime prestazionale che lo rende responsabile del proprio fallimento.


4. Etiche orientali e razionalità funzionale

Il confronto con le etiche orientali può sembrare, a prima vista, offrire un’alternativa alla logica occidentale. Tuttavia, se osservate nella loro ricezione contemporanea, queste etiche – fondate sull’armonia, sull’adattamento all’ordine naturale, sulla dissoluzione dell’ego – si prestano spesso a una riattivazione funzionalista. Come sottolinea Sloterdijk, il buddhismo globale oggi agisce più come tecnica di ottimizzazione dell'umore che come rottura dell’ordine costituito (Devi cambiare la tua vita, 2009).

In molti casi, tali etiche diventano supporti spirituali al neoliberismo, producendo una soggettività flessibile, disponibile, non conflittuale. L’armonia viene così dislocata dalla sfera etico-politica a quella della performance adattiva, e il soggetto si ritrae in una interiorità disattivata, anestetizzata.


5. Politica e desoggettivazione

La logica coordinativa si esprime politicamente nella forma della governance, nella sostituzione della decisione con la mediazione procedurale, del conflitto con il consenso. Sloterdijk ha messo in evidenza come la politica tardo-moderna tenda a trasformarsi in "cura del mondo", perdendo il legame con la passione del politico e con il rischio del dissenso radicale.

Zizek, in questo contesto, denuncia il modo in cui la democrazia liberale sopravvive solo come rituale, svuotata di contenuto sovversivo: "il soggetto politico autentico emerge nel momento in cui l’ordine simbolico vacilla" (Meno di niente, 2012). La logica coordinativa, al contrario, tende a suturare ogni rottura, convertendo l’evento in procedura, la rivolta in riforma, la soggettivazione in gestione.


6. Genealogia della soggettività occidentale

Come ha argomentato Kantzas (La Polis senza Creonte e senza Antigone, 2011–2025), il soggetto occidentale nasce dalla frattura tra legge e desiderio, tra ordine politico e istanza etica. Questa frattura, che la tragedia greca mette in scena attraverso Antigone e Creonte, è l’archetipo del soggetto come scissione. Anche la tradizione giudaico-cristiana, con Abramo, i profeti, e infine il Cristo, pone il soggetto davanti a un Altro che non coincide con l’ordine sociale. La modernità secolarizza questa frattura nella figura del soggetto autonomo, ma diviso: tra ragione e volontà, tra legge morale e felicità.

La logica coordinativa tenta di suturare questa frattura, proponendo un soggetto armonico, prestazionale, pienamente integrato nei dispositivi. Kantzas osserva che la "polis postmoderna" vuole il corpo di Antigone e la ragione di Creonte senza la loro tragedia, producendo così un soggetto impolitico, senza desiderio e senza legge.


7. Conclusione: Critica della ragione coordinativa

La ragione coordinativa, lungi dall’essere una neutralizzazione pacifica del conflitto, si rivela come una strategia per l’eliminazione della soggettività. Essa funziona come una desublimazione repressiva: promette liberazione, ma produce conformismo; promette dialogo, ma riduce il dissenso; promette cura, ma produce normalizzazione.

Contro questa logica, è urgente rilanciare una clinica e una politica del soggetto. Una clinica che non si accontenti di curare, ma che sappia sostenere la verità del sintomo. Una politica che non cerchi il consenso, ma la possibilità di un nuovo inizio. Come afferma Adorno: “L’unica etica che resta è quella che si fa carico dell’impossibilità dell’etica” (Dialettica negativa, 1966).


Bibliografia

  • Adorno, T.W., Minima Moralia, 1951
  • Adorno, T.W., Dialettica negativa, 1966
  • Byung-Chul Han, La società della stanchezza, Nottetempo, 2010
  • Habermas, J., Teoria dell’agire comunicativo, 1981
  • Kantzas, P., La Polis senza Creonte e senza Antigone. Lezioni Fiorentine, UNIFI ScienPo, 2011–2025
  • Kierkegaard, S., Timore e tremore, 1843
  • Lacan, J., Écrits, 1966
  • Sloterdijk, P., Devi cambiare la tua vita, 2009
  • Zizek, S., Meno di niente, 2012


venerdì 16 maggio 2025

Genealogia della Modernità: antecedenti filosofici


La modernità occidentale si costituisce come un dispositivo storico, simbolico ed economico che ha prodotto una nuova forma di soggettivazione. La filosofia critica del Novecento – da Nietzsche a Weber, da Heidegger a Marx – ha messo in discussione il presunto progresso lineare, rivelando le ambivalenze dell’epoca moderna. In questo contesto, anche la psicoanalisi freudiana e la sua riformulazione lacaniana possono essere comprese come espressioni e insieme strumenti critici della modernità.


1. Soggetto moderno e disincanto

Con Nietzsche, la modernità appare come epoca del “nichilismo”, cioè della crisi dei valori supremi. Dio è morto e l’uomo moderno si trova esposto a un vuoto simbolico. Weber traduce questo in termini sociologici: la razionalizzazione moderna porta al “disincantamento del mondo” (Entzauberung), ossia alla perdita di senso globale, sostituito da sistemi razionali e impersonali. Heidegger, da parte sua, parla di “oblio dell’essere” e riduzione dell’ente a mera risorsa (Bestand).

Lacan, riprendendo il cogito cartesiano, afferma che il soggetto della modernità nasce diviso: “là dove penso non sono, là dove sono non penso”. Il soggetto moderno è quindi effetto del linguaggio e dell’ordine simbolico, e non è padrone di sé.


2. Marx, Lacan e il soggetto espropriato

Marx è centrale per comprendere la modernità come ordine economico fondato sull’alienazione. Nella sua analisi, il capitalismo moderno espropria il lavoratore non solo del prodotto del suo lavoro, ma della sua stessa soggettività. Il soggetto moderno è spogliato della propria forza vitale, trasformato in funzione del profitto. Questa figura dell’alienazione economica anticipa, in chiave materialistica, ciò che Lacan chiamerà l’effetto di scissione strutturale del soggetto.

In particolare, Lacan elabora la nozione di plus-de-jouir (plusgodere) come ripresa del concetto marxiano di plusvalore. Dove Marx descrive l’estrazione del valore in eccesso da parte del capitale, Lacan individua un godimento in eccesso che il soggetto non può integrare, ma da cui è catturato. Il discorso del capitalista, nel Seminario XVII, mostra come il ciclo produzione–consumo aggiri la castrazione simbolica e prometta un godimento pieno, senza mancanza, rendendo però il soggetto ancora più alienato.


3. La psicoanalisi come figlia della modernità

La nascita della psicoanalisi, a cavallo tra XIX e XX secolo, non è casuale: essa è una risposta ai sintomi dell’epoca moderna. Il disagio nella civiltà freudiano (Das Unbehagen in der Kultur) evidenzia la tensione tra pulsione e legame sociale, tra godimento e legge. Freud individua nell’inconscio l’effetto del rimosso, e nella nevrosi la cifra del soggetto moderno. Lacan rilegge questa scoperta nella cornice del linguaggio, mostrando come l’Altro strutturi il desiderio.

In una società in cui la legge tradizionale si è indebolita e le figure simboliche dell’autorità sono evaporate, il soggetto è lasciato solo davanti al proprio godimento. Questo spiega anche l’aumento dei sintomi contemporanei: depressioni, dipendenze, acting-out. La psicoanalisi si offre così come dispositivo di lettura della crisi del soggetto moderno.


