giovedì 11 dicembre 2025

Eschaton. Per un’erotica del tempo estremo


Il tempo dell’invecchiamento non è solo successione cronologica (Chronos, χρόνος), ma un esperire soggettivo della fine, un attraversamento del limite che modella la percezione di sé, degli altri e del mondo. Nella psicoanalisi lacaniana, il soggetto si confronta con il reale dell’evento, più che con il passaggio lineare degli anni (Lacan, 1973). L’anziano non si identifica con la quantità di tempo trascorsa, ma con il suo rapporto al desiderio, alla memoria e alla mancanza simbolica.

Eschaton e tempo estremo

L’Eschaton, inteso come tempo ultimo o fine dei tempi (Aion, αἰών), acquista una dimensione psicoanalitica nella vita dell’anziano che sperimenta la propria finitudine. Il concetto di “tempo restante”, sviluppato da Agamben (2000), si intreccia con la soggettivazione lacaniana: il soggetto deve confrontarsi con ciò che non può essere assimilato o controllato dal simbolico.

Il desiderio in età avanzata si manifesta con intensità nella consapevolezza del limite, dando luogo a un erotismo del tempo (Kairos, καιρός) che non è più legato al possesso o al dominio, ma alla relazione con la continuità simbolica (Lacan, 1975). In questa fase, il soggetto vive un doppio tempo: il Chronos degli eventi vissuti e il Kairos del desiderio al limite, dove il godimento si radica nell’essere stesso.

Corpo, desiderio e vecchiaia

Il corpo dell’anziano diventa luogo di esperienza e desiderio. Secondo Soler (2016), nella maturità la relazione tra corpo e desiderio è mediata da un rapporto simbolico più flessibile, in cui l’angoscia non viene negata, ma accolta e trasformata. La percezione della Hora (ὥρα), il momento opportuno dell’evento, diventa centrale: il soggetto sente l’imminenza del limite e trasforma la consapevolezza della morte in esperienza di soggettivazione. Il corpo, segnando la finitudine, diventa anche testimonianza della capacità simbolica di trovare senso e desiderio nella fase estrema della vita.

Edipo a Colono e il destino della vecchiaia

La tragedia di Sofocle, Edipo a Colono, fornisce un parallelo poetico dell’invecchiamento (Sofocle, 2021). Edipo, vecchio e cieco, giunge a Colono in cerca di ospitalità e trova un passaggio simbolico verso la morte. Il suo destino (Moira, μοῖρα) mostra come l’anziano viva la temporalità estrema con consapevolezza, trasformando la vecchiaia in esperienza simbolica e desiderante. La tragedia evidenzia il confronto tra limitazione biologica e eternità simbolica, illustrando come la fine della vita possa essere un momento di piena soggettivazione.

Erotica del tempo estremo

Il concetto di erotica del tempo estremo, sviluppato da Miller e ripreso da Soler (2016), indica un’intimità con la propria finitudine, in cui il piacere non è dominio o possesso, ma relazione con l’Altro e con sé stessi. Questa forma di erotica si manifesta nella creazione simbolica, nella narrazione della propria storia e nella trasmissione dei valori, rendendo l’anziano attore del proprio passaggio verso il limite.

La vecchiaia diventa così un terreno privilegiato per la soggettivazione, in cui desiderio, memoria e simbolico si intrecciano (Aion, αἰών). Il godimento non si riduce alla corporalità o all’azione, ma si sposta nella dimensione della relazione simbolica, del racconto e della trasmissione, conferendo senso al tempo estremo vissuto.

Conclusione

L’invecchiamento, nella prospettiva psicoanalitica lacaniana, non è solo decadimento biologico, ma ritorno al reale e rielaborazione del desiderio. L’Eschaton permette di comprendere finitudine, memoria affettiva e continuità simbolica. Sofocle e Lacan mostrano come la vecchiaia possa diventare una fase di intensa soggettivazione e possibilità di godimento simbolico.

L’anziano, affrontando il limite del tempo, può percepire il senso compiuto della propria storia, consolidare le relazioni simboliche e accedere a una forma di soggettivazione matura. Così la vecchiaia si trasforma non in perdita, ma in un tempo di significato e di desiderio.


Bibliografia

  • Agamben, G. (2000). Il tempo che resta. Un commento alla Lettera ai Romani. Neri Pozza.

  • Lacan, J. (1973). Scritti. Einaudi.

  • Lacan, J. (1975). Seminario XX. Encore. Einaudi.

  • Miller, J.-A., AMP, Seminari, concetto di erotica del tempo.

  • Sofocle. (2021). Edipo a Colono. Trad. Giovanni Cerri. Marsilio

  • Soler, C. (2016). Gli affetti lacaniani. Franco Angeli


sabato 29 novembre 2025

👩‍👦Il desiderio della madre


1. Introduzione: più di cura e amore

Il desiderio della madre nella psicoanalisi lacaniana non coincide con il semplice affetto o con la soddisfazione dei bisogni del bambino. Esso è ciò che introduce il soggetto alla mancanza e alla possibilità di sviluppare un proprio desiderio. La madre appare inizialmente come fonte di protezione e godimento totale, ma il bambino percepisce presto che il suo desiderio trascende ciò che il bambino può offrire.

