mercoledì 30 luglio 2025

🔍L'Analisi in Lacan


Fare un’analisi secondo Jacques Lacan non è semplicemente parlare dei propri problemi. È un’esperienza trasformativa, in cui il soggetto incontra il proprio desiderio e si confronta con il proprio inconscio strutturato come un linguaggio. Non è una cura nel senso medico del termine, ma un percorso di verità.


🎭 Il soggetto diviso ($)

Per Lacan, il soggetto dell’inconscio è diviso: non è mai pienamente identico a sé stesso. Lacan lo indica con il simbolo $, chiamato soggetto barrato.
Ad esempio: una persona può dire di voler essere “libera”, ma continuare a ripetere inconsciamente scelte che la rendono dipendente. C’è qualcosa in lei che “parla” oltre le sue intenzioni: l’inconscio.


🪙 I significanti (S1 → S2)

L’analisi lavora con le parole: sono i significanti, gli elementi base del linguaggio.
Un primo significante dominante, S1, struttura l’identità del soggetto: può essere “brava bambina”, “responsabile”, “fallito”, “figlio modello”…
Ma S1 da solo non dice nulla: prende senso solo quando viene messo in catena con altri significanti, S2 (sapere, narrazione, discorso).

🔁 Il lavoro analitico consiste nel far muovere questi significanti, per aprire nuovi modi di leggere la propria storia. È una trasformazione del discorso.


🪞 L’analista come oggetto a

L’analista non è lì per spiegare o consolare. Anzi, si mantiene in una posizione di assenza e vuoto operativo. Lacan la indica con a, l’oggetto causa del desiderio.
Non è ciò che il soggetto desidera, ma ciò che fa desiderare.

Esempio: una paziente racconta sempre la stessa scena d’infanzia, aspettandosi che l’analista dica “è colpa dei tuoi genitori”. Invece, l’analista tace, o rilancia una parola ambigua. Questo fa emergere qualcosa d’altro, oltre la lamentela: il suo desiderio.


✂️ Intervento sull’inconscio

L’analisi non segue una logica lineare, ma si muove per lapsus, scherzi, silenzi, tagli interpretativi. Il tempo non è cronologico, ma tempo logico: può bastare una frase o un gesto per cambiare tutto.

🕳️ Il soggetto incontra così un vuoto, un buco nel sapere, legato alla castrazione simbolica (Φ): il riconoscimento che non c’è un sapere completo o un godimento totale. Questo limite apre la possibilità di desiderare davvero.


🧭 Dal moi all’analizzante ($)

All’inizio, il soggetto parla come Io (moi), cercando coerenza e approvazione. Ma nel tempo, qualcosa cambia: inizia ad ascoltare l’inconscio, a smascherare il proprio fantasma, a separarsi da ideali imposti.
L’analisi termina quando il soggetto assume il proprio desiderio (non quello dell’Altro), e può abbandonare il transfert sull’analista.


🌱 Spunto finale

L’analisi in Lacan non è una normalizzazione, ma un’etica del desiderio: diventare responsabili della propria posizione nel discorso. Non per essere “felici”, ma per vivere in verità, anche con i propri enigmi.


🔹 Il Fallo (Φ): che cos'è?


Nel linguaggio di Lacan, il Fallo (Φ) non è il pene, né un oggetto sessuale.
È un simbolino speciale, che rappresenta quello che manca a tutti. Nessuno ce l’ha davvero, ma tutti lo desiderano.
Per Lacan, il Fallo è un significante: cioè un segno che rappresenta il desiderio dell’Altro (A).
L’Altro (con la A maiuscola) è il mondo del linguaggio, della cultura, delle regole.
Il soggetto si chiede sempre: "Che cosa vuole l’Altro da me?"
Il Fallo (Φ) è il tentativo di rispondere a questa domanda.


🔹 Avere o essere il Fallo?

Lacan dice che ci sono due posizioni simboliche:

  • Chi si sente come uno che ha il Falloha (Φ)
  • Chi si sente come uno che è il Falloè (Φ)

Ma attenzione! Nessuno ha davvero il Fallo, e nessuno è il Fallo.
È solo una questione di posizione nel linguaggio.

👦 Esempio: un bambino può credere di essere tutto per la madre → si sente il suo Fallo.
👨 Oppure può pensare che il padre abbia il Fallo → cioè il potere, la legge, l’autorità.

Qui entra in gioco il Nome-del-Padre (🄿), che introduce il limite, cioè la castrazione simbolica (✂️).


🔹 Castrazione simbolica (✂️)

Castrazione, per Lacan, non è qualcosa di fisico, ma un passaggio simbolico.
Vuol dire rinunciare a essere o ad avere il Fallo per poter entrare nel mondo del linguaggio, della legge, del desiderio.

La castrazione simbolica (✂️) ci fa capire che non possiamo essere tutto per l’Altro, e che qualcosa ci mancherà sempre.

Ma proprio questa mancanza ci fa desiderare.
Se avessimo già tutto, non ci sarebbe desiderio!


🔹 Oggetto a (𝒶): la causa del desiderio

Attenzione: il Fallo (Φ) non è l’oggetto che si desidera.

L’oggetto a (𝒶) è ciò che mette in moto il desiderio.
Non è quello che vogliamo raggiungere, ma ciò da cui nasce il desiderio.
È un piccolo pezzo mancante, un “resto” lasciato dal passaggio al linguaggio.
Può essere ad esempio: una voce, uno sguardo, il seno, le feci...