4. Tecnica, controllo e capitalismo contemporaneo

L’attuale fase del capitalismo, segnata dalla rivoluzione digitale e dal capitalismo delle piattaforme, intensifica le tendenze già presenti nella modernità. Heidegger aveva colto nella tecnica non un semplice insieme di strumenti, ma una modalità di svelamento del reale: tutto viene ridotto a risorsa disponibile. Il controllo digitale – basti pensare al sistema cinese di credito sociale, che attribuisce punteggi comportamentali ai cittadini, premiando o punendo in base alla conformità – rappresenta una nuova forma di governamentalità.

In questo contesto, la psicoanalisi lacaniana aiuta a comprendere come il soggetto venga interpellato non solo dall’Altro simbolico, ma anche da un Altro algoritmico, che conosce i suoi desideri prima che egli stesso li formuli. Il soggetto diventa così sempre più “trasparente” e, al tempo stesso, più inconsapevole.

5. Conclusione: genealogia critica del soggetto moderno

La genealogia della modernità ci mostra che il soggetto moderno non nasce libero, ma diviso, alienato, espropriato. La libertà promessa dalla modernità è spesso contraddetta dalle sue stesse strutture: razionalizzazione, accumulazione, controllo tecnico, standardizzazione.

Lacan, in dialogo implicito con Marx, Nietzsche, Weber e Heidegger, ci offre una chiave per pensare criticamente il soggetto contemporaneo. Non si tratta di rifiutare la modernità, ma di leggerla nei suoi dispositivi costitutivi e nelle sue aporie, per riaprire lo spazio di un desiderio che non sia ridotto a consumo né a prestazione.


Bibliografia

  • Freud, S. (1930). Il disagio della civiltà. Opere, vol. 10. Bollati Boringhieri.
  • Heidegger, M. (1954). La questione della tecnica. In Saggi e discorsi. Mursia.
  • Lacan, J. (1969–1970). Il Seminario. Libro XVII: Il rovescio della psicoanalisi. Einaudi.
  • Lacan, J. (1968–1969). Il Seminario. Libro XVI: Da un Altro all’altro. Einaudi.
  • Lacan, J. (1970). Radiophonie. In Autres Écrits. Seuil.
  • Marx, K. (1844). Manoscritti economico-filosofici. Einaudi.
  • Marx, K. (1867). Il Capitale, vol. I. Editori Riuniti.
  • Nietzsche, F. (1887). Genealogia della morale. Adelphi.
  • Weber, M. (1919). La scienza come professione. Laterza.
  • Žižek, S. (1989). Il sublime oggetto dell’ideologia. Laterza.


giovedì 15 maggio 2025

Modernità: l'Epoca dell’Altro senza garanzia.


Modernità


1. Introduzione

La modernità, più che una semplice epoca storica, è un’esperienza soggettiva complessa, segnata da una trasformazione profonda del legame tra individuo, autorità, desiderio e godimento. Una lettura psicoanalitica della modernità – soprattutto di orientamento lacaniano – consente di cogliere le discontinuità simboliche, le nuove forme del disagio e le mutazioni dell’Altro che la caratterizzano. Il soggetto moderno non è semplicemente “più libero” o “più razionale”, ma è interpellato da un cambiamento strutturale dell’ordine simbolico, che incide sul modo in cui si costituisce il desiderio e si regola il godimento.


2. La decostruzione dell’Altro: crisi dell’ordine simbolico

Jacques Lacan ha posto la questione dell’“evaporazione del Padre” come uno dei tratti distintivi della modernità. Il Padre simbolico – funzione dell’ordine, del divieto e della Legge – si indebolisce sotto la pressione dell’egualitarismo democratico, della tecnoscienza e della disgregazione dei legami tradizionali.

“Non c’è Altro dell’Altro” (Lacan, Séminaire XI, 1964), afferma Lacan: l’ordine simbolico non può più contare su una garanzia ultima, trascendente. Questo provoca uno slittamento dal Nome-del-Padre a un’“iterazione di nomi”, ovvero a un regime simbolico pluralizzato, senza garanzia.

L’evaporazione del significante padrone produce un soggetto “iper-responsabile”, che deve costruire il proprio destino senza riferimenti stabili, e ciò apre lo spazio a nuovi sintomi: iperattività, angoscia, dipendenze, identità fragili.


3. L’ideologia dell’autonomia e il soggetto “sovrano”

La modernità esalta l’autonomia, l’autodeterminazione, l’autenticità. Tuttavia, dal punto di vista psicoanalitico, questa affermazione dell’“Io” è spesso un travestimento dell’ideale dell’Io (Ichideal), una maschera narcisistica dietro cui si cela l’angoscia di fondo di un soggetto non più sostenuto da un Altro consistente.

Come osserva Charles Melman:

“Il soggetto moderno è colui che ha perduto l’inscrizione simbolica del desiderio, ma non per questo rinuncia a godere” (Melman, L’homme sans gravité, 2002).

La psicoanalisi mostra come questa sovranità del soggetto sia spesso attraversata da un godimento senza limiti, che sfocia nell’auto-sfruttamento, nella medicalizzazione del disagio, nella depressione come nuova forma di legame con l’Altro scomparso.

4. Modernità e nuovo legame sociale: il “discorso capitalista”

Lacan, nel suo Séminaire XVII, formalizza il “discorso capitalista” come una mutazione dei legami sociali. In questo discorso, il soggetto viene messo in posizione di consumatore, separato dall’Altro e immerso in un ciclo infinito di godimento.

“Il discorso capitalista è folle, perché è insostenibile” (Lacan, 1969-70). Esso rimuove il limite, promette un godimento illimitato e cancella il punto di impossibilità attorno al quale si costituisce il desiderio.

Nel regime del discorso capitalista, l’oggetto a diventa un oggetto di consumo, il desiderio è trasformato in bisogno, e il soggetto è sempre in difetto rispetto a un godimento promesso ma mai pienamente raggiunto. La clinica odierna – fatta di ansie, dipendenze, depressioni, agiti – riflette questo slittamento strutturale.


5. Modernità e godimento: tra libertà e sintomo

L’accesso moderno a una molteplicità di stili di vita e di scelte non produce automaticamente una maggiore libertà soggettiva. Piuttosto, mette il soggetto davanti alla necessità di “inventare” il proprio legame con il godimento, di scegliere il proprio significante padrone, spesso senza il supporto di una tradizione simbolica condivisa.

“Nel momento in cui l’Altro vacilla, il soggetto è messo davanti alla necessità di fare esistere un legame laddove non ce n’è più uno garantito” (Miller, L’orientation lacanienne, 2005).

La sfida della modernità, dunque, non è tanto il superamento della Legge, ma la possibilità di costruire un nuovo legame, più contingente, ma non per questo privo di etica. Una psicoanalisi all’altezza della modernità non ha nostalgia del Padre, ma accompagna il soggetto nella creazione di un legame singolare con il desiderio.


6. La psicoanalisi come sintomo della modernità

Freud fonda la psicoanalisi nel cuore del passaggio alla modernità avanzata. La Vienna fin-de-siècle è una città attraversata dalle tensioni tra scienza e religione, tra tradizione patriarcale e liberalismo emergente, tra un’autorità in declino e un soggetto borghese che chiede di “parlare”. Non è un caso che la psicoanalisi nasca come scienza della parola e del desiderio, proprio nel momento in cui la Legge simbolica tradizionale – incarnata nella figura paterna borghese, medico, giudice o sacerdote – comincia a vacillare.