Esempio: Un neonato che piange per essere nutrito riceve il latte, ma la madre ha anche una vita propria e desideri propri: il bambino percepisce, pur inconsciamente, che non è l’unico centro del mondo materno.


2. Il ruolo della mancanza

Il bambino, confrontandosi con il desiderio materno, scopre che la madre non coincide con lui: questo introduce la mancanza, il primo incontro con il Reale. È nella differenza tra bisogno e desiderio materno che si struttura la soggettività.

Esempio: Un bambino desidera l’attenzione esclusiva della madre, ma questa deve uscire per andare al lavoro o occuparsi di altre responsabilità: l’esperienza della separazione insegna al bambino a tollerare la mancanza e a iniziare a desiderare in autonomia.


3. Dal desiderio materno al simbolico

Il desiderio della madre prepara il bambino all’entrata nel discorso simbolico, dove il linguaggio, le regole sociali e i significati culturali diventano centrali. Il bambino deve interpretare cosa la madre desidera, sviluppando così capacità simboliche e linguistiche.

Esempio: Quando una madre rifiuta un gioco perché il bambino deve andare a dormire, il piccolo comprende che c’è un ordine esterno al suo piacere immediato: inizia a interiorizzare regole e limiti.


4. Conflitti e sintomi

Quando il desiderio materno è ambiguo, contraddittorio o rigido, il soggetto può sviluppare sintomi o difficoltà relazionali. Al contrario, una mediazione simbolica efficace permette al bambino di strutturare un desiderio proprio, in continuità con l’esperienza materna ma distinto da essa.

Esempio: Un bambino che cresce in una famiglia eccessivamente controllante può sviluppare ansie o comportamenti ossessivi, manifestando l’impossibilità di conciliare il proprio desiderio con quello percepito della madre.


5. Il contesto sociale e culturale

Il desiderio della madre non è isolato: interagisce con altri desideri significativi, come quelli del padre, dei fratelli o della società. Comprenderlo significa anche leggere come il soggetto si colloca in una rete di significati e relazioni.

Esempio: In culture con forte enfasi sulla famiglia estesa, il bambino percepisce desideri plurimi (madre, nonni, comunità), il che può modulare e mediare la costruzione del proprio desiderio.


6. Conclusione

Il desiderio della madre è strutturante per la soggettività: introduce la mancanza, orienta il desiderio infantile e prepara l’entrata nel simbolico. È fonte di conflitto, ma anche di possibilità: comprendere questo concetto permette di leggere legami affettivi, sintomi e formazione del desiderio in chiave psicoanalitica.


1. Lacan, J. La relazione di oggetto. Einaufi



2. Lacan, J. (1953-54). Fonction et champ de la parole et du langage en psychanalyse. Testo PDF 


🔺Il Nome-del-Padre: Introduzione al concetto lacaniano


Il Nome-del-Padre è uno dei concetti chiave della psicoanalisi lacaniana. Non va inteso come il padre reale, ma come un significante fondamentale che struttura il desiderio, il simbolico e la legge nella vita del soggetto.

Per Lacan, il Nome-del-Padre rappresenta l’insieme delle norme, dei divieti e delle regole sociali interiorizzate dal soggetto. La sua funzione principale è mediare tra il desiderio infantile e le esigenze della realtà sociale, permettendo l’ingresso del bambino nel mondo simbolico.


Funzione simbolica

Il Nome-del-Padre agisce come garante del simbolico. In altre parole, è ciò che permette al soggetto di modulare i propri impulsi secondo regole condivise, evitando un rapporto esclusivamente immediato e anarchico con il reale.


Quando il Nome-del-Padre è efficace, il bambino sviluppa la capacità di desiderare secondo il linguaggio e la legge. In caso di fallimento del Nome-del-Padre, il soggetto può sperimentare forme di angoscia, nevrosi o psicosi, a seconda della struttura psichica.


Il divieto e il desiderio

Un aspetto centrale del Nome-del-Padre è il divieto incestuoso. Lacan riprende Freud: il padre simbolico è colui che proibisce la relazione sessuale con la madre, introducendo il bambino alla realtà sociale e al limite tra ciò che è permesso e ciò che è proibito.

Il divieto non è una semplice repressione, ma costituisce il fondamento del desiderio: è grazie al limite imposto che il desiderio può articolarsi. Senza il Nome-del-Padre, il desiderio rischierebbe di rimanere chiuso nel circuito immediato dei bisogni e delle pulsioni.


Il significante padrone

Lacan descrive il Nome-del-Padre come un “significante padrone” (S1). Questo significante agisce come punto di ancoraggio del linguaggio: organizza gli altri significanti e permette al soggetto di strutturare la propria esperienza e il proprio rapporto con il mondo.


Il significante padrone può assumere forme diverse nella cultura: non sempre coincide con la figura paterna reale. Può incarnarsi in figure autoritarie, ideali culturali, norme religiose o politiche.


Ritorno e crisi del Nome-del-Padre

In epoca contemporanea, alcuni autori osservano una crisi del Nome-del-Padre. La società liquida, la decostruzione dei ruoli tradizionali e il predominio del discorso capitalista possono indebolire la funzione simbolica del padre.

