“Di notte” di Mariangela Gualtieri
Di notte
le mille faccende riposte
il chiacchierio delle cose
ottuso chiuso a chiave nello scrigno nero
e il tempo davanti pare esteso
e le stelle mandano lo sfolgorio
fin dentro le mie pupille chiuse.
Che notte di neve meravigliosa
dentro, nelle falde del cuore acceso
a tutto motore, che partitura
di silenzio e di luce.
Domani ancora caricheremo il fardello
faremo la fatica delle sporte
dolorose e del peso. Domani
tenteremo di destreggiarci
fra le spine del giorno.
Staremo nel precipizio delle faccende.
E poi di nuovo la notte col suo premio
di sospensione distesa.
La notte
che talmente avvicina l’oltretomba
e tutto il di là della vita
con le creature addormentate nel bosco
e la sua corda tesa di buio.
La notte su metà del pianeta
con mani addormentata sui cuscini
e occhi che si chiudono dentro tutte le case.
E ora da qui, dal nocciolo più interno
della notte, rifletto e accetto
l’alta compitazione, l’investitura
in scrittura terrestre, della sacrosanta vita
attutita, come imbottita e sepolta
nei corpi del genere umano.
1. La sospensione del Simbolico e l’apertura al Reale
Gualtieri apre la poesia con l’immagine di un mondo che si ritira: “le mille faccende riposte”, “il chiacchierio delle cose ottuso, chiuso a chiave”. È il momento in cui il Simbolico dominante, con i suoi imperativi di efficienza, utilità e produttività, si ritira, lasciando spazio a un vuoto fertile. La notte non è solo assenza di luce, ma assenza di senso obbligato, una partitura di silenzio e di luce che apre la possibilità di un’altra scrittura, di un’altra articolazione soggettiva.
Qui si fa sentire il Reale, non come trauma brutale, ma come presenza viva e notturna, avvertita nel corpo: “il cuore acceso a tutto motore”. Un godimento, forse, che sfugge alla presa del Nome-del-Padre, e che si avvicina al godimento femminile indicato da Lacan nel Seminario XX — un godimento Altro, non tutto simbolizzabile.
2. Il soggetto nella notte: sospeso tra veglia e sogno
La notte descritta da Gualtieri non è semplicemente un tempo del riposo, ma un tempo in cui il soggetto si raccoglie, riflette, e accetta un compito: “dal nocciolo più interno della notte, rifletto e accetto l’alta compitazione”. In termini lacaniani, qui il soggetto non è più parlato dall’Altro, ma si assume come causa del proprio desiderio. La “scrittura terrestre” può allora essere vista come una forma di investitura soggettiva, il rilancio di un nuovo S1, che non domina, ma orienta.
Questo S1 è radicalmente diverso da quello del giorno, fatto di “fardelli”, “sporte dolorose”, “spine del giorno”: tutti segni del discorso del padrone moderno, che aliena il soggetto nella sua funzione sociale. La notte invece offre la possibilità di articolare un S1 singolare, forse poetico, forse etico, che nasce dall’esperienza del Reale e dalla sospensione del già-detto.
3. Il rilancio di un nuovo S1
In questa sospensione, possiamo leggere la notte come tempo propizio per rilanciare un nuovo significante padrone, non imposto dall’Altro, ma emerso dal fondo del soggetto. Questo nuovo S1 non è normativo, ma segnale di un altro possibile discorso, più vicino alla vita, alla fragilità, alla finitudine condivisa. La poesia stessa, nella sua forma, è già esempio di questo altro S1, che non comanda ma chiede ospitalità nel linguaggio.
Possiamo ipotizzare che questo S1 notturno — fragile, terreno, scritto — sia un S1 del legame, non della prestazione; un S1 che nomina la “sacrosanta vita attutita” nei corpi umani, e non la vita performante, visibile, riconosciuta. È, in questo senso, un S1 sottratto all’economia della visibilità, e perciò prossimo all’etica psicoanalitica del desiderio: non ciò che realizza, ma ciò che orienta nella notte.
4. Conclusione: un altro discorso è possibile
La notte di Gualtieri è un invito a sospendere il dominio dell’S1 diurno e a rendere possibile un altro discorso, fondato non sul comando, ma sulla scrittura del desiderio. In essa il soggetto non è annullato, ma trasfigurato dal silenzio e dalla possibilità di nominare altrimenti la propria vita.
In un’epoca segnata dal dominio dei discorsi tecnocratici e prestazionali, la poesia — e la notte che la rende possibile — possono essere lette come spazi di resistenza simbolica. Luoghi dove l’Altro non impone, ma ascolta, e dove il soggetto può rilanciare un S1 proprio, fragile e sacro, capace di dare inizio a un discorso più umano.