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giovedì 1 maggio 2025

Lacan in Giappone: una Via Nipponica al Desiderio?


Desiderio giapponese


Il rapporto tra psicoanalisi e cultura giapponese è stato segnato da una storia di ricezioni, adattamenti e reinvenzioni che, pur partendo dalle radici europee freudiane e lacaniane, si è via via trasformata in una forma autonoma e originale di pensiero psicoanalitico. Questa evoluzione si è articolata attraverso figure significative che, a partire dagli anni Trenta fino ai giorni nostri, hanno cercato di pensare la psicoanalisi non come semplice teoria importata dall'Occidente, ma come strumento vivo di interpretazione dell’esperienza soggettiva e collettiva giapponese. In questo articolo si analizzeranno i contributi principali di autori giapponesi che hanno lavorato sia nell’ambito freudiano (come Kosawa Heisaku e Takeo Doi), sia nell’ambito lacaniano (come Kajitani Masahisa, Washida Kiyokazu, Shingū Kazushige, Okuno Takeo e Nakazawa Shin’ichi), seguendo una distinzione teorica ma anche mostrando i punti di contatto e ibridazione tra questi approcci.


1. La ricezione freudiana: Kosawa e Doi

La prima fase della ricezione psicoanalitica in Giappone è fortemente segnata dall’opera di Kosawa Heisaku, discepolo di Takeo Arishima e allievo diretto di Sigmund Freud. Kosawa fu una figura cruciale per la diffusione della psicoanalisi classica in Giappone, ma soprattutto per la sua capacità di reinterpretare alcuni concetti freudiani alla luce della cultura religiosa e familiare giapponese. Il suo concetto chiave è la "paura di essere disapprovati" (1934), che egli contrapponeva al senso di colpa freudiano. Per Kosawa, la dimensione affettiva della dipendenza (amae), che in Freud appare come regressiva e da superare, è invece vista come strutturale alla soggettività giapponese. L'inconscio viene così letto non solo come luogo di rimozione ma anche come spazio di vulnerabilità e di bisogno di riconoscimento.

Un ulteriore sviluppo in senso freudiano viene da Takeo Doi, che pubblicò nel 1973 The Anatomy of Dependence, testo fondativo della moderna psicoanalisi culturale giapponese. Doi teorizza il concetto di "amae" come una forma di dipendenza affettiva fondamentale e culturalmente valorizzata in Giappone. Egli argomenta che nella società giapponese il desiderio di essere accolti, curati e perdonati è alla base della struttura psichica, mentre nella tradizione psicoanalitica occidentale il desiderio è connotato da autonomia e separazione. Doi non si limita a descrivere un tratto culturale, ma propone una vera e propria teoria psicoanalitica della soggettività giapponese.


2. L’incontro con Lacan: significante, desiderio e soggetto in traduzione giapponese

A partire dagli anni '70 e '80, l’opera di Lacan comincia ad esercitare una profonda influenza sulla psicoanalisi giapponese. Tuttavia, questa ricezione non è mai stata dogmatica: i teorici giapponesi hanno utilizzato Lacan per pensare problemi specifici della modernità nipponica, come la crisi dell’identità, la frammentazione simbolica, la mediazione del padre e la mutazione del desiderio.

Kajitani Masahisa è stato uno dei principali introduttori del pensiero lacaniano in Giappone. Egli ha riflettuto sul rapporto tra linguaggio, significante e soggetto nel contesto culturale giapponese, interrogandosi su come il funzionamento del simbolico lacaniano potesse essere ritradotto in una cultura dove la funzione paterna e la legge simbolica si articolano diversamente. Kajitani esplora le corrispondenze tra l’estetica del "mono no aware" (la sensibilità alla caducità delle cose) e la nozione lacaniana di mancanza, di oggetto a e di desiderio come mai soddisfatto. Nella sua lettura, il soggetto giapponese non è semplicemente alienato dal linguaggio, ma è sempre esposto a un'eccedenza affettiva e simbolica che rende problematico il rapporto con la legge e il godimento.