Secondo Lacan, questa crisi non significa l’assenza di legge, ma la necessità di un nuovo significante padrone. La funzione del padre simbolico può essere assunta da valori collettivi, principi etici, figure di riferimento sociali o progetti condivisi, purché riescano a orientare il desiderio senza cadere nella rigidità autoritaria.


Implicazioni cliniche

Nella clinica psicoanalitica, lavorare sul Nome-del-Padre significa esplorare come il soggetto interiorizza la legge, come elabora i divieti e come gestisce il desiderio.

Nei disturbi nevrotici, la funzione del Nome-del-Padre può essere presente ma distorta: il soggetto conosce le regole, ma è vincolato da conflitti interni.

Nelle psicosi, invece, la funzione può mancare del tutto, e il soggetto sperimenta il reale in modo più crudo, senza mediazioni simboliche.


Conclusioni

Il Nome-del-Padre  rimane un concetto centrale per comprendere la strutturazione del soggetto, il rapporto con la legge e la gestione del desiderio. Pur nelle trasformazioni sociali contemporanee, la funzione simbolica del padre continua a offrire un quadro teorico utile per la clinica psicoanalitica e per la riflessione sulla cultura e sul soggetto.


Bibliografia


Lacan, J. (1973). Il Seminario, Libro III: Le psicosi. Einaudi.

Lacan, J. (1975). Il Seminario, Libro XX: Encore. Einaudi.

Miller, J.-A. (2010). Introduzione al Nome-del-Padre




lunedì 24 novembre 2025

La seduta a tempo variabile secondo Lacan


La seduta a tempo variabile è una delle innovazioni più radicali introdotte da Lacan nella pratica psicoanalitica. Non si tratta di un artificio tecnico né di un vezzo stilistico, ma di un modo diverso di pensare il tempo dell’inconscio: un tempo fatto di tagli, di scarti, di momenti improvvisi in cui qualcosa si apre.

Un tempo che non coincide con l’orologio

La psicoanalisi classica aveva stabilito un formato stabile: circa 45-50 minuti per ogni seduta.
Lacan rompe questa regola perché ritiene che il vero tempo dell’analisi non sia cronologico, ma logico: ciò che conta è il punto in cui qualcosa del soggetto si presenta, non il minutaggio.

Per questo le sue sedute possono durare dieci minuti o quaranta: il criterio è la comparsa di un significante che merita di essere isolato.

Il taglio come atto

La seduta lacaniana non termina “perché il tempo è finito”, ma perché compare un punto di verità.
Il taglio è l’atto che fa risuonare quell’emergenza. Funziona come una punteggiatura: interrompe per far ascoltare meglio.
Non chiude, apre.
Il lavoro analitico continua fuori dalla seduta, come un nodo che insiste, che costringe a pensare.

Contro la chiacchiera

L’idea di Lacan è semplice e radicale: il discorso dell’analizzando spesso si adagia, si ripete, si prolunga inutilmente. La seduta lunga può diventare uno spazio di galleggiamento, dove l’inconscio si ritira e l’Io parla per inerzia.
Il tempo variabile mira invece a catturare l’istante di verità, evitando che venga assorbito dal flusso della parola.

Un dispositivo che responsabilizza

L’imprevedibilità del taglio ha anche un effetto etico: toglie al soggetto la sicurezza del tempo programmato.
Non sa quando la seduta finirà: deve rischiare qualcosa della sua parola.
Il taglio diventa così un gesto che rimette il soggetto davanti al proprio desiderio, senza protezioni.

Una pratica fraintesa

La seduta variabile ha suscitato critiche, soprattutto negli ambienti IPA: “non è standard”, “è troppo breve”, “è potenzialmente abusiva”.
Lacan rispondeva che il tempo della cura non è una tariffa, ma una logica.
Il taglio non serve a fare più sedute, ma a farne di migliori: più dense, più incisive, meno anestetizzanti.

Un tempo diverso

Nel mondo accelerato di oggi, dove tutto viene misurato e ottimizzato, la seduta a tempo variabile rimane una provocazione: introduce un tempo non produttivo, un tempo che non si lascia cronometrare.
È il tempo dell’inconscio, che non coincide con quello del calendario né con quello del lavoro.
È il tempo in cui può accadere qualcosa.


Bibliografia essenziale

J. Lacan, Scritti, Einaudi.

J. Lacan, Il Seminario, Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Einaudi.

J. Lacan, Il Seminario, Libro I. Gli scritti tecnici di Freud, Einaudi.

J.-A. Miller,  Introduzione alla clinica lacaniana,  Astrolabio.



domenica 16 novembre 2025

Pedagogia speciale, DSA e prospettiva psicoanalitica


1. Introduzione: tra DSA e soggettività

I Disturbi Specifici dell’Apprendimento sono oggi interpretati soprattutto come difficoltà neurobiologiche che incidono sui processi di lettura, scrittura e calcolo (Cornoldi, 2012). Questa prospettiva è utile, ma rischia di essere incompleta se non si considera la dimensione soggettiva che accompagna ogni difficoltà scolastica. Una lettura psicoanalitica lacaniana non sostituisce l’approccio pedagogico, ma lo integra interrogando ciò che, nell’apprendimento, eccede la pura funzione cognitiva: il desiderio, il legame e la parola.