La nevrosi, al centro della clinica freudiana, è il sintomo del soggetto moderno che non riesce più a trovare un posto nel discorso sociale. Il disagio nella civiltà (Das Unbehagen in der Kultur, 1930) non è un semplice effetto collaterale, ma una verità strutturale della modernità: quando il godimento viene represso in nome della coesione sociale, si converte in sintomo. La psicoanalisi nasce per far parlare il soggetto dove la Legge non parla più, o parla troppo.

“Dov’era l’Es, sarà l’Io” (Wo Es war, soll Ich werden) – dice Freud (1933): ma questo Io non è padrone, è un luogo vuoto da costruire nel linguaggio.

In questo senso, la psicoanalisi è moderna, ma non modernista: si iscrive nella crisi della tradizione e della Legge, ma non crede alla redenzione del soggetto autonomo e trasparente. Al contrario, mostra la struttura dell’inconscio come condizione strutturale del soggetto parlante, e dunque i limiti della razionalità moderna.

“L’inconscio è la politica” – dirà Lacan (Séminaire XVII), nel senso che ogni soggetto è strutturato da un discorso, e nessuna autonomia può prescindere dalla sua dipendenza da un Altro.

La psicoanalisi è così una forma di pensiero radicalmente moderna perché riconosce il vuoto al centro del soggetto, ma anche una forma di resistenza alla deriva della modernità, quando questa vuol colmare quel vuoto con oggetti, tecnologie o ideologie totalizzanti.


7. Dal Discorso capitalista al Capitalismo digitale.

Nella sua ultima elaborazione, Lacan definisce il discorso capitalista come un discorso senza barriera, dove il soggetto è spinto a godere (jouir) senza passare per la mediazione simbolica del desiderio. Questo modello si è radicalizzato nel XXI secolo con il capitalismo digitale, in cui l’algoritmo prende il posto dell’Altro, prescrivendo desideri, preferenze e comportamenti.

“Il godimento è diventato un imperativo sociale: godi subito, mostra il tuo sé, ottimizza te stesso” – osserva Byung-Chul Han (La société de la transparence, 2012).

In questo quadro, la Legge è sostituita da un controllo invisibile, performativo, autoindotto. La psicoanalisi, con il suo invito a sostenere il desiderio nella sua opacità, può diventare un punto di resistenza contro l’omologazione del soggetto al modello di consumatore efficiente e performante.

“La psicoanalisi è contro il coaching, contro il management dell’anima, contro l’ottimizzazione del soggetto” – scrive Jacques-Alain Miller (L’orientation lacanienne, 2011).

Il soggetto moderno, così come analizzato da Freud e Lacan, è un soggetto diviso, attraversato da una mancanza che non può essere colmata dal consumo. In questo senso, la psicoanalisi è contemporanea alla modernità, ma non ne è una semplice espressione: è la sua interrogazione critica.

9. Conclusione

La modernità, nella lettura psicoanalitica, è la scena di una trasformazione radicale del legame simbolico. L’indebolimento dell’Altro, la crisi del significante padrone e l’invadenza del godimento ridefiniscono la posizione del soggetto e del suo sintomo. Lacan non offre una critica della modernità in senso reazionario, ma una diagnosi delle sue tensioni strutturali. La psicoanalisi si pone così non come difesa dell’ordine perduto, ma come spazio per l’elaborazione soggettiva del vuoto lasciato dall’Altro, in vista di un’etica del desiderio rinnovata.


10. Bibliografia estesa e citazioni aggiuntive

  • Freud, S. (1930). Das Unbehagen in der Kultur (Il disagio della civiltà).
  • Freud, S. (1933). Neue Folge der Vorlesungen zur Einführung in die Psychoanalyse.
  • Ehrenberg, A. (1998). La fatigue d’être soi. Odile Jacob.
  • Lacan, J. (1969–70). Séminaire XVII: L’envers de la psychanalyse. Seuil.
  • Lacan, J. (1972–73). Séminaire XX: Encore. Seuil.
  • Miller, J.-A. (2011). L’orientation lacanienne – La fuite du sens. Cours inédit.
  • Han, B.-C. (2010). La société de la fatigue. L’Arachnéen.
  • Han, B.-C. (2012). La société de la transparence. L’Arachnéen.
  • Melman, C. (2002). L’homme sans gravité: Jouir à tout prix. Denoël.
  • Žižek, S. (1999). The Superego and the Act. In: The Ticklish Subject. Verso.
  • Foucault, M. (1976). Histoire de la sexualité I: La volonté de savoir. Gallimard.
  • Castel, R. (1995). Les métamorphoses de la question sociale. Gallimard.
  • Harari, Y. N. (2017). Homo Deus. Harvill Secker.
  • Stiegler, B. (2010). Ce qui fait que la vie vaut la peine d’être vécue. Flammarion.

mercoledì 7 maggio 2025

Logiche della trascendenza e dell’immanenza nella psicoanalisi lacaniana (con François Jullien)


1. Introduzione

La riflessione di François Jullien sulle due logiche fondamentali che hanno strutturato la storia del pensiero – la logica della trascendenza e quella dell’immanenza – offre una prospettiva originale e feconda anche per rileggere la teoria e la pratica della psicoanalisi lacaniana. Se la logica della trascendenza è tipica del pensiero occidentale, e consiste nella separazione tra l’essere e il mondo, tra l’ideale e il reale, tra il soggetto e l’Altro, la logica dell’immanenza – elaborata secondo Jullien attraverso lo studio del pensiero cinese – privilegia la continuità, la coemergenza, l’inclusione tra i poli del reale.

2. Lacan e la logica della trascendenza

Lacan, nella sua fedeltà alla struttura del pensiero occidentale, ha operato entro una logica della trascendenza. Il concetto di Nome-del-Padre (Nom-du-Père), ad esempio, è centrale per la costruzione simbolica del soggetto e per la separazione tra il desiderio materno e la posizione del soggetto nel linguaggio. Il Nome-del-Padre è ciò che introduce la legge e che spezza la fusionalità originaria, rendendo possibile l’accesso al registro simbolico. In questo senso, Lacan si colloca in una tradizione che ha pensato la verità come separata, come mancante, come oltre.

Come afferma Jullien, “la trascendenza, nel pensiero europeo, struttura il pensiero come distanza, come differenza e come oltrepassamento” (De l’universel, de l’uniforme, du commun et du dialogue entre les cultures, 2008, p. 57). Questa distanza è la stessa che Lacan articola nella funzione del significante e del soggetto come effetto del significante.

3. Lacan e la logica dell’immanenza

Tuttavia, nella fase più avanzata del suo insegnamento, Lacan si avvicina sorprendentemente a una logica dell’immanenza, soprattutto nel lavoro sul reale e sul godimento. L’oggetto a, ad esempio, non è un oggetto trascendente, ma un resto immanente, qualcosa che insiste e si manifesta come eccedenza immanente al simbolico.