Washida Kiyokazu, filosofo e psicoanalista, ha invece portato la riflessione sul corpo e sull’immagine all’interno della tradizione lacaniana giapponese. Nel suo Mimasareseru Shintai (1991), Washida sviluppa una teoria della corporeità che lega il corpo visto (cioè il corpo nell’immagine e nello sguardo dell’altro) con il corpo simbolico. Egli utilizza Lacan per spiegare come la soggettività giapponese sia costruita attraverso un’economia visiva che enfatizza la forma, la postura, l’apparenza, ma anche l’ambiguità e il non detto. Il corpo, per Washida, non è mai solo biologico, ma sempre già segnato dal desiderio dell’altro.

Shingū Kazushige approfondisce il concetto lacaniano di "Nome-del-Padre" nel contesto della modernizzazione giapponese. Egli sostiene che la crisi dell’autorità patriarcale tradizionale (familiare e imperiale) ha prodotto un vuoto simbolico che ha avuto effetti profondi sulla psiche giapponese contemporanea. Il desiderio si sgancia dal suo ancoraggio simbolico e genera forme di godimento opaco, ripetitivo, come nei fenomeni sociali di isolamento (hikikomori) o di dipendenza (pachinko, pornografia, ossessione estetica). Shingū legge Lacan come uno strumento critico per pensare la frammentazione del soggetto moderno e la necessità di ripensare le forme della legge simbolica.


3. Oltre Freud e Lacan: estetica, religione e simbolico in Okuno e Nakazawa

Due figure significative per un’estensione del pensiero psicoanalitico in Giappone sono Okuno Takeo e Nakazawa Shin’ichi. Entrambi utilizzano la psicoanalisi come chiave interpretativa, ma la connettono a dimensioni culturali giapponesi come l’estetica, la religione e la cosmologia.

Okuno lavora sul confine tra psicoanalisi, filosofia e estetica. Nei suoi studi sulla letteratura e sull’arte giapponese, egli impiega il pensiero lacaniano per esplorare il modo in cui il desiderio si articola nel linguaggio e nella forma artistica. Il simbolico non è per Okuno solo la legge della parola, ma anche la grammatica implicita della bellezza, del gesto, della composizione. La sublimazione, tema lacaniano centrale, è letta alla luce dell’estetica giapponese tradizionale, che non cerca di dominare il reale, ma di conviverci attraverso una forma simbolica fragile e aperta.

Nakazawa, invece, opera un avvicinamento tra la psicoanalisi e il pensiero buddista. Nella sua riflessione, il desiderio è sì mancanza (come in Lacan), ma è anche attaccamento illusorio (come nel buddismo). L’oggetto a è confrontato con la nozione di vacuità, e l’inconscio è visto come una zona liminare tra realtà psichica e coscienza cosmica. La funzione del padre viene decostruita e sostituita con una funzione etica che non impone la legge, ma produce consapevolezza della sofferenza e del ciclo del desiderio.


4. Conclusione: una psicoanalisi tra due mondi

La psicoanalisi giapponese si presenta oggi come un campo vivo e originale, capace di parlare al contesto globale pur mantenendo un forte radicamento culturale. Gli autori freudiani come Kosawa e Doi hanno aperto la strada a un’interpretazione affettiva e relazionale della soggettività giapponese. Gli autori lacaniani come Kajitani, Washida, Shingū, Okuno e Nakazawa hanno ampliato l’orizzonte simbolico della psicoanalisi, integrandolo con la sensibilità estetica, la filosofia orientale e le trasformazioni sociali contemporanee. In questo incontro tra Freud, Lacan e la cultura giapponese, emerge una forma di psicoanalisi capace di pensare la soggettività come evento situato, attraversato dal desiderio, ma anche da pratiche simboliche e comunitarie che danno forma al modo in cui si vive, si soffre e si parla.


Bibliografia

  • Doi, T. (1973). The Anatomy of Dependence [Amae no kōzō]. Kodansha International.
  • Kajitani, M. (1991). Lacan to Gendai: Seishin Bunseki to Nihon Bunka [Lacan and Modernity: Psychoanalysis and Japanese Culture]. Tokyo: Seishin Shobō.
  • Kosawa, H. (1934). The Fear of Being Disliked. In: International Journal of Psychoanalysis, 15.
  • Nakazawa, S. (1991). Chūō no Fuhai [The Corruption of the Center]. Tokyo: Chikuma Shobō.
  • Okuno, T. (1996). Shinbi to Rinri no Hazama de [Between Aesthetics and Ethics]. Tokyo: Iwanami Shoten.
  • Shingū, K. (1994). Taikei: Rakan no Kōzō [System: The Structure of Lacan]. Tokyo: Misuzu Shobō.
  • Washida, K. (1991). Mimasareseru Shintai [The Body That Is Seen]. Tokyo: Chikuma Shobō.


