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mercoledì 21 maggio 2025

L'odio nel transfert e nel controtransfert: una lettura lacaniana, con un confronto con Klein e Winnicott


L’odio, come dimensione soggettiva e relazionale, ha una presenza centrale nella clinica psicoanalitica, soprattutto quando si manifesta nel transfert e nel controtransfert. Nella prospettiva lacaniana, questa affettività primaria assume una valenza strutturale e non meramente accidentale, come invece potrebbe apparire in approcci più adattivi o evolutivi. Non si tratta semplicemente di un ostacolo alla cura, bensì di un momento rivelatore della struttura del soggetto e del suo rapporto con l’Altro.


L'odio nel transfert

Jacques Lacan ha affrontato la questione dell'odio all'interno della relazione transferale, in particolare nella lezione del 20 aprile 1960 del Seminario L’etica della psicoanalisi, dove, rifacendosi ad Aristotele, pone l’odio (misos) come l’affetto che mira all’essere dell’altro, mentre l’amore ne mira il bene. L’odio, in quanto tale, non è secondario rispetto all’amore: è della stessa stoffa. Nella relazione analitica, il soggetto può manifestare un odio tenace e violento verso l’analista, che non va inteso in senso personale ma come effetto del posto simbolico che l’analista occupa, quello di causa del desiderio e luogo dell’Altro.

L’analista, infatti, in quanto sostituto del soggetto supposto sapere (sujet supposé savoir), è chiamato a sostenere proiezioni e investimenti che mettono in gioco nuclei profondi della pulsione, del fantasma e della storia soggettiva. L’odio può emergere quando l’analista tocca o smaschera il godimento inconscio legato alla sofferenza, o quando il soggetto percepisce un’opacità nel suo desiderio. È spesso nel momento in cui l’analista si sottrae, non soddisfa la domanda d’amore, che il soggetto risponde con aggressività e odio.


Il desiderio dell’analista e la posizione etica

Nel Seminario XI (I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi), Lacan insiste sul concetto di "desiderio dell’analista" come ciò che orienta la cura. Questo desiderio non è desiderio personale, ma desiderio puro, spogliato, che non mira a soddisfare, né a rassicurare. È un desiderio che accetta l’odio del paziente, che lo attraversa, che ne sostiene l’elaborazione. L’analista è chiamato a sostenere la posizione di oggetto a, oggetto causa del desiderio, e quindi a tollerare di essere ridotto a cosa, a oggetto di odio, a rifiuto, senza retrocedere.

Il desiderio dell’analista implica una funzione di “buca” nel sapere: si tratta di non voler sapere tutto, di non pretendere di colmare l’Altro, ma di sostenere il vuoto strutturale che abita il soggetto. È proprio questa posizione che permette al transfert di evolvere e di aprirsi al movimento interpretativo e all’atto analitico. Come scrive Lacan nel Seminario XI, “Il desiderio dell'analista non è puro desiderio di guarire. È desiderio che ha incontrato la sua propria castrazione”.


Controtransfert e limite della reattività dell’analista

L’odio non appartiene solo al paziente. Come sottolinea Lacan nel Seminario VIII (Il transfert), l’analista non è immune dalle passioni. Tuttavia, per Lacan, è proprio l’analista che deve lavorare perché le sue passioni non interferiscano. Il concetto di controtransfert, sviluppato in area post-freudiana (es. Heimann, Racker), è ridimensionato da Lacan: l’analista deve rendere la propria posizione quanto più impersonale possibile, non perché si annulla, ma perché la sua soggettività deve diventare funzione.

L’odio dell’analista, quindi, può emergere nella pratica, soprattutto in ambito istituzionale dove i fenomeni di transfert negativo sono amplificati da dinamiche di gruppo, gerarchia e potere. In questi casi, mantenere il desiderio come causa e non come risposta reattiva è ancora più difficile. Il rischio è quello del godimento dell’analista, che si difende attraverso l’identificazione con un sapere o con un ruolo, invece di lasciarsi lavorare dal transfert.