2. Il soggetto nel linguaggio: la lettera come nodo

Per Lacan, il soggetto “abita la lingua prima ancora di utilizzarla” e la lettera è “materiale del significante” che insiste sul corpo (Lacan, 1957-58). Questa intuizione è feconda in pedagogia speciale: il bambino con DSA non è un deficit da normalizzare, ma un soggetto attraversato dalla struttura del linguaggio, che incontra ostacoli nella sua materializzazione grafica o fonologica.

L’insegnante, da questa prospettiva, non lavora solo sull’abilità ma sul rapporto del soggetto con il proprio modo di iscriversi nel linguaggio.


3. DSA come incontro tra struttura e relazione

Le ricerche psicopedagogiche mostrano che i DSA richiedono interventi mirati e strategie didattiche adattate (Canevaro, 2006; Ianes, 2005). Tuttavia, la psicoanalisi invita a non dimenticare che ogni difficoltà è anche un messaggio. Mannoni ricorda che il sintomo “non è mai puro malfunzionamento, ma risposta del soggetto a un contesto” (Mannoni, 1964).

In un’ottica integrata, l’ostacolo non è solo un problema da compensare, ma anche un punto di domanda che l’educatore può accogliere come via di accesso al soggetto, non alla diagnosi.


4. Il ruolo della relazione educativa

La pedagogia speciale contemporanea ha mostrato che l’inclusione non si produce attraverso norme o strumenti, ma attraverso la qualità del legame educativo (Canevaro, 2006). La psicoanalisi contribuisce chiarendo che tale legame non è neutro: l’insegnante è portatore di un desiderio e può diventare, come dice Recalcati, “colui che testimonia che il sapere vale” (Recalcati, 2014).

Nel lavoro con studenti con DSA, questo significa evitare sia l’iperprotezione sia la pressione prestazionale. L’insegnante è chiamato a sostenere un rapporto possibile con il sapere, non a eliminare ogni mancanza.


5. Inclusione come incontro con la differenza

L’inclusione, afferma Ianes, nasce da una “speciale normalità” (Ianes, 2005): un contesto capace di accogliere differenze senza renderle eccezioni. Qui la psicoanalisi offre una chiave importante: la differenza non va appiattita né celebrata astrattamente, ma riconosciuta come tratto singolare.

Per Lacan il soggetto è sempre “diffratto” dal significante, mai identico a sé: questa idea si traduce pedagogicamente nel non fissare lo studente nella categoria “dislessico” o “discalculico”, ma nel mantenere aperto il suo potenziale.


6. Strategia, tecnica e desiderio

Le strategie didattiche per i DSA — mappe, semplificazione, riconsegne scalate, strumenti compensativi — sono indispensabili (Cornoldi, 2012). Ma funzionano davvero quando si inseriscono in un contesto che sostiene la soggettività.

Se il ragazzo vive l’aiuto come stigma, la strategia fallisce; se lo vive come possibilità, la strategia apre un percorso. La psicoanalisi ricorda che ogni apprendimento implica un atto di desiderio: non c’è tecnica che funzioni senza un posto, anche minimo, per il desiderio del soggetto (Brusa 2024).


7. Una sintesi possibile

La pedagogia speciale fornisce strumenti, la psicopedagogia indica cornici inclusive, la ricerca sui DSA chiarisce processi e tecniche. La lettura psicoanalitica, senza negare nulla di tutto ciò, restituisce spessore all’esperienza del bambino e dell’adolescente, mostrando che la difficoltà non è mai riducibile a un circuito neurocognitivo.

Educare un ragazzo con DSA significa allora sostenere abilità, ma anche ascoltare il suo rapporto singolare con il sapere, il suo modo di entrare nella parola, il suo ritmo. Come ricorda Canevaro, “si educa sempre qualcuno, non qualcosa” (2006).

Una scuola che tiene insieme competenza e soggetto diventa davvero inclusiva.


Bibliografia essenziale

Brusa, L. (2024), I disturbi dell'apprendimento, Quodlibet: Roma

Canevaro, A. (2006), Pedagogia speciale. Milano: Mondadori.

Cornoldi, C. (2012). I disturbi specifici dell’apprendimento. Bologna: Il Mulino.

Ianes, D. (2005). La speciale normalità. Trento: Erickson.

Lacan, J. (1957-58). Le formazioni dell’inconscio. Torino: Einaudi.

Mannoni, M. (1964). Il bambino ritardato e la madre. Milano: Feltrinelli.

Recalcati, M. (2014). L’ora di lezione. Torino: Einaudi.


sabato 15 novembre 2025

Psicocardiologia: il cuore tra corpo, inconscio e reale


Le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morte nel mondo, con circa 19,8 milioni di decessi all’anno secondo l’OMS. In Italia, circa un adulto su tre presenta una forma di cardiopatia, spesso associata a ipertensione, diabete, dislipidemia e sedentarietà.

Oltre ai fattori biologici, stress, ansia e depressione influenzano significativamente la progressione della malattia: la depressione aumenta del 60–70% il rischio di eventi cardiaci, mentre lo stress cronico raddoppia la probabilità di infarto o morte improvvisa (Steptoe & Kivimäki, 2022). Questi dati mostrano come il cuore non sia solo organo biologico, ma luogo in cui il reale dell’inconscio può iscriversi corporalmente.