giovedì 10 aprile 2025

Dei Nomi-del-Padre: Trascendenza Simbolica e Mediazione nel Contesto Contemporaneo


Nel panorama contemporaneo, attraversato dalla crisi delle strutture di autorità e dal senso di disorientamento che spesso accompagna il “vuoto” simbolico, la domanda sulla funzione del Nome-del-Padre si fa sempre più urgente. Se, come sostenevano autori come Lacan, il Nome-del-Padre rappresenta una funzione simbolica fondamentale, come può evolversi in un'epoca che non sembra più rispecchiare le antiche forme di autorità patriarcale? Il problema non è tanto quello di scomparire, ma di rinnovarsi, in una forma che risponda ai bisogni del soggetto che vive in un mondo caratterizzato da incertezze, frammentazione e nuove configurazioni sociali e culturali.

Trascendenza Simbolica come Mediazione

Lacan, nella sua riflessione sul Nome-del-Padre, parlava di come questo non fosse un'entità statica, ma una funzione in continuo movimento. La figura del Padre, nella tradizione lacaniana, non è mai un’entità assoluta, ma è qualcosa che si struttura attraverso il linguaggio, la legge e il simbolico. Il Padre è colui che introduce il taglio nella fusione immaginaria, separando il soggetto dal mondo primitivo del godimento senza legge. In altre parole, il Padre non è solo una figura che impone un ordine dall'alto, ma una funzione che agisce come mediazione, che introduce la separazione simbolica e permette al soggetto di entrare nella dimensione del desiderio.

Come scrive Lacan, “Il Padre non è colui che impone, ma colui che permette al soggetto di riconoscere i propri limiti, ed è solo attraverso il limite che nasce il desiderio”. Qui, la trascendenza del Padre non è una trascendenza verticalizzata, ma si fa simbolica e relazionale, una funzione che emerge nel campo del linguaggio e delle pratiche quotidiane.

La Crisi della Trascendenza e la Mediazione del Nome-del-Padre

Nel contesto contemporaneo, molti pensano che la trascendenza tradizionale, quella legata a concetti assoluti come Dio, Legge o Stato, sia ormai giunta al suo termine. Tuttavia, come afferma il filosofo sloveno Slavoj Žižek, questa "morte" della trascendenza non significa che la domanda di trascendenza sia stata eliminata. Al contrario, questa domanda rimane centrale, ma si è spostata su nuove forme. Per Žižek, la trascendenza simbolica non è la scomparsa di un principio assoluto, ma una nuova forma che può essere interpretata come una mediazione vivente, incarnata in un ordine che è sociale, culturale e simbolico, ma mai totalizzante. La trascendenza, per Žižek, è un “oltre” che si concretizza non come una separazione ontologica, ma come un dispositivo di mediazione che permette al soggetto di orientarsi nel mondo.

I Nomi-del-Padre a venire: Sei Costellazioni

  1. Il Padre-Testimone: Non più il Padre autoritario, ma il testimone che, attraverso la propria esistenza, offre un esempio di limitazione e di legge simbolica. Il Padre-Testimone non impone una verità assoluta, ma trasmette una storia, un’esperienza da interpretare e vivere. Come afferma Jacques-Alain Miller, nella sua lettura di Lacan, “il testimone non è un dominatore, ma è chi conserva e tramanda la tradizione della legge e del limite” (Miller, 1994).

  2. Il Padre-Fragile: Il Padre non è più il simbolo dell’omnipotenza, ma colui che accetta i propri limiti. Questo Padre riconosce la propria castrazione simbolica e, nel farlo, offre una figura di supporto e di ascolto, piuttosto che di dominio. Lacan scriveva che il Padre è sempre colui che “castra” il godimento illimitato, ma oggi, questo Padre potrebbe esserlo in modo più consapevole, riconoscendo anche le proprie fragilità.