Esempi dalla pratica istituzionale

In contesti educativi o terapeutici con soggetti psicotici o con disabilità, si osserva spesso un transfert negativo massiccio: rifiuto dell’educatore o dell’operatore, insulti, disorganizzazione comportamentale. Un esempio è il caso di un giovane con psicosi che durante il gruppo occupazionale, ad ogni proposta dell’operatore, risponde con l’insulto più feroce e minaccioso. L’operatore, se non è sostenuto da una supervisione e da un’elaborazione simbolica della sua funzione, rischia di rispondere in modo simmetrico: disprezzo, ironia, punizione. È qui che si gioca la possibilità di una funzione analitica o almeno simbolizzante: accettare di essere oggetto dell’odio, e non volerlo colmare con l’amore o con la pedagogia del bene.


Confronto con Melanie Klein e Donald Winnicott

Melanie Klein ha tematizzato a fondo l’aggressività primaria e l’odio nell’ambito della relazione oggettuale. Nella posizione schizo-paranoide, il bambino vive l’oggetto come persecutore, e riversa su di esso odio e distruttività. Solo attraverso l’elaborazione della posizione depressiva è possibile riconoscere l’oggetto buono e cattivo come unificato, e quindi riparare. Da questo punto di vista, l’odio nel transfert è un ritorno di quelle angosce originarie, che l’analista deve contenere e trasformare.

Winnicott, invece, si concentra sul concetto di odio dell’analista, con grande onestà clinica. Nel saggio L’odio nella contropartita terapeutica (1949), afferma che l’analista deve riconoscere e tollerare il proprio odio, soprattutto nel lavoro con pazienti gravi. L’odio che l’analista prova non è necessariamente patologico, ma espressione della realtà della situazione e della frustrazione. La differenza, per Winnicott, sta nel fatto che l’analista non agisce il suo odio, ma lo riconosce, lo sopporta e lo utilizza.

Rispetto a Lacan, sia Klein che Winnicott tendono a concepire l’odio come una fase, un contenuto da trasformare o contenere. Lacan, invece, pone l’odio come strutturale, come parte del desiderio stesso: “l’amore è sempre ricambiato dall’odio”, diceva, indicando che non si dà soggettivazione senza attraversamento del negativo.


Conclusione

Affrontare l’odio nel transfert e nel controtransfert è un passaggio necessario in ogni lavoro clinico e istituzionale che voglia avere un effetto di soggettivazione. Nella prospettiva lacaniana, l’odio non va risolto né rimosso, ma attraversato e letto come segno del reale in gioco. Il desiderio dell’analista, sostenuto dalla propria castrazione e non dal sapere, è ciò che consente di non rispondere alla provocazione, ma di mantenerne aperto il senso.


Bibliografia essenziale

  • Lacan, J. (1959-60). Seminario VII. L’etica della psicoanalisi. Torino: Einaudi, 2008.
  • Lacan, J. (1964). Seminario XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi. Torino: Einaudi, 2003.
  • Lacan, J. (1960-61). Seminario VIII. Il transfert. Torino: Einaudi, 2021.
  • Klein, M. (1946). Note su alcuni meccanismi schizoidi, in Scritti 1921-1958. Firenze: Martinelli.
  • Klein, M. (1940). Invidia e gratitudine, in Scritti 1921-1958. Firenze: Martinelli.
  • Winnicott, D.W. (1949). L’odio nella contropartita terapeutica, in Sviluppo affettivo e ambiente. Roma: Armando, 1975.
  • Roussillon, R. (1991). Il transfert negativo. Roma: Borla.
  • Mannoni, M. (1969). L’enfant arriéré et la psychanalyse. Paris: Seuil.
  • Recalcati, M. (2010). Il transfert. Milano: Cortina.


domenica 27 aprile 2025

L'Atto Analitico: Intervento Simbolico e Trasformazione del Soggetto nella Psicoanalisi Lacaniana


L'atto analitico è un concetto centrale nell'opera di Jacques Lacan e rappresenta una delle chiavi per comprendere il processo di trasformazione che avviene durante il trattamento psicoanalitico. Questo intervento non si limita all'interpretazione dei contenuti inconsci, ma si estende a un'azione simbolica profonda che induce un cambiamento radicale nella relazione del soggetto con il proprio inconscio e con il proprio desiderio. L'atto analitico è un "taglio" simbolico che fa emergere un punto di frattura, consentendo al soggetto di rivedere e risignificare il proprio rapporto con l'inconscio e con il desiderio. Esso è inseparabile dal concetto di interpretazione e dal "taglio" che la psicoanalisi lacaniana implica nel processo terapeutico.

