Il rapporto tra psicoanalisi e cultura giapponese è stato segnato da una storia di ricezioni, adattamenti e reinvenzioni che, pur partendo dalle radici europee freudiane e lacaniane, si è via via trasformata in una forma autonoma e originale di pensiero psicoanalitico. Questa evoluzione si è articolata attraverso figure significative che, a partire dagli anni Trenta fino ai giorni nostri, hanno cercato di pensare la psicoanalisi non come semplice teoria importata dall'Occidente, ma come strumento vivo di interpretazione dell’esperienza soggettiva e collettiva giapponese. In questo articolo si analizzeranno i contributi principali di autori giapponesi che hanno lavorato sia nell’ambito freudiano (come Kosawa Heisaku e Takeo Doi), sia nell’ambito lacaniano (come Kajitani Masahisa, Washida Kiyokazu, Shingū Kazushige, Okuno Takeo e Nakazawa Shin’ichi), seguendo una distinzione teorica ma anche mostrando i punti di contatto e ibridazione tra questi approcci.
1. La ricezione freudiana: Kosawa e Doi
La prima fase della ricezione psicoanalitica in Giappone è fortemente segnata dall’opera di Kosawa Heisaku, discepolo di Takeo Arishima e allievo diretto di Sigmund Freud. Kosawa fu una figura cruciale per la diffusione della psicoanalisi classica in Giappone, ma soprattutto per la sua capacità di reinterpretare alcuni concetti freudiani alla luce della cultura religiosa e familiare giapponese. Il suo concetto chiave è la "paura di essere disapprovati" (1934), che egli contrapponeva al senso di colpa freudiano. Per Kosawa, la dimensione affettiva della dipendenza (amae), che in Freud appare come regressiva e da superare, è invece vista come strutturale alla soggettività giapponese. L'inconscio viene così letto non solo come luogo di rimozione ma anche come spazio di vulnerabilità e di bisogno di riconoscimento.
Un ulteriore sviluppo in senso freudiano viene da Takeo Doi, che pubblicò nel 1973 The Anatomy of Dependence, testo fondativo della moderna psicoanalisi culturale giapponese. Doi teorizza il concetto di "amae" come una forma di dipendenza affettiva fondamentale e culturalmente valorizzata in Giappone. Egli argomenta che nella società giapponese il desiderio di essere accolti, curati e perdonati è alla base della struttura psichica, mentre nella tradizione psicoanalitica occidentale il desiderio è connotato da autonomia e separazione. Doi non si limita a descrivere un tratto culturale, ma propone una vera e propria teoria psicoanalitica della soggettività giapponese.
2. L’incontro con Lacan: significante, desiderio e soggetto in traduzione giapponese
A partire dagli anni '70 e '80, l’opera di Lacan comincia ad esercitare una profonda influenza sulla psicoanalisi giapponese. Tuttavia, questa ricezione non è mai stata dogmatica: i teorici giapponesi hanno utilizzato Lacan per pensare problemi specifici della modernità nipponica, come la crisi dell’identità, la frammentazione simbolica, la mediazione del padre e la mutazione del desiderio.
Kajitani Masahisa è stato uno dei principali introduttori del pensiero lacaniano in Giappone. Egli ha riflettuto sul rapporto tra linguaggio, significante e soggetto nel contesto culturale giapponese, interrogandosi su come il funzionamento del simbolico lacaniano potesse essere ritradotto in una cultura dove la funzione paterna e la legge simbolica si articolano diversamente. Kajitani esplora le corrispondenze tra l’estetica del "mono no aware" (la sensibilità alla caducità delle cose) e la nozione lacaniana di mancanza, di oggetto a e di desiderio come mai soddisfatto. Nella sua lettura, il soggetto giapponese non è semplicemente alienato dal linguaggio, ma è sempre esposto a un'eccedenza affettiva e simbolica che rende problematico il rapporto con la legge e il godimento.
Washida Kiyokazu, filosofo e psicoanalista, ha invece portato la riflessione sul corpo e sull’immagine all’interno della tradizione lacaniana giapponese. Nel suo Mimasareseru Shintai (1991), Washida sviluppa una teoria della corporeità che lega il corpo visto (cioè il corpo nell’immagine e nello sguardo dell’altro) con il corpo simbolico. Egli utilizza Lacan per spiegare come la soggettività giapponese sia costruita attraverso un’economia visiva che enfatizza la forma, la postura, l’apparenza, ma anche l’ambiguità e il non detto. Il corpo, per Washida, non è mai solo biologico, ma sempre già segnato dal desiderio dell’altro.