  3. Il Padre-Terzo: La figura che introduce la separazione tra il soggetto e l’altro, che rompe la fusionalità e segna l’ingresso nel mondo simbolico. Non si tratta di una separazione autoritaria, ma di una funzione che crea lo spazio per un’autonomia di pensiero e di desiderio. Il Padre-Terzo, come descritto da Lacan, non impone, ma consente una distanza necessaria al soggetto per entrare in relazione con il proprio desiderio.

  4. Il Padre-Custode del Comune: La funzione del Padre-Custode non è più quella di dominare, ma di preservare ciò che è condiviso dalla comunità. È il garante di una legge che serve il bene comune, difendendo la comunità senza monopolizzare il potere. Come nel pensiero di Miller, questo Padre è simbolicamente il “custode” che difende il territorio del simbolico da ogni forma di prevaricazione.

  5. Il Padre-Narratore: Non più il Padre che impone la verità, ma il narratore che racconta la propria esperienza, offrendo spunti di riflessione. Questo Padre non dà risposte assolute, ma apre spazi di interpretazione e di dialogo, creando un terreno fertile per l’emergere di nuove comprensioni del mondo. La sua funzione non è solo quella di trasmettere un sapere, ma di sollecitare la ricerca di significato.

  6. Il Padre-Simbolico Riattualizzato: Finalmente, la figura del Padre simbolico trascendente può essere reimmaginata come una funzione che non esclude, ma integra la pluralità dei significati. Questo Padre trascendente non è più quello che sovraintende dall’alto, ma è una funzione simbolica che si fa strada attraverso il linguaggio e la relazione. Lacan, pur non rifiutando la trascendenza, sottolinea che è solo attraverso la mediazione simbolica che il soggetto può accedere a un ordine superiore: il Padre non è mai completamente altro da sé, ma è la possibilità di un’orientamento simbolico.

Il Vangelo e la Trascendenza Simbolica

Nel messaggio evangelico, la figura di Dio, come Padre, si trasforma. Il Padre che si fa vicino, che si fa presenza nell'incarnazione, è un esempio di come la trascendenza non debba essere concepita come un'entità separata, ma come una funzione che si fa carne, esperienza e relazione. Gesù, come testimone del Padre, porta l’esperienza di una legge che si fa amore e misericordia, non un comando imposto, ma un invito alla comunità a vivere il Regno di Dio come una relazione costante.

La Chiesa, in questo senso, si fa comunità di mediazione, che non annulla la libertà dei soggetti, ma li invita a rispondere alla chiamata del Padre. Questo riflette una visione simbolica della legge, dove la trascendenza non è una separazione assoluta, ma una continua mediazione che apre spazi di responsabilità e di soggettivazione.

Conclusioni

I Nomi-del-Padre a venire sono una pluralità di funzioni simboliche che si trasformano e si adattano ai bisogni del soggetto contemporaneo. Non sono più modelli rigidi, ma possibilità di risposta alla domanda di senso. La trascendenza del Padre, così come la scrittura evangelica e la riflessione lacaniana, ci insegnano che la legge e la trascendenza non sono più concepite come forze superiori che impongono il proprio dominio, ma come funzioni simboliche che si costruiscono nel dialogo, nella mediazione e nella comunità. Il Padre, in questa nuova dimensione, non è più solo un’autorità assoluta, ma una funzione di limite, di orientamento e di apertura alla soggettivazione.

Bibliografia

  • Lacan, J. (1977). Écrits. Paris: Seuil.
  • Miller, J.-A. (1994). Introduzione alla clinica lacaniana, Astrolabio, Roma
  • Žižek, S. (2004). The Parallax View. Cambridge, MA: MIT Press.
  • Vangelo di Giovanni, Nuovo Testamento.
  • Lacan, J. (1966). Écrits: A Selection. London: Tavistock Publications.

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Il Nome-del-Padre tra Legge, desiderio e cristianesimo

1. Il Nome-del-Padre come fondamento simbolico

Nel pensiero di Jacques Lacan, il Nome-del-Padre rappresenta il significante cardine dell’ordine simbolico: quella struttura che regola il desiderio e l’accesso alla Legge nella vita psichica del soggetto. Non si tratta di una figura reale, ma di una funzione simbolica che introduce il soggetto nel linguaggio e nella cultura, separandolo dall’immaginario fusionale con l’Altro originario.