1. Il Significato dell'Atto Analitico

L'atto analitico, per Lacan, non è un atto qualunque, ma una "rottura" simbolica che agisce come una frattura nel mondo simbolico del soggetto. Esso interrompe l'ordine stabilito dei significati inconsci e rende possibile la risignificazione del desiderio. Come afferma Lacan, l'atto analitico è "quello che fa il soggetto, in cui il soggetto si trova costretto a confrontarsi con la sua verità" (Lacan, 1966). In questo contesto, l'atto analitico non è solo un'interpretazione dei contenuti inconsci, ma una sorta di "taglio" che scardina il mondo simbolico del soggetto, spingendolo ad affrontare il desiderio autentico, nascosto nelle pieghe dell'inconscio.

2. Interpretazione e Taglio: Un'Interazione Complessa

L'interpretazione, nella psicoanalisi lacaniana, non è un atto semplice di "traduzione" del significato, ma un intervento simbolico che si collega all'atto analitico. Lacan afferma che l'interpretazione deve "interrompere" il corso del pensiero del soggetto, impedendo che il soggetto si rifugi nel senso comune o in risposte automatiche, portandolo invece a confrontarsi con l'inconscio. In altre parole, l'interpretazione è un "taglio" che interrompe il flusso di significato che il soggetto costruisce e lo costringe a confrontarsi con una realtà simbolica diversa, una realtà che rivela la divisione intrinseca del soggetto rispetto al suo desiderio.

L'interpretazione, quindi, deve essere intesa come un atto che spinge il soggetto oltre il suo consueto modo di pensare, generando una frattura che apre uno spazio per una nuova possibilità di pensiero. Il "taglio" che l'interpretazione impone ha un valore simbolico fondamentale, in quanto destabilizza la posizione del soggetto nei confronti dei propri significanti e lo costringe a confrontarsi con la verità inconscia. Questo "taglio" permette di liberare il soggetto dalle strutture simboliche opprimenti che limitano la sua libertà e di avviare una ristrutturazione del suo rapporto con il linguaggio e il desiderio.

3. L'Interpretazione come Atto di Rottura

L'interpretazione, in Lacan, è quindi un atto che va oltre la semplice spiegazione di un sintomo o di un contenuto inconscio. Non è un'azione che fornisce risposte definitive, ma un intervento che spinge il soggetto a confrontarsi con l'irriducibilità del proprio inconscio. L'interpretazione lacaniana non si limita a decodificare, ma taglia attraverso il discorso del soggetto, creando uno spazio per l'emergere di una nuova forma di consapevolezza. In questo senso, l'interpretazione lacaniana ha una funzione di "scossa", un'energia che rompe il ritmo consueto del pensiero del soggetto e lo orienta verso la scoperta di nuove possibilità simboliche.

La frattura simbolica prodotta dall'interpretazione non è finalizzata a "risolvere" il conflitto o a "curare" il soggetto nel senso tradizionale del termine, ma a far emergere una nuova organizzazione del desiderio. Come sottolinea Miller, "l'interpretazione non è un atto di cura, ma una rottura che porta il soggetto a risignificare il proprio rapporto con il desiderio" (Miller, 1998). In altre parole, l'interpretazione lacaniana serve a disarticolare le certezze del soggetto e a permettergli di riscoprire il proprio desiderio in modo più autentico.

4. Il Ruolo dell'Analista nell'Atto Analitico

Il ruolo dell'analista è centrale nell'atto analitico. L'analista non è una figura che impone soluzioni o risposte al paziente, ma un interlocutore che facilita l'emergere della verità inconscia attraverso l'interpretazione e l'intervento simbolico. La funzione dell'analista non è quella di "guidare" il soggetto verso un obiettivo specifico, ma di creare le condizioni in cui il soggetto possa confrontarsi con la propria verità, senza il riflesso rassicurante delle risposte preconfezionate. Lacan sottolinea che "l'analista non deve essere la risposta, ma l'interlocutore che sollecita la domanda" (Lacan, 1977). L'analista, in questo senso, agisce come un facilitatore che stimola il soggetto a risignificare il proprio rapporto con il desiderio e con l'inconscio, senza mai fornirgli risposte predefinite.