Approccio psicosomatico e psicodinamico

La psicosomatica francese evidenzia nei pazienti cardiopatici un funzionamento mentale operativo, orientato all’azione e povero di rappresentazioni affettive. Emozioni intense non elaborate, come rabbia, frustrazione o senso di colpa, si scaricano sul corpo, contribuendo a ipertensione, aritmie e ischemia coronarica.

La psicodinamica permette di esplorare conflitti intrapsichici, storia relazionale e modalità di regolazione emotiva. Tra le configurazioni più frequenti si osservano:

repressione di aggressività verso figure significative;

tensioni tra autonomia e dipendenza;

ipercontrollo delle emozioni e senso di responsabilità eccessivo;

esperienze infantili di attaccamento instabile o traumatico.

Esempio clinico: un uomo di 55 anni con cardiopatia ischemica riferisce dolore toracico durante conflitti lavorativi, incapace di manifestare rabbia verso il capo. La lettura psicoanalitica lacaniana interpreta il sintomo come trasposizione corporea di tensioni non simbolizzate, un segno che il cuore “parla” ciò che il linguaggio non può ancora nominare.

Una donna con ipertensione cronica, che reprime rabbia e sovraccarico di responsabilità, mostra come l’iperattivazione cardiaca rappresenti un effetto del reale sull’organo, un conflitto interno che il soggetto non riesce a elaborare simbolicamente.


Lettura psicoanalitica 

Secondo la prospettiva lacaniana, il corpo parla quando manca il simbolico. Aritmie, dolore toracico e ipertensione possono essere lette come tracce corporee del reale dell’inconscio, affetti non mentalizzati che il soggetto non riesce a integrare simbolicamente.

Esempio clinico: un uomo con aritmia peggiora nei periodi di pressione sociale intensa. In chiave lacaniana, il cuore “scrive” il reale: non trasmette un messaggio codificato, come nell’isteria, ma manifesta un conflitto inconscio che il linguaggio cosciente non riesce a nominare.

In questa prospettiva, stress cronico, ansia e repressione della rabbia costituiscono il reale che si incide sul cuore, rendendo il sintomo un registro corporeo dell’inconscio.


Integrazione clinica

L’approccio psicocardiologico integrato combina:

Medicina cardiovascolare: gestione dei fattori di rischio;

Psicosomatica: osservazione di come conflitti non elaborati si scarichino sul corpo;

Psicodinamica: analisi dei conflitti intrapsichici e delle dinamiche relazionali;

Lettura psicoanalitica lacaniana: il corpo come registro del reale quando manca la parola.

Gli interventi clinici includono supporto psicologico, simbolizzazione dei conflitti, gestione dello stress e consapevolezza corporea. L’obiettivo è che il paziente integri corpo e psiche, trasformando la sofferenza cardiaca in esperienza simbolicamente elaborata.


Conclusione

La psicocardiologia mostra come il cuore sia spazio di iscrizione dei conflitti intrapsichici e del reale psichico, dove stress, ansia, depressione e repressione emotiva modulano la manifestazione dei sintomi. L’approccio integrato psicosomatico, psicodinamico e psicoanalitico lacaniano permette di leggere il cuore come registro vivo dell’inconscio, restituendo parola e significato ai sintomi corporei.



Bibliografia essenziale

Marty, P. (1968). L’ordre psychosomatique. PUF.

Dejours, C. (1989). Corps, d’unité et divisions. Payot.

Lacan, J. (1964). Le Séminaire, Livre XI: Les quatre concepts fondamentaux de la psychanalyse. Seuil.

Steptoe, A., & Kivimäki, M. (2022). Stress and Cardiovascular Disease. Nature Reviews Cardiology, 19(9), 601–615.

McEwen, B.S. (2007). Physiology and neurobiology of stress and adaptation. Physiological Reviews, 87(3), 873–904.

Spence, N., et al. (2020). Psychosocial factors and cardiovascular disease. European Heart Journal, 41(3), 223–232.




mercoledì 5 novembre 2025

Psicoanalisi ed ermeneutica dell’irrappresentabile: un’epistemologia del limite

Astratto Ermeneutico-Dott. Samuele Nale


1. Introduzione: l’interpretazione al suo limite

La psicoanalisi lacaniana si distingue da ogni forma di ermeneutica classica: non mira a ricostruire significati nascosti, né a unificare il senso della vita psichica.
Il suo campo proprio è il punto in cui la rappresentazione fallisce.
Parlare di “ermeneutica dell’irrappresentabile” significa allora proporre un uso della parola ermeneutica molto diverso: non come comprensione, ma come lettura del limite del comprendere.


2. Il reale come ciò che non si lascia rappresentare

Nel pensiero di Lacan, il reale è ciò che non trova posto nel simbolico, ciò che resiste alla catena significante.
Non è una profondità da spiegare, ma un buco nella trama del senso: trauma, scontro con l’impossibile, eccedenza del godimento.
L’irrappresentabile non è assenza di immaginazione: è eccedenza del reale rispetto a ogni immagine.
L’ermeneutica analitica non ricostruisce significati; mappa piuttosto la presenza insistente di ciò che non può significare.