Questa funzione regola i limiti del godimento, struttura il desiderio e consente l’assunzione soggettiva della legge. Dove il Nome-del-Padre manca — come nelle psicosi — si apre un vuoto strutturale che disorganizza il campo simbolico e produce effetti clinici profondi.

Nel seminario “I Nomi-del-Padre” (1953, pubblicato da Einaudi nel 2006), Lacan accenna a un pluralismo dei nomi del Padre, aprendo alla possibilità che la funzione paterna possa articolarsi in modi molteplici nei tre registri: immaginario, simbolico e reale. Il Padre, dunque, non è mai solo un individuo, ma un significante strutturante che condiziona profondamente il rapporto tra il soggetto, l’Altro e il proprio desiderio.


2. Il Dio dell’Antico Testamento: fondamento della Legge

Nel testo biblico, il Nome-del-Padre trova una prima articolazione simbolica nella figura di Dio dell’Antico Testamento: il Dio che parla, crea e ordina attraverso la Legge. Quando Dio si rivela a Mosè e gli affida le Tavole della Legge, inaugura un regime simbolico fondato sull’interdizione e sulla separazione. Questa Legge stabilisce i limiti del desiderio umano, distinguendo il lecito dall’illecito, il puro dall’impuro.

Lacan riconosce che il Dio ebraico, che crea attraverso il verbo e impone una norma, può essere letto come una forma simbolica del Padre. Si tratta di una figura che garantisce il senso e stabilisce l’ordine del mondo attraverso una Legge trascendente. Il Nome-di-Dio diventa così ciò che ancora e regola la posizione del soggetto nel mondo.

“Il Nome-del-Padre è il principio della separazione tra il desiderio e la legge, che permette l’introduzione del simbolico.”
(Seminario III: Le psicosi, 1955)


3. Il Cristo e la croce: la crisi del significante Padre

Nel passaggio dal Primo al Nuovo Testamento, si apre una crisi della funzione paterna. La figura di Cristo sulla croce rappresenta, per alcuni interpreti lacaniani, il momento in cui il significante del Padre vacilla. Il grido di Gesù — «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» — può essere letto come un punto di sconnessione simbolica, in cui il garante assoluto della Legge sembra mancare.

Lacan non formula direttamente questa lettura teologica, ma la sua teoria dell’“evaporazione del Nome-del-Padre” — sviluppata in riferimento alla psicosi — può essere ampliata sul piano storico e culturale per descrivere un’epoca in cui la Legge simbolica universale perde forza. Alcuni autori (come Badiou, Nancy, Recalcati) hanno interpretato la croce come evento di rottura del simbolico: l’irruzione del vuoto al posto dell’Altro garante.

Pur non affermandolo in modo diretto, Lacan suggerisce che la funzione paterna non è più assoluta, e che il soggetto si trova sempre più a dover confrontarsi con un desiderio senza garanzia simbolica.


4. San Paolo: oltre la Legge, nella fede

Questo movimento di trasformazione trova un punto di snodo nel pensiero di San Paolo. Nelle sue lettere, Paolo dichiara che la Legge mosaica non salva, ma anzi aumenta il peccato. Solo la fede in Cristo può redimere, perché introduce una nuova posizione del soggetto: non più soggetto della Legge, ma soggetto della mancanza e della relazione al desiderio.

Lacan legge in Paolo una figura di transizione tra il dominio del Simbolico e l’emergere del Reale. La fede, in questa prospettiva, non è una nuova Legge, ma un modo di sostenere il desiderio senza appoggio nell’Altro. È una scommessa sulla mancanza strutturale, anziché un ritorno all’ordine.

“La Legge è stata il nostro pedagogo fino a Cristo [...] ma ora la giustificazione viene per fede.”
(Gal 3,24)


5. La psicoanalisi come erede del cristianesimo

La psicoanalisi, secondo Lacan, eredita da questo passaggio cristiano un compito inedito: non più garantire il senso, ma sostenere il soggetto nel confronto con la mancanza. Dopo la crisi della Legge simbolica e l’evaporazione del Nome-del-Padre, la psicoanalisi non propone una nuova metafisica, bensì un’etica del desiderio singolare.