Un aspetto cruciale della funzione dell'analista è il "silenzio", che può essere considerato una modalità di intervento altrettanto significativa quanto le interpretazioni verbali. Il silenzio dell'analista non è un'assenza di intervento, ma una forma di "presenza" che costringe il soggetto a confrontarsi con le proprie angosce e con la propria verità inconscia. Come afferma Miller, "Il silenzio dell'analista è un atto simbolico che obbliga il soggetto a entrare in contatto con ciò che è nascosto nel suo inconscio" (Miller, 1998).

5. Il Taglio e la Trasformazione del Soggetto

Il "taglio" simbolico rappresenta un aspetto essenziale dell'atto analitico. Questo taglio non è solo una separazione dal passato, ma un cambiamento profondo nel modo in cui il soggetto si relaziona a se stesso e al proprio desiderio. Lacan sostiene che l'analisi deve "tagliare" con le strutture simboliche opprimenti che impediscono al soggetto di rispondere autenticamente al proprio desiderio. Questo taglio segna un passaggio decisivo nella psicoanalisi, in quanto consente al soggetto di separarsi dalle catene di significati che lo limitano e di riappropriarsi della propria libertà simbolica.

Il taglio simbolico apre anche la possibilità di un nuovo inizio per il soggetto, un inizio che non è una "cura" nel senso tradizionale, ma una trasformazione profonda del suo rapporto con il desiderio. Lacan enfatizza che "l'analisi non guarisce, ma trasforma" (Lacan, 1966), suggerendo che l'obiettivo dell'analisi non è la fine del conflitto, ma la creazione di uno spazio in cui il soggetto può confrontarsi con la sua divisione interiore e risignificare il proprio desiderio.

Conclusioni

L'atto analitico è un intervento simbolico fondamentale nella psicoanalisi lacaniana. Esso non si limita a una semplice interpretazione dei contenuti inconsci, ma rappresenta un "taglio" simbolico che trasforma radicalmente la relazione del soggetto con il proprio desiderio e con l'inconscio. Il soggetto, attraverso l'atto analitico, affronta una frattura che lo costringe a risignificare il proprio rapporto con il significante e con il desiderio. L'interpretazione e il "taglio" sono le due facce di un processo che libera il soggetto dalla rigidità delle strutture simboliche che lo imprigionano, aprendo la strada a una nuova comprensione di sé e del proprio inconscio. In questo processo, l'analista agisce come un facilitatore che stimola il soggetto a confrontarsi con la propria verità inconscia, creando uno spazio per la trasformazione simbolica e il risveglio del desiderio autentico.


Bibliografia:

  • Lacan, J. (1966). Écrits: A Selection. New York: W.W. Norton & Company.
  • Lacan, J. (1977). The Four Fundamental Concepts of Psychoanalysis. New York: W.W. Norton & Company.
  • Miller, J.-A. (2012). Introduzione alla clinica lacaniana, Roma: Astrolabio

martedì 22 aprile 2025

L’interpretazione in Lacan: taglio, non-senso e desiderio


1. Introduzione: la svolta lacaniana

L’interpretazione, nel pensiero di Lacan, non è una traduzione del sintomo in verità preesistenti né un’ermeneutica della rimozione. Lacan non rifiuta la nozione freudiana d’inconscio come luogo in cui una verità si esprime cifrata, ma la riformula radicalmente: l’inconscio è strutturato come un linguaggio, ed è effetto del significante.

La svolta consiste nel collocare l’interpretazione non più nel campo del senso, ma in quello della funzione del significante e del godimento. L’interpretazione lacaniana non mira alla comprensione, ma all’effetto, all’atto. Non dice “ecco cosa sei”, ma piuttosto toglie il soggetto da ciò con cui si identifica, producendo un vuoto, un’interruzione, uno scarto.

“Il senso è resistenza. L’interpretazione deve colpire altrove, dove il soggetto non sa di essere toccato”
(Seminario XI, 1964)


2. L’interpretazione come atto: dal senso al reale

Freud ci ha consegnato l’idea che i sintomi sono compromessi tra desiderio e difesa, e che l’interpretazione consente una simbolizzazione del rimosso. Lacan, a partire dal secondo periodo del suo insegnamento, mette l’accento sul fatto che non tutto si simbolizza, che c’è un resto, un reale del godimento che resiste al discorso. Proprio su questo reale può agire l’interpretazione: non per nominarlo, ma per isolarlo.

Per Lacan, il significato si costruisce nella catena significante. Ma l’inconscio emerge là dove questa catena si inceppa, si fora. L’interpretazione non serve a spiegare, ma a forare, a introdurre una mancanza di senso, un buco nel discorso del soggetto.