Inoltre, quando Lacan esplora la scrittura cinese nella lezione del 20 gennaio 1971 (in Le Séminaire, Livre XVIII. D’un discours qui ne serait pas du semblant), lo fa per problematizzare il rapporto tra significante e senso, e per interrogare una forma di pensiero che non si fonda sulla metafisica dell’assenza o della mancanza. Il carattere cinese, osserva Lacan, è un "corpo visivo" che funziona nel linguaggio non come pura differenza fonematica ma come "traccia condensata di senso". Si tratta di un’apertura verso una logica non-dualistica.

Jullien nota come “il pensiero cinese non cerca di astrarre una verità al di sopra delle cose, ma di seguire la trasformazione delle situazioni immanenti” (Traité de l’efficacité, 1996, p. 11). In tal senso, il lavoro clinico lacaniano, in alcune sue applicazioni, può avvicinarsi a una strategia non direttiva e non normante, che osserva e lavora sul tempo proprio di ogni soggetto, senza imporgli un telos o una forma esterna.

4. Integrazione delle due logiche: esempi applicativi

Un’ipotesi feconda è quella di pensare a un’integrazione delle due logiche nella pratica psicoanalitica e in altri ambiti della cura e dell’educazione.

In ambito clinico, ad esempio, la logica della trascendenza può orientare il lavoro attorno alla funzione del Nome-del-Padre, all’interpretazione come taglio e alla dialettica del desiderio. Ma, nello stesso tempo, un’attenzione immanente al processo, alla variazione e alla continuità del transfert può aiutare a cogliere dimensioni del soggetto che non si lasciano catturare in strutture rigide.

Nel lavoro educativo con soggetti disabili, per esempio, un approccio trascendente può proporre una griglia simbolica di lettura (struttura, mancanza, desiderio), mentre uno immanente lavora sulla modulazione dell’ambiente, sulle microvariazioni corporee, sulla trasformazione della presenza come spazio che include anche il non-verbale.

Nella politica, la logica della trascendenza si traduce spesso in ideali universali, progetti di liberazione o rivoluzione, mentre quella dell’immanenza valorizza processi di trasformazione situata, attenzione ai contesti, pratiche del possibile.

Come scrive Jullien: “Non si tratta di scegliere una logica contro l’altra, ma di farle lavorare insieme, per far emergere ciò che ciascuna lascia in ombra” (Il saggio dell’intimità, 2014, p. 83).

5. Conclusione

Il confronto tra Lacan e Jullien apre uno spazio di pensiero inedito: una psicoanalisi che sa ancora pensare la mancanza e la struttura, ma che sa anche stare nelle pieghe del presente, nei movimenti minimi del godimento e della parola. Pensare la clinica, l’etica, la politica e l’educazione come spazi in cui le due logiche – quella della trascendenza e quella dell’immanenza – possono coabitare, senza escludersi, significa rilanciare il lavoro sul soggetto nella sua complessità.


Bibliografia

  • Jullien, F. (1996). Traité de l’efficacité. Grasset.
  • Jullien, F. (2008). De l’universel, de l’uniforme, du commun et du dialogue entre les cultures. Fayard.
  • Jullien, F. (2014). Il saggio dell’intimità. Raffaello Cortina.
  • Lacan, J. (1971). Le Séminaire, Livre XVIII. D’un discours qui ne serait pas du semblant. Seuil.
  • Lacan, J. (1966). Écrits. Seuil.
  • Bonazzi, M. (2007). Lo sguardo di Giano. L’interculturalità come filosofia. Mimesis.

Vuoi che ora estenda ulteriormente la parte sull’educazione o aggiunga esempi dal mondo della politica o della clinica psichiatrica?

Ho ampliato il paragrafo sull'integrazione tra le due logiche con esempi applicativi nei campi clinico, educativo e politico. Vuoi che ora approfondisca anche altri ambiti, come l’estetica o la teologia?

domenica 4 maggio 2025

I Nomi del Padre e la Dinamica Edipica nelle Civiltà Una lettura psicoanalitica comparata delle strutture simboliche globali

Introduzione

Nel mondo contemporaneo, la crisi del simbolico e le sfide poste dalla soggettivazione si declinano in modi differenti secondo le coordinate culturali. Seguendo lo schema delle "civiltà" delineato da Samuel P. Huntington (The Clash of Civilizations, 1996), questo articolo esamina le strutture simboliche globali alla luce della teoria lacaniana del Nome-del-Padre e della dinamica edipica. L’obiettivo è mettere in luce le specificità e le tensioni della soggettivazione nelle principali civiltà mondiali, con un’attenzione particolare alle impasse e alle risorse dell’Occidente contemporaneo.


1. Occidente: soggettivazione, crisi e potenziale

La civiltà occidentale, fondata sulla tradizione giudaico-cristiana, ha prodotto una soggettività centrata sul desiderio e sull’interiorità, organizzata intorno alla funzione simbolica del Nome-del-Padre come garante della Legge e dell’autorità simbolica (Lacan, 1969-70). Tale struttura ha permesso lo sviluppo della democrazia, dei diritti umani e del pensiero critico, incarnando un’etica della responsabilità individuale.

Tuttavia, Huntington (1996) sottolinea che l’Occidente affronta oggi una crisi di coesione culturale e simbolica: la dissoluzione delle grandi narrazioni e l’affermazione del discorso capitalista hanno indebolito il Nome-del-Padre, generando soggetti spesso narcisisticamente autoreferenziali o smarriti nel godimento dell’Altro (Zizek, 1999). Nonostante ciò, questo vuoto simbolico apre possibilità di una nuova soggettivazione più flessibile e plurale, in grado di integrare desiderio, responsabilità e legami sociali.


2. Islam: Legge, trascendenza e sfida alla modernità

Nel mondo islamico, il Nome-del-Padre si incarna nella Legge religiosa, che è giuridica e divina insieme. Huntington evidenzia la centralità della comunità religiosa (Umma) come orizzonte identitario e politico, dove la Legge divina (Sharia) guida la soggettivazione.

La dinamica edipica è spesso mediata da un’autorità trascendente e non personalizzata. Questa struttura assicura coesione ma pone sfide all’integrazione con la modernità e la pluralità dei desideri individuali. I fondamentalismi rappresentano forme di irrigidimento dell’S1, mentre realtà più flessibili mostrano aperture simboliche e mediative (Arkoun, 1994).


3. India: molteplicità simbolica e oltre l’edipo

La complessità del sistema simbolico indiano, con il suo pantheon polifonico e il rigido sistema delle caste, genera una soggettivazione meno centrata sulla figura paterna individuale e più radicata in un ordine gerarchico e ciclico (Dumont, 1966). Huntington include l’India tra le civiltà con forti radici culturali che resistono alla modernizzazione omologante.

In questo contesto, la dinamica edipica tradizionale appare limitata o trasformata; la soggettivazione è comunitaria, con risvolti che proteggono ma anche limitano l’emergere di un soggetto moderno autonomo.


4. Africa subsahariana: oralità, comunità e simbolico collettivo

La civiltà africana subsahariana si fonda su legami comunitari e genealogici che incarnano un Nome-del-Padre collettivo, legato agli antenati e alle pratiche rituali. Huntington sottolinea la ricchezza culturale ma anche la vulnerabilità di queste società di fronte a pressioni globali.

La soggettivazione è fortemente relazionale e meno centrata sull’individuo, con una Legge più implicita e condivisa. La modernità spinge a una rinegoziazione dei legami simbolici tradizionali (Mbembe, 2013).