In Encore (Seminario XX), Lacan afferma che la psicoanalisi non sostituisce il Padre, ma accompagna il soggetto nel riconoscimento che non c’è Altro dell’Altro: il significante assoluto non esiste. È in questo vuoto che si apre la possibilità per un desiderio non colonizzato dalla Legge, ma orientato dalla singolarità del godimento.

“La psicoanalisi è una continuazione della religione, ma nella misura in cui se ne separa radicalmente: si occupa del soggetto confrontato con la mancanza, senza supporto trascendente.”
(Seminario XX: Encore, 1973, riformulazione concettuale)


6. Conclusione: dopo il Nome-del-Padre, abitare la mancanza

Il cristianesimo, nel suo movimento dal Dio legislatore al Cristo abbandonato, apre storicamente uno spazio in cui il Nome-del-Padre non è più un garante assoluto. Lacan raccoglie questa eredità, ma la porta oltre, mostrando come il soggetto, senza più appoggi universali, sia chiamato a inventare il proprio rapporto con il desiderio.

La psicoanalisi non ricostruisce l’autorità, ma offre uno spazio per abitare la mancanza. Il soggetto non può più affidarsi a una Legge universale, né a un significante che dica il vero una volta per tutte. Ma è proprio in questa evaporazione del Nome-del-Padre che si apre l’occasione di una libertà etica: quella di desiderare senza garanzie, assumendo la propria singolarità.



Bibliografia


Lacan, J. (1955). Le psicosi. Seminario III. Einaudi, 2002.


Lacan, J. (1973). Encore. Il Seminario XX. Einaudi, 2007.


Lacan, J. (1953). I Nomi-del-Padre. Einaudi, 2006.


Recalcati, M. (2007). Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre. Feltrinelli.


Badiou, A. (2003). San Paolo. La fondazione dell’universalismo. Cronopio.


Nancy, J.-L. (2005). Decostruzione del cristianesimo. La decostruzione del cristianesimo I. Cronopio.


Freud, S. (1913). Totem e tabù. Opere, vol. 7, Boringhieri.

 

sabato 29 marzo 2025

Il Ritorno del Nome-del-Padre: Sovranismo, Big Tech e Post-Democrazia nella Crisi della Globalizzazione Neoliberale





Introduzione

Panayotis Kantzas, nelle sue Lezioni Fiorentine (2020), sviluppa un'analisi della crisi contemporanea, evidenziando come il crollo del significante padrone (S1) nel mondo occidentale abbia lasciato un vuoto simbolico che oggi viene riempito da nuove forme di sovranismo, populismo e identitarismo. Questi fenomeni emergono come tentativi di ri-territorializzazione di fronte alla dissoluzione delle strutture politiche e sociali tradizionali sotto l’impatto della globalizzazione neoliberista. Tuttavia, Kantzas sottolinea che questo ritorno del Nome-del-Padre avviene in forme mutate, spesso adattandosi alle nuove condizioni economiche e tecnologiche imposte dal capitalismo digitale.

Il Declino del Nome-del-Padre e la Crisi Occidentale

Lacan (1966) ha individuato nel Nome-del-Padre l'elemento regolatore del campo simbolico e del legame sociale. La sua progressiva dissoluzione ha lasciato spazio a un disordine generalizzato, simile a quello descritto da Marx ed Engels nel Manifesto del Partito Comunista (1848), in cui il capitalismo dissolve ogni legame preesistente. Kantzas (2020) legge questa dinamica in relazione alla crisi della sovranità, sottolineando come l’indebolimento delle istituzioni nazionali abbia favorito una nuova domanda di ordine, spesso declinata in forme reazionarie.

La crisi dell'Occidente si manifesta nella perdita di riferimenti simbolici unificanti, con conseguenze politiche e sociali di ampia portata. L'erosione della sovranità nazionale e l'affermazione di un'economia globalizzata hanno esacerbato il senso di smarrimento collettivo, portando a una ricerca di nuovi significati. Il populismo e il sovranismo si inseriscono in questa dinamica, proponendo un ritorno a strutture di identificazione forti che possano colmare il vuoto lasciato dalla dissoluzione dell'ordine simbolico tradizionale.