3. Dal senso alla struttura: una ermeneutica negativa

Ciò che Lacan introduce è una forma di ermeneutica strutturale e negativa: una lettura che non punta alla ricostruzione del senso, ma alla logica dell’inconsistenza.
Il simbolico è incompleto; il reale si presenta come ciò che “non cessa di non iscriversi”.
L’ermeneuta dell’irrappresentabile non cerca la verità nascosta del soggetto, ma segue la topologia del buco, il margine del dicibile, gli effetti del godimento che sfuggono alla grammatica del significante.


4. La logica del reale: una scienza senza rappresentazione

Quando Lacan parla di “scienza logica del reale”, non allude a una scienza positiva, ma a una logica del limite.
Il reale si può solo circumnavigare, mai rappresentare direttamente.
La logica del reale è:

  • topologica, perché lavora su buchi, nodi, torsioni;
  • negativa, perché si articola nell’impossibile e non nella verità;
  • materiale, perché si manifesta nei corpi e nei sintomi.

L’ermeneutica analitica osserva la forma dell’impossibile, non il suo contenuto.


5. L’interpretazione come taglio

L’interpretazione efficace, in Lacan, non spiega: taglia.
Un buon intervento analitico non aggiunge significato, ma introduce una discontinuità, un inciampo nella catena del discorso.
L’ermeneutica classica procede per ampliamento del senso; l’interpretazione lacaniana procede per sottrazione, per rarefazione del senso, per colpo di significante.
L’interpretazione dell’irrappresentabile è un atto, non un commento.


6. Il sintomo come cifra del reale

Il sintomo non è un messaggio da tradurre, ma una lettera del reale, una modalità di godimento che prende forma nel soggetto.
La psicoanalisi lacaniana legge il sintomo secondo la sua logica interna, non secondo la sua semantica.
Il sintomo è la scrittura dell’irrappresentabile: ciò che il soggetto non può dire, ma che si deposita nel corpo.
L’ermeneutica dell’irrappresentabile è allora la lettura del sintomo come cifra opaca che lega insieme simbolico, immaginario e reale.


7. Kuhn e l’impossibile del paradigma

Una suggestione utile viene da Thomas S. Kuhn, che mostra come ogni paradigma scientifico si regga su punti ciechi, anomalie non risolte, rotture interne non rappresentabili all’interno del quadro concettuale vigente.
Pur in un altro campo, si può vedere un’analogia:
l’irrappresentabile in psicoanalisi funziona come anomalía strutturale del soggetto, che non può essere catturata da nessun paradigma simbolico personale.
La “crisi di paradigma” kuhniana mostra che è sul punto di impossibile che emerge una nuova logica.
Così, per Lacan, è nel reale – nell’irrappresentabile – che si annoda la singolarità del soggetto.


8. Conclusione

La psicoanalisi, nel suo vertice lacaniano, è una forma rigorosa di ermeneutica negativa:
una pratica che legge il luogo dell’impossibile, che circoscrive il reale, che dà una forma al buio senza pretendere di illuminarlo.
Interpretare l’irrappresentabile significa lasciare intatto il suo nucleo, situarlo, farne emergere l’incidenza.
La logica del reale non è una comprensione, ma un orientamento attorno a ciò che non si può rappresentare.


Bibliografia essenziale

  • Freud, S. (1900). L’interpretazione dei sogni.
  • Lacan, J. (1966). Écrits.
  • Lacan, J. (1973). Seminario XX: Encore.
  • Lacan, J. (1976-78). Seminario XXIII: Il sinthomo.
  • Kuhn, T. S. (1962). La struttura delle rivoluzioni scientifiche.
  • Safouan, M. (1983). Jacques Lacan e la questione del desiderio.


Psicoanalisi e teoria della conoscenza

Vortice


1. La posizione di Lacan: una scienza rigorosa ma diversa dalle scienze naturali

Lacan riteneva che la psicoanalisi dovesse emanciparsi sia dalla psicologia empirica sia dalla filosofia umanistica, per diventare una scienza autonoma del linguaggio e del desiderio.
Non voleva fare della psicoanalisi una scienza “dura”, ma una scienza del soggetto dell’inconscio, cioè di ciò che la scienza moderna esclude (l’effetto del linguaggio sul corpo).

Per lui, la psicoanalisi era una “scienza del reale”, rigorosa come la matematica, ma centrata su un altro oggetto.
Questa idea rimane coerente internamente al suo sistema teorico, ma non è stata accettata da tutti.


2. Le riserve del mondo scientifico

Dal punto di vista delle scienze naturali o cognitive, la psicoanalisi non è considerata una scienza, perché non produce dati replicabili né verificabili sperimentalmente.
Il criterio popperiano di falsificabilità non si applica al discorso analitico.
Per i neuroscienziati o gli psicologi sperimentali, dunque, la psicoanalisi resta una disciplina interpretativa o clinica, non scientifica.

Molti ritengono che il linguaggio di Lacan, altamente simbolico e formalizzato, sia troppo distante dai metodi empirici per poter essere definito scientifico.


3. Le divisioni interne alla psicoanalisi

Anche dentro il mondo psicoanalitico le posizioni divergono:

  • Gli eredi lacaniani (soprattutto della Scuola di Miller, Milner, Badiou, Recalcati in parte) difendono l’idea che la psicoanalisi sia una scienza logica del soggetto.
    La sua scientificità non starebbe nella verifica empirica, ma nella coerenza formale del suo discorso e nella ripetibilità del dispositivo clinico (il transfert, l’interpretazione, il sintomo).