Shingū Kazushige approfondisce il concetto lacaniano di "Nome-del-Padre" nel contesto della modernizzazione giapponese. Egli sostiene che la crisi dell’autorità patriarcale tradizionale (familiare e imperiale) ha prodotto un vuoto simbolico che ha avuto effetti profondi sulla psiche giapponese contemporanea. Il desiderio si sgancia dal suo ancoraggio simbolico e genera forme di godimento opaco, ripetitivo, come nei fenomeni sociali di isolamento (hikikomori) o di dipendenza (pachinko, pornografia, ossessione estetica). Shingū legge Lacan come uno strumento critico per pensare la frammentazione del soggetto moderno e la necessità di ripensare le forme della legge simbolica.
3. Oltre Freud e Lacan: estetica, religione e simbolico in Okuno e Nakazawa
Due figure significative per un’estensione del pensiero psicoanalitico in Giappone sono Okuno Takeo e Nakazawa Shin’ichi. Entrambi utilizzano la psicoanalisi come chiave interpretativa, ma la connettono a dimensioni culturali giapponesi come l’estetica, la religione e la cosmologia.
Okuno lavora sul confine tra psicoanalisi, filosofia e estetica. Nei suoi studi sulla letteratura e sull’arte giapponese, egli impiega il pensiero lacaniano per esplorare il modo in cui il desiderio si articola nel linguaggio e nella forma artistica. Il simbolico non è per Okuno solo la legge della parola, ma anche la grammatica implicita della bellezza, del gesto, della composizione. La sublimazione, tema lacaniano centrale, è letta alla luce dell’estetica giapponese tradizionale, che non cerca di dominare il reale, ma di conviverci attraverso una forma simbolica fragile e aperta.
Nakazawa, invece, opera un avvicinamento tra la psicoanalisi e il pensiero buddista. Nella sua riflessione, il desiderio è sì mancanza (come in Lacan), ma è anche attaccamento illusorio (come nel buddismo). L’oggetto a è confrontato con la nozione di vacuità, e l’inconscio è visto come una zona liminare tra realtà psichica e coscienza cosmica. La funzione del padre viene decostruita e sostituita con una funzione etica che non impone la legge, ma produce consapevolezza della sofferenza e del ciclo del desiderio.
4. Conclusione: una psicoanalisi tra due mondi
La psicoanalisi giapponese si presenta oggi come un campo vivo e originale, capace di parlare al contesto globale pur mantenendo un forte radicamento culturale. Gli autori freudiani come Kosawa e Doi hanno aperto la strada a un’interpretazione affettiva e relazionale della soggettività giapponese. Gli autori lacaniani come Kajitani, Washida, Shingū, Okuno e Nakazawa hanno ampliato l’orizzonte simbolico della psicoanalisi, integrandolo con la sensibilità estetica, la filosofia orientale e le trasformazioni sociali contemporanee. In questo incontro tra Freud, Lacan e la cultura giapponese, emerge una forma di psicoanalisi capace di pensare la soggettività come evento situato, attraversato dal desiderio, ma anche da pratiche simboliche e comunitarie che danno forma al modo in cui si vive, si soffre e si parla.
Bibliografia
- Doi, T. (1973). The Anatomy of Dependence [Amae no kōzō]. Kodansha International.
- Kajitani, M. (1991). Lacan to Gendai: Seishin Bunseki to Nihon Bunka [Lacan and Modernity: Psychoanalysis and Japanese Culture]. Tokyo: Seishin Shobō.
- Kosawa, H. (1934). The Fear of Being Disliked. In: International Journal of Psychoanalysis, 15.
- Nakazawa, S. (1991). Chūō no Fuhai [The Corruption of the Center]. Tokyo: Chikuma Shobō.
- Okuno, T. (1996). Shinbi to Rinri no Hazama de [Between Aesthetics and Ethics]. Tokyo: Iwanami Shoten.
- Shingū, K. (1994). Taikei: Rakan no Kōzō [System: The Structure of Lacan]. Tokyo: Misuzu Shobō.
- Washida, K. (1991). Mimasareseru Shintai [The Body That Is Seen]. Tokyo: Chikuma Shobō.