“L’interpretazione non deve mai essere completamente significativa. È efficace solo se comporta una certa opacità”
(J.-A. Miller, Gli usi del lapsus, 2008)


3. Il soggetto come effetto del significante

Il soggetto, nella teoria lacaniana, non è un’entità sostanziale, ma un posto vuoto, un effetto della catena significante. Dire che il soggetto è “rappresentato da un significante per un altro significante” significa che esso non coincide mai con sé, ma si costituisce nella differenza e nello spostamento. Interpretare è, allora, disfare un’identificazione, produrre uno scarto tra l’io e il soggetto dell’inconscio.

Nel Seminario XX Lacan afferma che l’interpretazione punge, tocca il corpo parlante, non attraverso il senso, ma attraverso un non-senso che fa effetto, una scansione che taglia la ripetizione.


4. Esempio clinico: la voce trattenuta

Una giovane insegnante, appassionata del suo lavoro, soffre di afonia ricorrente alla vigilia di presentazioni pubbliche. Il medico non trova cause organiche. In analisi, descrive il rapporto con il padre, anch’egli insegnante carismatico, spesso citato da lei con ammirazione, ma anche con un certo timore.

Una interpretazione classica avrebbe cercato il trauma infantile, o una rimozione legata all’autorità. L’intervento lacaniano, invece, arriva in forma di taglio:

“Forse non è la tua voce che perdi, ma quella che non puoi permetterti di avere.”

Non è una spiegazione, ma un detto che sorprende, che la separa dal fantasma del padre e apre una possibilità di soggettivazione del proprio desiderio. Da lì in poi, non si tratta più solo di “guarire la voce”, ma di articolare una posizione soggettiva singolare nel suo ruolo, nel suo corpo, nella sua enunciazione.


5. Esempio sociale: un migrante e il significante perduto

Un giovane nordafricano inserito in un programma educativo abbandona più volte il percorso formativo, pur dimostrando capacità. Alla domanda “perché?”, risponde:

“Qui sono uno qualunque. Là ero il figlio del sarto, tutti lo conoscevano.”

Si tratta di un soggetto che si è strutturato attorno a un significante padrone (S1) legato al nome e al riconoscimento familiare. La perdita di quel S1, nella migrazione, genera una caduta dell’identità, ma anche una possibilità.

L’educatore potrebbe essere tentato di rassicurare, proporre nuovi S1: cittadinanza, integrazione, lavoro. Ma una posizione lacaniana suggerisce un’altra via:

“E se qui potessi essere qualcosa che là non avresti mai potuto diventare?”

È una punta d’interpretazione, non una promessa. Un dire che sposta la soggettività dal luogo del riconoscimento all’apertura del desiderio, che introduce un tempo di sospensione e rielaborazione. Il soggetto può allora, forse, iniziare a scrivere qualcosa di proprio nel nuovo contesto, senza più inseguire l’ideale perduto.


6. Conclusione: interpretare è toccare il reale

L’interpretazione in Lacan non è una tecnica, ma un atto singolare, irripetibile, che opera nel tempo e nel corpo. Essa non chiude, ma apre; non spiega, ma punge.

“Non è il senso che libera, è il taglio.”
(Seminario XI)

In questo senso, anche nel lavoro educativo e sociale, ispirarsi alla posizione lacaniana non significa usare concetti psicoanalitici in modo adattato, ma assumere una funzione di taglio simbolico, capace di far emergere il soggetto là dove sembrava dissolto nell’identificazione o nell’esclusione.


Bibliografia

  • Lacan, J. (1964). Il Seminario, Libro XI: I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi. Torino: Einaudi.
  • Lacan, J. (1972-73). Il Seminario, Libro XX: Ancora. Torino: Einaudi.
  • Lacan, J. (1966). Scritti. Torino: Einaudi.
  • Miller, J.-A. (2005). Introduzione al reale del seminario, in La Psicoanalisi, n. 38, Roma: Astrolabio.
  • Miller, J.-A. (2008). Gli usi del lapsus, in La Psicoanalisi, n. 43, Roma: Astrolabio.
  • Freud, S. (1900). L’interpretazione dei sogni. OSF, vol. 3, Torino: Bollati Boringhieri.
  • Freud, S. (1915). L’inconscio. OSF, vol. 8, Torino: Bollati Boringhieri.


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