5. Civiltà sinica: ordine, armonia e simbolico impersonale

La cultura cinese, per Huntington una delle più influenti nel mondo contemporaneo, si caratterizza per una soggettivazione fondata sull’armonia sociale e sull’adempimento di ruoli (Jullien, 1998). Il Nome-del-Padre è impersonale, incarnato in un ordine etico e politico che privilegia il collettivo sull’individuale.

La funzione edipica classica è ridotta, con una soggettivazione centrata più sull’adempimento che sul conflitto desiderante. Questa struttura, pur stabile, deve oggi confrontarsi con la spinta alla soggettivazione individuale e ai cambiamenti tecnologici.


6. Mondo ortodosso: verticalità e simbolizzazione sacrale

La civiltà ortodossa, in particolare quella russa, presenta una forte verticalità simbolica, dove il Nome-del-Padre è legato alla figura dello Zar e della Chiesa, e alla missione spirituale collettiva (Etkind, 1997). Huntington individua la Russia come una civiltà con profonde radici storiche e culturali proprie, contrapposta all’Occidente.

La soggettivazione è segnata da una tensione tra identificazione con l’ideale collettivo e difficoltà di autonomia. Tuttavia, la tradizione spirituale russa offre anche una mistica della responsabilità soggettiva, che può costituire un’alternativa alla soggettivazione occidentale frammentata.


Conclusione

L’analisi psicoanalitica comparata mostra come ogni civiltà sviluppi proprie modalità di simbolizzazione del Padre, della Legge e del desiderio. L’Occidente, pur nelle sue impasse attuali — come l’individualismo esasperato e la crisi del legame sociale — ha prodotto una soggettivazione capace di libertà, conflitto e innovazione simbolica.

Le altre civiltà evidenziano strutture simboliche che, pur meno centrali sull’individuo, offrono risorse di coesione e senso, ma anche limiti nella produzione di soggetti autonomi. Nell’epoca della globalizzazione, una psicoanalisi interculturale può aiutare a pensare un Nome-del-Padre plurale e aperto, che consenta nuove forme di legame e di soggettivazione.


Bibliografia

  • Lacan, J. (1969-70). Le Séminaire, Livre XVII: L’envers de la psychanalyse. Paris: Seuil.
  • Huntington, S. P. (1996). The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order. Simon & Schuster.
  • Arkoun, M. (1994). Rethinking Islam: Common Questions, Uncommon Answers. Westview Press.
  • Dumont, L. (1966). Homo Hierarchicus. Gallimard.
  • Mbembe, A. (2013). Critica della ragione nera. Vita e Pensiero.
  • Jullien, F. (1998). A Treatise on Efficacy: Between Western and Chinese Thinking. University of Hawaii Press.
  • Etkind, A. (1997). Internal Colonization: Russia's Imperial Experience. Polity Press.
  • Zizek, S. (1999). Il godimento come fattore politico. Meltemi.



giovedì 1 maggio 2025

Papa Francesco: Il Santo della Scarità




Con la morte di Papa Francesco si chiude un’epoca che ha lasciato un’impronta profonda nella storia della Chiesa e della soggettività contemporanea. Jorge Mario Bergoglio, il primo papa proveniente dall’America Latina, ha incarnato una discontinuità rispetto ai modelli precedenti: meno sovrano teologico e più testimone, meno maestro di dottrina e più uomo del Vangelo vissuto nella carne del mondo. La sua eredità è già materia di interpretazione, ma una chiave ci sembra particolarmente feconda: quella che Lacan offre con il termine scarità.

Non si tratta di un semplice calco della parola “carità”. Lacan, in un passaggio denso e paradossale del suo Seminario VII, afferma: “Io non do la carità. Io do la scarità.” Qui si parla non di un dare che colma, ma di un dare che sottrae, di un gesto che non risponde alla domanda dell’altro col soddisfacimento, ma lo rilancia verso il proprio desiderio. Il soggetto etico, per Lacan, non è chi consola, ma chi resta fedele al vuoto che abita l’umano. È colui che, come Antigone, si espone a ciò che non può essere rappresentato.

In questo senso, Papa Francesco non è stato il papa della carità nel senso classico e rassicurante del termine, ma qualcosa di più scandaloso e per certi versi più evangelico: il papa della scarità. La sua figura è stata segnata da una costante rinuncia a occupare il posto dell’Altro: ha decentrato il papato, lo ha desimbolizzato, ha disattivato l’aura monarchica che ancora resisteva nei palazzi vaticani. Non ha voluto regnare, ma abitare.

Nel suo stile pastorale, questo si è tradotto in gesti di prossimità, certo, ma soprattutto in un’assunzione della propria mancanza. Francesco ha mostrato che anche il papa può chiedere perdono, può sbagliare, può tacere. Di fronte agli scandali della Chiesa non ha reagito con la potenza dell'autorità, ma con la fragilità di chi accetta di non poter riparare tutto. Ha preso su di sé il peso di una Chiesa ferita, senza pretendere di guarirla del tutto. Ha scelto di restare nella ferita, facendola parlare.

Questa è la scarità: non un vuoto da colmare, ma un vuoto da custodire. È ciò che ha permesso a molti — anche ai non credenti — di rispecchiarsi nella sua figura. Non perché dicesse ciò che volevano sentirsi dire, ma perché, come il vero terapeuta o il vero educatore, sapeva come non saturare lo spazio. Ha dato voce a ciò che nella Chiesa e nel mondo restava inascoltato: i poveri, i migranti, i popoli periferici, i fedeli che vivono amori “irregolari”. Non ha dato loro una soluzione, ma una parola.

Il suo pontificato, sul piano politico, è stato segnato da un’opposizione radicale all’individualismo neoliberista. Ha denunciato senza mezzi termini “l’economia che uccide”, i “nuovi idoli del denaro”, la “globalizzazione dell’indifferenza”. Tuttavia, non ha offerto un sistema alternativo, né ha cercato di ricostruire un ordine forte. Anche qui, ha operato secondo la logica della scarità: ha tolto sicurezze, ha disturbato le coscienze, ha indicato un’etica dell’inquietudine. Il suo messaggio sociale non è stato un programma, ma un appello aperto.

Nel rapporto con la modernità, Francesco ha cercato un equilibrio difficile: ha accolto il pluralismo, ma non si è dissolto in esso; ha dialogato con la scienza, con le altre religioni, con la cultura secolare, ma ha mantenuto una posizione di differenza. Una differenza non arrogante, ma testimone: quella di chi non ha paura di mostrare il proprio limite.

Forse è proprio in questo che sta la sua santità: non nella perfezione, ma nella fedeltà a un vuoto. Non nella coerenza, ma nella tensione. Francesco non ha voluto incarnare il Padre, ma l’uomo che ne testimonia l’assenza operante. Come un segno, un simbolo che non chiude, ma apre. Come una soglia, fragile e luminosa.

Papa Francesco lascia dietro di sé una Chiesa ancora spaccata, attraversata da tensioni dottrinali e culturali profonde. Ma lascia anche una traccia: quella di un papa che ha osato non colmare, non coprire, non dominare. Un papa che ha mostrato, con la sua vita, che la scarità può essere più feconda della carità. E che l’amore, per essere davvero umano, deve passare per la mancanza.