Sovranismo e Identitarismo come Nuove Forme del Nome-del-Padre

Il sovranismo si presenta come un tentativo di ripristinare un principio unificante in un mondo che ha perso i suoi riferimenti tradizionali. Questo processo si intreccia con l’identitarismo, che cerca di rafforzare appartenenze collettive in risposta alla frammentazione sociale. Crouch (2004) ha descritto il fenomeno della post-democrazia come una condizione in cui le strutture democratiche esistono formalmente, ma il potere reale è sempre più concentrato nelle mani di élite economiche e tecnologiche.

Il fenomeno del sovranismo non è solo una risposta alla crisi economica, ma anche un effetto della trasformazione del discorso politico. Trump e altri leader populisti hanno capitalizzato sulla crisi del liberalismo globale, promettendo un ritorno a un ordine più stabile, spesso attraverso la retorica della "grandezza nazionale". Kantzas (2020) osserva che questo processo può essere interpretato come un tentativo di ristabilire il Nome-del-Padre in una forma che, sebbene apparentemente restauratrice, è in realtà profondamente mutata e adattata al nuovo contesto mediatico e tecnologico.

Big Tech e la Logica del Capitalismo Digitale

Le grandi multinazionali tecnologiche incarnano la logica dello sviluppo capitalistico nell’era digitale. Negri e Hardt (2000) hanno evidenziato come il capitalismo contemporaneo si basi su una forma di biopolitica che supera i confini degli stati-nazione. Musk, con le sue visioni transumaniste e di colonizzazione spaziale, e Trump, con il suo populismo digitale, rappresentano due lati della stessa medaglia: il tentativo di ridefinire un nuovo ordine globale attraverso strumenti tecnologici e politiche sovraniste.

La logica dello sviluppo capitalistico ha prodotto un'espansione senza precedenti delle Big Tech, che oggi esercitano un controllo senza precedenti sulle economie globali e sulle dinamiche politiche. Il modello economico delle piattaforme digitali ha trasformato il mercato del lavoro, creando una nuova forma di subordinazione basata su algoritmi e intelligenza artificiale. Kantzas (2020) osserva che le Big Tech stanno assumendo un ruolo sempre più simile a quello delle istituzioni tradizionali, ridefinendo il concetto stesso di sovranità economica e politica.

Automazione, Reddito di Cittadinanza e la Sfida della Nuova Politica Democratica

L’automazione, accelerata dallo sviluppo dell’intelligenza artificiale, pone interrogativi fondamentali sulla redistribuzione del reddito e sulla sostenibilità dell’attuale modello economico. Harari (2018) e Mazzucato (2018) hanno discusso la necessità di un nuovo contratto sociale basato su misure come il reddito di cittadinanza. Kantzas (2020) suggerisce che l’unica via per evitare un ritorno autoritario del Nome-del-Padre sia una politica democratica capace di integrare le trasformazioni tecnologiche in una logica di cooperazione internazionale.

L’emergere di nuove forme di lavoro e la crescente automazione rendono necessario un ripensamento del sistema di welfare. La politica democratica occidentale deve affrontare la sfida di bilanciare l’innovazione con la protezione sociale, evitando che la disoccupazione tecnologica alimenti ulteriormente il malcontento populista. Il reddito di cittadinanza potrebbe rappresentare una soluzione parziale, ma deve essere accompagnato da una politica di redistribuzione economica più ampia e da una regolamentazione efficace delle Big Tech.

Conclusione

Il mondo multipolare che emerge dalla crisi della globalizzazione neoliberista impone un ripensamento delle strutture politiche e sociali. Se il sovranismo e l’identitarismo rappresentano risposte reazionarie alla crisi del significante padrone, la sfida della politica democratica occidentale consiste nel risignificare le radici culturali dell’Occidente in un’ottica di coordinazione piuttosto che di subordinazione. Come suggerisce Kantzas (2020), la vera alternativa è costruire un nuovo ordine simbolico capace di integrare innovazione tecnologica e giustizia sociale.


