L’odio, come dimensione soggettiva e relazionale, ha una presenza centrale nella clinica psicoanalitica, soprattutto quando si manifesta nel transfert e nel controtransfert. Nella prospettiva lacaniana, questa affettività primaria assume una valenza strutturale e non meramente accidentale, come invece potrebbe apparire in approcci più adattivi o evolutivi. Non si tratta semplicemente di un ostacolo alla cura, bensì di un momento rivelatore della struttura del soggetto e del suo rapporto con l’Altro.
L'odio nel transfert
Jacques Lacan ha affrontato la questione dell'odio all'interno della relazione transferale, in particolare nella lezione del 20 aprile 1960 del Seminario L’etica della psicoanalisi, dove, rifacendosi ad Aristotele, pone l’odio (misos) come l’affetto che mira all’essere dell’altro, mentre l’amore ne mira il bene. L’odio, in quanto tale, non è secondario rispetto all’amore: è della stessa stoffa. Nella relazione analitica, il soggetto può manifestare un odio tenace e violento verso l’analista, che non va inteso in senso personale ma come effetto del posto simbolico che l’analista occupa, quello di causa del desiderio e luogo dell’Altro.
L’analista, infatti, in quanto sostituto del soggetto supposto sapere (sujet supposé savoir), è chiamato a sostenere proiezioni e investimenti che mettono in gioco nuclei profondi della pulsione, del fantasma e della storia soggettiva. L’odio può emergere quando l’analista tocca o smaschera il godimento inconscio legato alla sofferenza, o quando il soggetto percepisce un’opacità nel suo desiderio. È spesso nel momento in cui l’analista si sottrae, non soddisfa la domanda d’amore, che il soggetto risponde con aggressività e odio.
Il desiderio dell’analista e la posizione etica
Nel Seminario XI (I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi), Lacan insiste sul concetto di "desiderio dell’analista" come ciò che orienta la cura. Questo desiderio non è desiderio personale, ma desiderio puro, spogliato, che non mira a soddisfare, né a rassicurare. È un desiderio che accetta l’odio del paziente, che lo attraversa, che ne sostiene l’elaborazione. L’analista è chiamato a sostenere la posizione di oggetto a, oggetto causa del desiderio, e quindi a tollerare di essere ridotto a cosa, a oggetto di odio, a rifiuto, senza retrocedere.
Il desiderio dell’analista implica una funzione di “buca” nel sapere: si tratta di non voler sapere tutto, di non pretendere di colmare l’Altro, ma di sostenere il vuoto strutturale che abita il soggetto. È proprio questa posizione che permette al transfert di evolvere e di aprirsi al movimento interpretativo e all’atto analitico. Come scrive Lacan nel Seminario XI, “Il desiderio dell'analista non è puro desiderio di guarire. È desiderio che ha incontrato la sua propria castrazione”.
Controtransfert e limite della reattività dell’analista
L’odio non appartiene solo al paziente. Come sottolinea Lacan nel Seminario VIII (Il transfert), l’analista non è immune dalle passioni. Tuttavia, per Lacan, è proprio l’analista che deve lavorare perché le sue passioni non interferiscano. Il concetto di controtransfert, sviluppato in area post-freudiana (es. Heimann, Racker), è ridimensionato da Lacan: l’analista deve rendere la propria posizione quanto più impersonale possibile, non perché si annulla, ma perché la sua soggettività deve diventare funzione.
L’odio dell’analista, quindi, può emergere nella pratica, soprattutto in ambito istituzionale dove i fenomeni di transfert negativo sono amplificati da dinamiche di gruppo, gerarchia e potere. In questi casi, mantenere il desiderio come causa e non come risposta reattiva è ancora più difficile. Il rischio è quello del godimento dell’analista, che si difende attraverso l’identificazione con un sapere o con un ruolo, invece di lasciarsi lavorare dal transfert.
Esempi dalla pratica istituzionale
In contesti educativi o terapeutici con soggetti psicotici o con disabilità, si osserva spesso un transfert negativo massiccio: rifiuto dell’educatore o dell’operatore, insulti, disorganizzazione comportamentale. Un esempio è il caso di un giovane con psicosi che durante il gruppo occupazionale, ad ogni proposta dell’operatore, risponde con l’insulto più feroce e minaccioso. L’operatore, se non è sostenuto da una supervisione e da un’elaborazione simbolica della sua funzione, rischia di rispondere in modo simmetrico: disprezzo, ironia, punizione. È qui che si gioca la possibilità di una funzione analitica o almeno simbolizzante: accettare di essere oggetto dell’odio, e non volerlo colmare con l’amore o con la pedagogia del bene.
Confronto con Melanie Klein e Donald Winnicott
Melanie Klein ha tematizzato a fondo l’aggressività primaria e l’odio nell’ambito della relazione oggettuale. Nella posizione schizo-paranoide, il bambino vive l’oggetto come persecutore, e riversa su di esso odio e distruttività. Solo attraverso l’elaborazione della posizione depressiva è possibile riconoscere l’oggetto buono e cattivo come unificato, e quindi riparare. Da questo punto di vista, l’odio nel transfert è un ritorno di quelle angosce originarie, che l’analista deve contenere e trasformare.
Winnicott, invece, si concentra sul concetto di odio dell’analista, con grande onestà clinica. Nel saggio L’odio nella contropartita terapeutica (1949), afferma che l’analista deve riconoscere e tollerare il proprio odio, soprattutto nel lavoro con pazienti gravi. L’odio che l’analista prova non è necessariamente patologico, ma espressione della realtà della situazione e della frustrazione. La differenza, per Winnicott, sta nel fatto che l’analista non agisce il suo odio, ma lo riconosce, lo sopporta e lo utilizza.
Rispetto a Lacan, sia Klein che Winnicott tendono a concepire l’odio come una fase, un contenuto da trasformare o contenere. Lacan, invece, pone l’odio come strutturale, come parte del desiderio stesso: “l’amore è sempre ricambiato dall’odio”, diceva, indicando che non si dà soggettivazione senza attraversamento del negativo.
Conclusione
Affrontare l’odio nel transfert e nel controtransfert è un passaggio necessario in ogni lavoro clinico e istituzionale che voglia avere un effetto di soggettivazione. Nella prospettiva lacaniana, l’odio non va risolto né rimosso, ma attraversato e letto come segno del reale in gioco. Il desiderio dell’analista, sostenuto dalla propria castrazione e non dal sapere, è ciò che consente di non rispondere alla provocazione, ma di mantenerne aperto il senso.
Bibliografia essenziale
- Lacan, J. (1959-60). Seminario VII. L’etica della psicoanalisi. Torino: Einaudi, 2008.
- Lacan, J. (1964). Seminario XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi. Torino: Einaudi, 2003.
- Lacan, J. (1960-61). Seminario VIII. Il transfert. Torino: Einaudi, 2021.
- Klein, M. (1946). Note su alcuni meccanismi schizoidi, in Scritti 1921-1958. Firenze: Martinelli.
- Klein, M. (1940). Invidia e gratitudine, in Scritti 1921-1958. Firenze: Martinelli.
- Winnicott, D.W. (1949). L’odio nella contropartita terapeutica, in Sviluppo affettivo e ambiente. Roma: Armando, 1975.
- Roussillon, R. (1991). Il transfert negativo. Roma: Borla.
- Mannoni, M. (1969). L’enfant arriéré et la psychanalyse. Paris: Seuil.
- Recalcati, M. (2010). Il transfert. Milano: Cortina.