Dal velo di Maya all’oggetto a: Schopenhauer, Freud e Lacan


1. La frattura con l’ottimismo idealista

Arthur Schopenhauer si forma nel cuore della filosofia tedesca post-kantiana, ma il suo pensiero si sviluppa in radicale opposizione a quella corrente. Fichte, Schelling e soprattutto Hegel avevano costruito sistemi filosofici che leggevano la storia come sviluppo progressivo dello Spirito. La realtà era razionale, la ragione era totalizzante, e il negativo (il dolore, la morte, il male) era inglobato in una visione conciliatoria.

Schopenhauer rompe con tutto ciò: la realtà non è razionale, la storia non ha senso, e l’essere umano è mosso da una forza cieca e irrazionale. Prendendo da Kant la distinzione tra fenomeno e noumeno, egli identifica il noumeno non con un principio divino o morale, ma con una Volontà oscura, senza scopo, che si manifesta in ogni essere vivente come desiderio incessante, sofferenza, pulsione di vita e di morte.

2. Il mondo come volontà: dolore e desiderio

Nel Mondo come volontà e rappresentazione, Schopenhauer descrive la condizione umana come tragica: siamo immersi nella rappresentazione, illusi dai sensi e dal principio di individuazione (spazio-tempo), ma nel profondo siamo Volontà che vuole e non sa perché. La vita è sofferenza, perché desiderare significa mancare, e il soddisfacimento è solo una pausa prima di un nuovo desiderio.

Questa visione anticipa molti temi che saranno al centro della riflessione moderna: la scissione del soggetto, la negatività strutturale del desiderio, l’illusorietà del senso, l’estetica come sollievo momentaneo. Ma è con Freud che questa ontologia del desiderio assume una forma clinica e psichica.

3. Freud: dall’inconscio alla pulsione di morte

Freud eredita da Schopenhauer l’intuizione che l’uomo non è padrone in casa propria, che dietro il pensiero cosciente agiscono forze cieche e contraddittorie. L’inconscio freudiano è popolato da desideri, rimozioni, pulsioni che sfuggono al controllo razionale.

Come la Volontà in Schopenhauer, anche l’inconscio freudiano è ripetizione, compulsione, desiderio che non trova pace. Freud introduce la nozione di pulsione di morte, una tendenza autodistruttiva che riporta al cuore negativo della volontà schopenhaueriana: non vogliamo vivere, vogliamo semplicemente volere, anche contro noi stessi.

La differenza fondamentale è che Freud storicizza queste forze nel contesto del soggetto moderno, della sessualità, della civiltà. Ma l’eredità schopenhaueriana è profonda: non siamo razionali, e la felicità non è il nostro destino.

4. Lacan: Das Ding e il reale come mancanza

Con Lacan, il confronto si fa ancora più diretto. Nella sua rilettura freudiana, Lacan riporta il desiderio al centro dell’inconscio, ma lo articola linguisticamente. Il soggetto si costituisce nel linguaggio, e il desiderio nasce dalla mancanza strutturale generata dal significante.

Lacan riprende da Freud l’idea di Das Ding, la “Cosa” originaria, inattingibile, oggetto perduto che motiva il desiderio ma non può mai essere colmato. Questo “oggetto” è affine alla Volontà schopenhaueriana: una presenza oscura, radicalmente estranea, che abita il soggetto senza identificarsi con la sua coscienza.

L’oggetto a, teorizzato da Lacan come causa del desiderio, è l’eredita trasformata di quella Volontà cieca: non ciò che vogliamo, ma ciò che ci fa volere. Lacan, come Schopenhauer, rifiuta ogni fondazione razionale o armonica del soggetto. L’essere umano è mancanza, scarto, sconnessione.

5. Conclusione: una genealogia del negativo

Schopenhauer apre una linea di pensiero che attraversa tutto il pensiero moderno non idealista: la scoperta che l’uomo è mosso dal desiderio, non dalla ragione, che la verità non redime, e che la mancanza è costitutiva del soggetto.

Freud fa di questa mancanza una teoria dell’inconscio. Lacan la trasforma in una struttura simbolica. Tutti e tre, però, rifiutano l’ottimismo razionalista e aprono la via a un pensiero tragico, clinico, reale.

Una linea, insomma, che va dal dolore della volontà alla mancanza del desiderio, e che continua a interrogare la condizione umana ben oltre la modernità.


mercoledì 30 aprile 2025

Lo scontro di civiltà e l’emergere di un’etica della responsabilità condivisa


Abstract

L’articolo esplora la relazione tra le principali civiltà contemporanee, come delineato da Samuel Huntington, e le strutture simboliche che le sostengono, mettendo in dialogo questa analisi con la teoria lacaniana della soggettività e del legame. In particolare, si indaga come, in un mondo multipolare attraversato da crisi e disgregazioni, possa emergere un’etica della responsabilità reciproca. Attraverso il confronto tra civiltà occidentale, islamica, sinica e altri poli culturali, si delinea il tentativo di superare sia la chiusura identitaria che l'universale astratto, aprendo la possibilità di un riconoscimento fondato sulla mancanza condivisa, sulla vulnerabilità e sul desiderio dell’Altro.


1. Introduzione: oltre lo scontro di civiltà

Samuel Huntington, nella sua celebre opera The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order (1996), ha sostenuto che il conflitto del XXI secolo sarebbe stato caratterizzato dal confronto tra diverse "civiltà", ognuna definita da radici culturali e religiose distinte. L'Occidente, l'Islam, la Cina e altre civiltà sarebbero emerse come poli di potere e valori contrapposti. Sebbene la tesi di Huntington abbia suscitato ampie critiche per il suo determinismo e la sua rigidità, il suo concetto di "scontro culturale" è rimasto una chiave di lettura delle dinamiche geopolitiche contemporanee.

Tuttavia, in un mondo sempre più interconnesso, i confini tra le civiltà non sono così netti, e le frizioni culturali si mescolano nei contesti globalizzati, nelle città cosmopolite e nei flussi migratori. La domanda centrale che emerge da questa dinamica è: può esistere una forma di etica condivisa tra civiltà, fondata sul riconoscimento reciproco e sulla responsabilità?


2. Le strutture simboliche delle civiltà: una lettura lacaniana

Lacan, nel suo seminario Il rovescio della psicoanalisi (1969-70), ha indicato che ogni civiltà si fonda su una struttura simbolica che organizza il desiderio e i legami. Le civiltà contemporanee, quindi, non sono solo unità politiche o culturali, ma strutture simboliche che plasmano la soggettività degli individui.

  • L’Occidente post-cristiano, in particolare, ha attraversato un processo di svuotamento simbolico, in cui il "Nome-del-Padre" (la figura autoritaria e simbolica che organizza la vita sociale) ha perso il suo ruolo centrale. Questo ha dato origine a una soggettività che Lacan descrive come il "discorso del capitalista", un ordine simbolico che, come nota Žižek, "è centrato sul godimento senza mancanza", in cui l’individuo è spinto a competere e a consumare in modo perenne, senza mai trovare soddisfazione.

  • Il mondo islamico, al contrario, continua a mantenere un S1 (Significante padrone) solido, rappresentato dalla legge religiosa e dall’autorità spirituale. Tuttavia, questa struttura simbolica è sotto pressione, in particolare con le tensioni tra sunnismo e sciismo, e con il conflitto tra la tradizione religiosa e le sfide della modernità. Lacan, nella sua teoria del S1, ci ricorda che l’ordine simbolico di una civiltà non è mai statico, ma in continua trasformazione.