  • I freudiani classici e molti kleiniani preferiscono parlare di “disciplina clinica fondata sull’esperienza”, non di scienza.
    Sottolineano che il cuore dell’analisi è la relazione umana e non una struttura logica astratta.

  • Gli psicologi del sé o gli analisti relazionali (soprattutto nel mondo anglosassone) rifiutano quasi del tutto l’idea di scientificità lacaniana: per loro, la psicoanalisi è una forma di ermeneutica clinica, un modo di comprendere le narrazioni del soggetto.


4. Le letture filosofiche contemporanee

Diversi filosofi, però, hanno preso sul serio la proposta di Lacan:

  • Alain Badiou e Jean-Claude Milner parlano della psicoanalisi come di una scienza del reale, una scienza che non elimina il soggetto ma lo produce come effetto di sapere.
  • Slavoj Žižek la difende come “contro-scienza”: una disciplina che mostra il limite interno di ogni sapere totalizzante.
  • Al contrario, Paul Ricoeur e Habermas la leggono come ermeneutica del sé, non come scienza logica.

Dunque, nella filosofia contemporanea la posizione di Lacan è apprezzata ma non universalmente accettata: è considerata una sfida ai confini della scienza, non un modello consolidato.


5. Una scienza “altra”

In sintesi, la maggioranza del mondo scientifico non riconosce la psicoanalisi come scienza nel senso stretto, mentre il mondo lacaniano la rivendica come una scienza “altra”, che usa la logica per trattare ciò che le altre scienze escludono: il desiderio, il sintomo, il reale.
È quindi una scienza in senso proprio solo all’interno del suo paradigma.

Come dice Lacan nel Seminario XI:

“La psicoanalisi è la scienza di ciò che la scienza rifiuta: il soggetto.”


martedì 4 novembre 2025

Cefalee. Una lettura psicosomatica e psicoanalitica


Il dolore come linguaggio del corpo

Le cefalee non sono mai solo dolore: rappresentano un linguaggio del corpo, un modo in cui la psiche comunica attraverso il sistema nervoso e i vasi cranici. Il mal di testa pulsante, la tensione muscolare, la nausea e le vertigini che spesso lo accompagnano non sono casuali: sono segnali di un intreccio profondo tra biologia, emozioni e conflitti inconsci.


La dimensione biologica dell’emicrania

L’emicrania è un esempio emblematico di come fattori biologici e psichici si intreccino:

Attivazione del sistema trigemino‑vascolare e rilascio di peptidi come il CGRP, che causano dolore pulsante e infiammazione neurogena.

Alterazioni dei neurotrasmettitori: serotonina, dopamina e glutammato, che modulano dolore, nausea e sensibilità sensoriale.

Attivazione del sistema nervoso autonomo, responsabile di tachicardia, pallore, sudorazione e vertigini.

Questi meccanismi biologici, pur essendo concreti, non esauriscono il senso del sintomo: il corpo diventa il luogo in cui si manifesta angoscia, ansia e desiderio non espresso.


La prospettiva psicoanalitica

Secondo la psicoanalisi lacaniana, la cefalea può essere interpretata come formazione sintomatica in una struttura isterica:

Il soggetto trasforma conflitti inconsci in sintomi corporei (dolore, nausea, vertigini, tachicardia).

Il sintomo corporeo comunica ciò che la parola non riesce a esprimere.

La cefalea spesso si inserisce in un circuito psicosomatico più ampio, che può includere attacchi di panico e sintomi vegetativi, tutti collegati in un ciclo auto‑rinforzante.


Il circuito psicosomatico cronico

Il ciclo funziona così:

1. La struttura isterica genera ansia e attivazione psichica.

2. Il corpo risponde con attivazione del sistema nervoso autonomo e aumento del cortisolo, tensione muscolare e alterazioni neurochimiche.

3. La cefalea e gli altri sintomi corporei amplificano l’attenzione sul corpo e l’ansia, rinforzando la struttura sintomatica.

Nel tempo, questo circuito può diventare cronico, abbassando la soglia del dolore e aumentando la vulnerabilità a nuovi episodi.


Mente e corpo come un unico campo

Il sintomo corporeo rivela una narrazione simbolica incarnata: il dolore comunica ansia, conflitti e desideri inconsci.

Interventi esclusivamente farmacologici o fisici possono attenuare temporaneamente i sintomi, ma non spezzano il circuito psicosomatico.

Analogamente, trattare solo ansia o panico senza considerare la componente biologica lascia il corpo “prigioniero” del sintomo.