Bibliografia

  1. Badiou, A. (2005). La scienza e la verità. Milano: Feltrinelli.
  2. Crouch, C. (2004). Post-Democracy. Cambridge: Polity Press.
  3. Foucault, M. (1976). La volontà di sapere. Torino: Einaudi.
  4. Harari, Y. N. (2018). 21 Lessons for the 21st Century. New York: Spiegel & Grau.
  5. Kantzas, P. (2011-2025). La polis senza Antigone e senza Creonte: Lezioni FiorentineUnifi Facoltà di Scienze Politiche.
  6. Lacan, J. (1966). Écrits: A Selection. Trad. Alan Sheridan. New York: Norton & Company.
  7. Marx, K., & Engels, F. (1848). Manifesto del Partito Comunista.
  8. Mazzucato, M. (2018). The Value of Everything: Making and Taking in the Global Economy. London: Penguin.
  9. Negri, A., & Hardt, M. (2000). Empire. Cambridge, MA: Harvard University Press.
  10. Zizek, S. (2012). The Year of Dreaming Dangerously. London: Verso.


mercoledì 19 marzo 2025

L'evaporazione del Nome-del-Padre




Lacan descrive l’evaporazione del Nome-del-Padre come il declino della funzione simbolica che per secoli ha ordinato il desiderio e garantito la coesione del legame sociale. Non si tratta di una semplice scomparsa, ma di una trasformazione profonda: il Nome-del-Padre perde il suo carattere unificante, lasciando il soggetto privo di un riferimento stabile. Questo genera disorientamento e apre la strada a nuove modalità di organizzazione del sociale, spesso caratterizzate da segregazione e da un godimento slegato da un ordine comune.

1. La crisi del legame sociale e la segregazione

Lacan individua nella segregazione una delle principali conseguenze di questa crisi. Venendo meno un significante universale capace di tenere insieme le differenze, il sociale si riorganizza in gruppi chiusi basati su appartenenze etniche, religiose o ideologiche. Se da un lato questo risponde al bisogno di identificazione, dall’altro produce rigidità e conflitti, impedendo un legame fondato sulla coordinazione piuttosto che sulla subordinazione.

Parallelamente, il controllo sociale si sposta dalla Legge simbolica a forme più impersonali di regolazione: la burocrazia, la tecnologia e l’economia diventano i nuovi dispositivi che organizzano il vivere collettivo, ma senza offrire un punto di riferimento simbolico capace di orientare il desiderio.

2. Le supplenze al Nome-del-Padre

L’evaporazione del Nome-del-Padre non lascia un vuoto assoluto, ma fa emergere diverse supplenze, che tentano di colmare l’assenza di un principio ordinatore:

  • Identitarie: l’appartenenza a gruppi ideologici, nazionali o religiosi assume una funzione totalizzante, offrendo un punto di riferimento rigido e dogmatico.
  • Tecnocratiche: il sociale viene regolato attraverso il controllo amministrativo e algoritmico, che governa i soggetti come utenti piuttosto che come desideranti.
  • Sintomatiche: il soggetto, privo di un ordine simbolico chiaro, si appoggia su sintomi individuali e collettivi (dipendenze, consumi compulsivi, ossessioni identitarie) per trovare un punto di tenuta.

3. Il discorso analitico come alternativa

Lacan non propone di restaurare il Nome-del-Padre nelle sue forme tradizionali, ma individua nel discorso analitico una possibile via di supplenza:

  • Non impone un nuovo significante padrone universale, ma sostiene l’elaborazione singolare del desiderio.
  • Non si basa sulla segregazione, ma su una logica di coordinazione tra differenze, evitando sia l’omogeneizzazione forzata sia la frammentazione radicale.

Il discorso analitico, quindi, non offre un nuovo Nome-del-Padre nel senso classico, ma permette al soggetto di costruire un rapporto con il desiderio che non dipenda da un’autorità imposta dall’alto.

4. Verso nuovi Nomi-del-Padre?

L’evaporazione del Nome-del-Padre non implica la sua scomparsa definitiva, ma la necessità di ripensarne la funzione. La sfida del presente è trovare nuovi modi per organizzare il legame sociale, senza cadere né nella nostalgia di un’autorità perduta né nella dissoluzione completa del simbolico. Se emergeranno nuovi Nomi-del-Padre, essi dovranno essere capaci di coniugare libertà e appartenenza, creando legami che coordinino le differenze senza ridurle a una logica di esclusione o dominio.

🔍L'Analisi in Lacan

Fare un’ analisi secondo Jacques Lacan non è semplicemente parlare dei propri problemi. È un’esperienza trasformativa, in cui il soggetto ...