  • La civiltà sinica, infine, fonda la sua organizzazione simbolica sulla coordinazione armonica dello Stato e della famiglia, come delineato nel pensiero confuciano. Qui, il legame sociale è il risultato di una visione integrata del soggetto all'interno della comunità, e il riconoscimento reciproco è spesso mediato dal rispetto per l'autorità statale.

In queste diverse strutture, il riconoscimento e la responsabilità sono giocati a livelli distinti, ma il loro impatto sulle relazioni tra le civiltà è fondamentale. Come sottolineato da Axel Honneth (1992), il riconoscimento reciproco è alla base di ogni giustizia sociale, e il conflitto tra diverse forme di riconoscimento è una delle chiavi per comprendere le disuguaglianze globali.


3. Il ritorno del soggetto responsabile

Lacan ci insegna che il soggetto non nasce dall’identità, ma dalla mancanza e dalla divisione. Ogni soggetto è costituito dal desiderio di riconoscimento, ma anche dalla sua fragilità. L’etica del riconoscimento non si fonda su un universale astratto, ma sulla responsabilità verso la mancanza dell’altro. Come sostiene Paul Ricoeur (1990) nel suo concetto di "etica della responsabilità", l’essere umano è chiamato a rispondere non solo agli altri, ma anche a ciò che è vulnerabile e irriducibile.

In una situazione globale multipolare, la responsabilità non può più essere solo un atto di individualismo, ma deve riconoscere la relazione interdipendente tra i popoli e le civiltà. Judith Butler (2004) sottolinea che la vulnerabilità è ciò che ci lega come esseri umani, e che ogni forma di giustizia deve essere costruita sulla base di questo riconoscimento della nostra condizione fragile e interconnessa.


4. Verso un’etica inter-civiltà: né relativismo né imposizione

In un mondo plurale, non possiamo accontentarci di un relativismo che nasconda le disuguaglianze, né di un’imposizione universale che neghi le differenze culturali. Come argomentato da Charles Taylor (2007), un’etica inter-civiltà deve essere in grado di riconoscere le diverse strutture simboliche, ma anche di trovare spazi condivisi per il dialogo e il riconoscimento reciproco.

Un’etica della responsabilità non può imporsi dall'alto, ma deve costruirsi attraverso la comunicazione simbolica e il riconoscimento delle differenze. Derrida (1997) ha parlato di "ospitalità" come la modalità fondamentale di relazione con l’altro, dove accogliere l’estraneo senza pretese di dominio è il primo passo per una responsabilità reciproca.


5. Conclusione: un mondo comune da costruire

La crisi dell’Occidente e l’emergere di altre potenze globali non devono essere visti solo come rischi, ma come opportunità di rinnovare la nostra visione del legame sociale. Un’etica della responsabilità reciproca non implica una uniformità culturale, ma una consapevolezza della fragilità condivisa e della necessità di riconoscere l’altro come parte integrante della nostra umanità.

Questo processo, come sostiene Giorgio Agamben (2003), non passa attraverso la conquista del potere, ma attraverso l’abitare le crepe del potere stesso, attraverso pratiche quotidiane di cura, accoglienza e dialogo. È nella responsabilità condivisa che possiamo iniziare a costruire un nuovo spazio comune, fondato non su identità chiuse, ma sul riconoscimento della nostra vulnerabilità collettiva.


Bibliografia

  • Agamben, G. (2003). L’amico.
  • Butler, J. (2004). Precarious Life: The Powers of Mourning and Violence.
  • Derrida, J. (1997). De l’hospitalité.
  • Honneth, A. (1992). Kampf um Anerkennung: Zur moralischen Grammatik sozialer Konflikte.
  • Huntington, S. (1996). The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order.
  • Lacan, J. (1969-70). Il seminario. Libro XVII: Il rovescio della psicoanalisi.
  • Ricoeur, P. (1990). Soi-même comme un autre.
  • Taylor, C. (2007). A Secular Age.


venerdì 4 aprile 2025

Marx con Lacan: soggettività, godimento e legame sociale





 



1. L’incontro: oltre la dicotomia struttura/soggetto

Mettere Marx con Lacan non significa solo accostare due nomi, ma pensare una forma di dialettica trasversale tra struttura economico-sociale e inconscio soggettivo. È un’operazione che ha attraversato il pensiero del Novecento, e che ha trovato formulazioni significative soprattutto in Louis Althusser, che già negli anni ’60 cercava una “lettura sintomatica” di Marx influenzata da Freud e Lacan.

Althusser introduce il concetto di interpellazione ideologica, per cui il soggetto è chiamato ad esistere dentro i dispositivi ideologici del potere. È un primo ponte tra Marx e Lacan: il soggetto non è un punto di origine, ma un effetto. Tuttavia, mentre Althusser rimane su un piano quasi strutturalista, sarà Slavoj Žižek a introdurre il godimento, il desiderio, e il reale lacaniano all’interno del discorso marxista.

Con Žižek, il soggetto non è solo effetto di ideologia, ma eccedenza e impasse, punto di rottura della struttura stessa. In questo senso, il soggetto non è puramente determinato, ma porta in sé una possibilità di atto.


2. Ideologia, discorso e soggettivazione

Nel pensiero marxista classico, l’ideologia ha una funzione mistificatrice: nasconde i rapporti di produzione, rende naturali relazioni sociali storicamente determinate. Per Marx, la coscienza non determina la vita, ma è la vita sociale, materiale, a determinare la coscienza.

Althusser, nella sua riformulazione teorica, definisce l’ideologia come un sistema di rappresentazioni che “interpellano” gli individui come soggetti. Qui si innesta Lacan: l’interpellazione non è solo politica o istituzionale, ma simbolica, ossia mediata dal linguaggio. Il soggetto è strutturalmente alienato nel significante, perché non coincide mai con se stesso. L’identità che si costruisce è sempre un’effrazione, un effetto del discorso dell’Altro.

Ernesto Laclau e Chantal Mouffe portano questa riflessione sul terreno del discorso politico: ogni soggettività collettiva (il popolo, la classe, il genere) è un effetto discorsivo, costruito attraverso catene di equivalenze e antagonismi. Il “popolo” non pre-esiste, ma viene prodotto simbolicamente tramite un significante vuoto (come il Lacaniano S1) attorno a cui si aggregano domande sociali.

L’inconscio, allora, non è solo individuale, ma anche sociale: è il punto in cui i discorsi si intrecciano, falliscono, si condensano. In questo senso, il soggetto è sempre attraversato da tensioni tra identificazione e mancanza, tra narrazione dominante e desiderio proprio.


3. Il godimento come dispositivo di potere

Laddove Marx aveva visto nel lavoro alienato la forma principale di spoliazione, Lacan introduce un’altra figura del potere: il godimento (jouissance). Il capitalismo contemporaneo, soprattutto nella sua fase neoliberale, non reprime più: comanda di godere, di produrre se stessi come merci desiderabili, di essere liberi, creativi, performanti.

Slavoj Žižek analizza questa mutazione: il potere non vieta, ma eccita. L’ideologia non funziona più come censura, ma come incentivo al godimento. Il soggetto si trova intrappolato tra l’impossibilità del godere pienamente e l’obbligo di provarci comunque. È qui che il capitalismo diventa una forma di governamentalità libidica: ci colpevolizza non perché trasgrediamo, ma perché non siamo all’altezza del godimento che ci promette.