Conclusione

Una lettura integrata psicosomatica e psicoanalitica invita a considerare le cefalee come fenomeni multidimensionali, dove corpo e psiche si influenzano reciprocamente. Solo lavorando su tutti i livelli — biologico, emotivo e simbolico — è possibile interrompere il circuito, restituendo al soggetto autonomia sul proprio corpo e sul proprio desiderio, e trasformando il dolore da linguaggio unico della sofferenza a messaggio interpretabile e gestibile.



giovedì 16 ottobre 2025

Il corpo parlante: tra psicoanalisi e immunologia



Sistema immunitario


Un corpo che parla

Per la psicoanalisi, il corpo non è solo un organismo, ma un corpo parlante. Freud descriveva il sintomo come una formazione di compromesso: ciò che la parola non riesce a dire, il corpo lo manifesta attraverso dolore, tensioni o malattie psicosomatiche. Lacan (1975) riprende questa idea, sostenendo che l’essere umano è «parlato dal significante» e che il corpo è il luogo dove il linguaggio lascia la sua traccia reale.

Le neuroscienze e la psiconeuroimmunologia confermano che mente, cervello e sistema immunitario costituiscono un continuum comunicativo. Emozioni, traumi e stress modulano la risposta immunitaria, mostrando come il corpo reagisca come se fosse attraversato dal linguaggio dell’esperienza.


Il linguaggio del sistema immunitario

Il sistema immunitario non è solo difesa, ma un complesso sistema di riconoscimento, memoria e regolazione. Ogni giorno distingue tra “sé” e “non-sé” grazie a cellule specializzate come linfociti T e B, recettori e citochine che comunicano tra loro. Questa rete molecolare consente di attivare risposte precise e, allo stesso tempo, di tollerare ciò che appartiene al sé, evitando attacchi dannosi.

La tolleranza immunologica è fondamentale per la salute (Abbas, Lichtman & Pillai, 2010). Quando fallisce, si manifestano le malattie autoimmuni, in cui il sistema immunitario attacca tessuti sani, come nel lupus, nella tiroidite di Hashimoto o nella sclerosi multipla. In psicoanalisi, analogamente, il soggetto può perdere la capacità di riconoscere parti di sé, generando sintomi o autoaggressioni psichiche.


Stress e regolazione immunitaria

La psiconeuroimmunologia mostra che stress cronico, lutti o traumi alterano la regolazione immunitaria. L’asse ipotalamo-ipofisi-surrene produce cortisolo, modulando la proliferazione dei linfociti e la secrezione di citochine (Ader, 2007). Un eccesso di cortisolo indebolisce le difese immunitarie o mantiene attiva l’infiammazione.

Le citochine infiammatorie comunicano con il cervello, influenzando umore, sonno e appetito. Dantzer et al. (2008) hanno evidenziato come l’infiammazione cronica possa produrre sintomi depressivi o ansiosi. In altre parole, il corpo traduce in linguaggio biologico ciò che la parola non riesce a dire: un trauma non elaborato, un conflitto interno o una tensione emotiva persistente.


Tolleranza e riconoscimento

Il concetto di tolleranza è centrale sia in immunologia sia in psicoanalisi. Il sistema immunitario deve distinguere ciò che eliminare da ciò che integrare; allo stesso modo, il soggetto deve riconoscere e accogliere le proprie contraddizioni interne. Medzhitov e Janeway (2002) descrivono la tolleranza come un processo di apprendimento biologico: il corpo convive con l’alterità senza distruggerla.

In psicoanalisi, la tolleranza simbolica permette al soggetto di integrare desideri, colpe o impulsi ritenuti inaccettabili senza generarne sintomi. L’infiammazione cronica diventa quindi un esempio concreto di come la regolazione fallita, nel corpo come nella psiche, conduca a sofferenza persistente.


Il corpo parlante come campo comune

Lacan definiva il corpo «luogo dove l’inconscio si iscrive» (Seminario XX). Il corpo parlante non è né solo biologia né solo psiche: è un campo d’intersezione tra linguaggio e vita. Il sistema immunitario, con il suo linguaggio molecolare, distingue, integra e ricorda, mostrando come la regolazione biologica e quella psichica seguano logiche analoghe.

Comprendere questa corrispondenza non significa confondere i livelli, ma riconoscere che corpo e parola condividono la stessa logica del riconoscimento e della tolleranza. Il sintomo psichico e l’infiammazione biologica, ciascuno nel proprio registro, segnalano un fallimento della mediazione tra sé e Altro. La cura diventa così il ripristino di un dialogo tra corpo e parola: un corpo parlante capace di riconoscere e integrare la differenza.


Conclusione

Il corpo parlante mostra che salute e benessere non coincidono con assenza di conflitto, ma con capacità di regolazione. La psicoanalisi e la neuroimmunologia ci ricordano che il corpo e la mente non agiscono separati: entrambi cercano equilibrio tra difesa e apertura, tra sé e alterità. Comprendere questo dialogo apre prospettive per una cura integrata, dove parola e biologia si rispecchiano e si sostengono reciprocamente.


Bibliografia essenziale

Abbas, A.K., Lichtman, A.H., & Pillai, S. (2010). Cellular and Molecular Immunology. Elsevier.

Ader, R. (2007). Psychoneuroimmunology. Academic Press.

Dantzer, R., O’Connor, J.C., Freund, G.G., Johnson, R.W., & Kelley, K.W. (2008). From inflammation to sickness and depression. Nature Reviews Neuroscience, 9(1), 46–56.

Lacan, J. (1975). Le Séminaire, Livre XX: Encore. Seuil.

Medzhitov, R., & Janeway, C.A. (2002). Decoding the patterns of self and nonself. Science, 296(5566), 298–300.







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