Questo produce soggetti angosciati, depressi, iperattivi o anestetizzati: il disagio nella civiltà capitalista, direbbe Freud, ha preso nuove forme.

Anche Dardot e Laval, pur non essendo lacaniani, mostrano come il neoliberismo impone una soggettività performante, imprenditoriale, flessibile. Lacan consente di leggere questa soggettività come costruita su un impossibile, su una mancanza fondamentale che nessuna prestazione può colmare.


4. Il sintomo come resistenza e atto

Nel pensiero di Jacques Rancière, il dissenso politico non nasce da una semplice rivendicazione, ma dalla rottura dell’ordine simbolico dominante. La politica è ciò che “interrompe il sensibile”, che mostra l’invisibile, che dà voce a chi era privo di parola. In ciò, si può leggere una consonanza profonda con la nozione lacaniana di atto soggettivo: l’atto non è una scelta volontaria, ma un taglio reale, una rottura che ridefinisce il campo simbolico.

Anche Alain Badiou, partendo da Lacan, legge la soggettività politica come fedeltà a un evento che rompe la continuità del sapere e del potere. Il soggetto non è dato, ma si costituisce nella fedeltà a ciò che eccede il simbolico: nella politica, come nell’amore, nella scienza o nell’arte.

Il sintomo, da questo punto di vista, non è solo un disturbo: può diventare luogo di verità, segnale di un’irriducibilità del soggetto alla norma. Il sintomo – come il proletariato in Marx – è scarto, resto, eccedenza, ma anche possibilità di nuova articolazione.


5. Lavoro sociale, educazione, disabilità

Applicare il pensiero di Marx con Lacan agli ambiti del lavoro educativo e sociale significa resistere alla tendenza normalizzante che rischia di dominare anche i servizi. Il soggetto, in particolare se marginale (disabile, migrante, povero), non può essere ridotto a un oggetto di intervento tecnico, ma è portatore di un desiderio, di una mancanza, di un linguaggio.

Nella clinica istituzionale di Mannoni e nell’esperienza post-basagliana, troviamo esempi concreti di come il soggetto disabile non venga incluso attraverso adattamento normativo, ma accolto nella sua irriducibilità, messo in posizione di parola. Lacan consente di leggere il gruppo, l’educazione, il legame sociale come luoghi di simbolizzazione e soggettivazione, non solo di cura o di assistenza.

In un contesto neoliberale che tende a fare del soggetto un “utente” o un “cliente”, ripensare il lavoro sociale con Marx e Lacan significa rimettere al centro il soggetto come mancanza, come enigma, come forza di rottura del discorso dominante.


6. Conclusione: soggetto e struttura, atto e mancanza

Marx con Lacan non è una sintesi, ma un campo di tensione. Non c’è un’identità tra inconscio e ideologia, tra discorso e struttura, ma una serie di scarti e sovrapposizioni che permettono di pensare la soggettività in modo più complesso. Il soggetto non è riducibile né alla posizione nella struttura né alla pura libertà dell’inconscio: è effetto e rottura, alienato e agente, determinato e imprevedibile.

È in questi interstizi che può nascere un pensiero critico all’altezza dei nostri tempi, capace di leggere tanto la violenza del godimento imposto quanto le possibilità di un atto soggettivo, politico, simbolico, che ridefinisca le regole del gioco.


Bibliografia di riferimento:

1. Marxismo e Lacan

  • Marx, Karl. Il Capitale. Edizione integrale.

  • Lacan, Jacques. Écrits (1966).

  • Žižek, Slavoj. The Sublime Object of Ideology (1989).

    • Esamina la relazione tra ideologia e desiderio attraverso la lente di Lacan e Marx, esplorando la funzione del godimento nel capitalismo.
  • Althusser, Louis. Pour Marx (1965) e Reading Capital (1968).

    • Althusser rilegge Marx in chiave strutturalista e introduce il concetto di "interpellazione", che rimanda alla psicoanalisi lacaniana per comprendere la formazione del soggetto.

2. Filosofia politica e soggettività

  • Laclau, Ernesto e Mouffe, Chantal. Hegemony and Socialist Strategy (1985).

    • Laclau e Mouffe sviluppano la teoria della "hegemonia" come forma di costruzione discorsiva del soggetto politico, prendendo spunto da Lacan per descrivere il soggetto politico come un effetto di discorso.
  • Rancière, Jacques. Disagreement: Politics and Philosophy (1995).

    • Rancière esplora la politica come interruzione del consenso simbolico, rivelando l'esistenza di un "soggetto dissenziente" che sfida l'ordine dato.
  • Badiou, Alain. Being and Event (1988).

    • Badiou sviluppa una teoria della soggettività legata all’evento e alla rottura, che può essere letta in dialogo con la filosofia lacaniana della soggettivazione.

3. Teoria critica e psicoanalisi

  • Dardot, Pierre e Laval, Christian. La nuova ragione del mondo: Critica del neoliberismo (2009).

    • Analizza come il neoliberismo governi attraverso la costruzione di soggetti performativi e autonomi, una lettura che può essere arricchita con il pensiero lacaniano sul desiderio e il godimento.
  • Fink, Bruce. The Lacanian Subject: Between Language and Jouissance (1995).

    • Un approfondimento del soggetto lacaniano, in particolare del suo rapporto con il linguaggio, il desiderio e il godimento, con una connessione implicita al marxismo.

4. Critica del neoliberismo e soggettività

  • Harvey, David. A Brief History of Neoliberalism (2005).

    • Harvey esplora l’ascesa del neoliberismo e le sue implicazioni per la soggettività e le strutture sociali, analizzando come il capitalismo oggi crei nuove forme di alienazione e desiderio.
  • Bifo, Franco Berardi. The Uprising: On Poetry and Finance (2012).

    • Berardi esplora la dimensione della precarietà e della produttività soggettiva nell'era neoliberale, indagando il rapporto tra lavoro, desiderio e soggettività in crisi.

5. Pedagogia, disabilità e politica

  • Mannoni, Octave. Je est un autre (1969).

    • Mannoni sviluppa una riflessione importante per l’educazione psicoanalitica, in particolare riguardo all’incontro con il soggetto disabile e alla costruzione della sua soggettività.
  • Basaglia, Franco. La realtà psichiatrica (1967).

    • Fondamentale per comprendere la sua riforma psichiatrica in Italia e l’importanza della costruzione di un nuovo "discorso del soggetto" fuori dalle strutture repressive.
  • Grosz, Elizabeth. The Ethics of Sexual Difference (1994).

    • Il lavoro di Grosz può essere utile per capire come il pensiero lacaniano può essere applicato al tema della differenza sessuale e alla sua relazione con le strutture sociali e politiche.

6. Marxismo e psicoanalisi: Approfondimenti contemporanei

  • Zizek, Slavoj. The Parallax View (2006).

    • Zizek continua a esplorare la relazione tra psicoanalisi e politica, approfondendo il significato della "contraddizione" nel capitalismo e la sua manifestazione nel soggetto.
  • Sapiro, Gabriele. Marx e la psicoanalisi: La crisi della soggettività moderna (2007).

    • Una riflessione teorica sulle implicazioni delle teorie lacaniane nella comprensione delle contraddizioni della modernità e della sua crisi soggettiva.

🔍L'Analisi in Lacan

Fare un’ analisi secondo Jacques Lacan non è semplicemente parlare dei propri problemi. È un’esperienza trasformativa, in cui il soggetto ...