L’oggetto a (𝒶) è la causa del desiderio, non il suo fine.
Non lo vogliamo possedere: desideriamo a partire da lui.


🔹 Nel mondo di oggi: discorso capitalista ($)

Nel nostro tempo, domina il discorso capitalista ($), che promette godimento illimitato: soldi, oggetti, successo.

Ma così facendo, cancella la mancanza (✂️).
Ci illude che il desiderio possa essere soddisfatto del tutto.
Risultato? Più consumiamo, più ci sentiamo vuoti.


🔹 Spunto finale 🎯

Il Fallo (Φ) è un segno di ciò che ci manca.
Non dobbiamo cercare di possederlo o di essere tutto per l’Altro.
Il desiderio nasce dal limite ✂️, e si mette in moto grazie all’oggetto a (𝒶).

💬 In fondo, non viviamo per avere tutto, ma per desiderare qualcosa di nostro.

🔆L’oggetto a: il piccolo resto che ci muove

 

In psicoanalisi lacaniana, l’oggetto a (si legge “a minuscola”) è uno dei concetti più complessi e affascinanti. Non è un oggetto nel senso comune del termine, come un libro o una sedia. È piuttosto un oggetto perduto, un resto, qualcosa che non si può mai possedere ma che ci fa desiderare.


🔍 Cos’è l’oggetto a?

Lacan lo definisce come l’oggetto causa del desiderio. Non è l’oggetto che desideriamo, ma ciò che fa nascere il desiderio. È come il profumo di un piatto che ci attira prima ancora di sapere esattamente cos’è.

Per esempio:

👦 Un bambino desidera l’amore della madre. Ma non è solo la madre come persona a essere desiderata. È qualcosa in lei che sfugge, che non è mai tutto accessibile: questo “mancante” è l’oggetto a.

🎯 Non è la meta del desiderio, ma il motivo per cui il desiderio non si ferma mai.


🧠 Dove nasce l’oggetto a?

Lacan collega l’oggetto a alla castrazione simbolica 🪚: quel momento in cui il soggetto entra nel linguaggio e perde l’unione immaginaria con l’Altro (per esempio, con la madre). In questo passaggio, qualcosa si perde per sempre. Ma proprio questa perdita fonda il desiderio.

L’oggetto a è il resto di questa operazione: qualcosa che non entra mai del tutto nel simbolico (nel linguaggio), e resta come punto di attrazione.


🌀 Le forme dell’oggetto a

Lacan ne elenca alcune versioni tipiche:

🍼 Seno: il primo oggetto perduto per il bambino, simbolo della relazione con la madre.

💩 Feci: oggetto espulso dal corpo, simbolo di una perdita che però viene offerta all’Altro.

👁 Sguardo: non quello che vediamo, ma il sentire di essere visti.

🔊 Voce: non le parole, ma il suono che ci colpisce al di là del significato.

Questi oggetti non sono mai totalmente padroneggiabili. Sono frammenti, scarti, residui del godimento (jouissance), che però ci attraggono.


📺 Esempi quotidiani

🎬 Un artista che continua a dipingere nel tentativo di catturare quel qualcosa che sfugge alla tela: l’oggetto a è lì, nel vuoto che lo spinge a continuare.

💘 Innamorarsi spesso significa proiettare sull’altro una mancanza, un mistero che ci muove: non amiamo l’altro per ciò che è, ma per ciò che ci fa mancare.

📱 Anche l’uso compulsivo del telefono può essere legato a un oggetto a: cerchiamo qualcosa che non arriva mai del tutto, che ci tiene agganciati.


✨ Perché è così importante?

Per Lacan, l’oggetto a è ciò che permette al soggetto di non essere ridotto a ingranaggio del discorso del padrone o del discorso capitalista. È ciò che buca il senso, che resiste alla cattura totale, e che può aprire uno spazio al desiderio vero.


🔚 Spunto conclusivo:

Riconoscere l’oggetto a nella nostra esperienza ci aiuta a capire che non tutto può essere riempito, spiegato o consumato. E che, forse, è proprio in questa mancanza irriducibile che può emergere qualcosa di autentico nel nostro desiderare.



🧩 Il Significante Padrone (S1) in Lacan


Nel pensiero di Lacan, il Significante Padrone è un concetto chiave per comprendere come si struttura il soggetto nel linguaggio e nella società.


🔤 Cosa significa “Significante Padrone” (S1)?

Il Significante Padrone (che Lacan indica con il simbolo S1) è il primo significante che permette al soggetto di entrare nel mondo simbolico, quello del linguaggio, della cultura e delle leggi.

È il nome, il titolo, il simbolo d’autorità che fonda un ordine di senso.

È quello che dà forma al discorso, ma non ha senso da solo. Per “funzionare”, ha bisogno di essere legato ad altri significanti.


📚 Esempio semplice:

Un bambino viene chiamato “bravo”, “pigro”, “figlio di...”, “italiano”, “maschio”, “speciale”.

👉 Queste parole diventano S1: etichette che lo definiscono, anche inconsciamente.

Il soggetto si costruisce attorno a questi S1, senza sceglierli: li eredita, li riceve, li subisce.


🔁 Il rapporto tra S1 e S2

Lacan scrive così:

S1 → S2

📎 S2 è il sapere, l’insieme dei significanti che sviluppano il discorso (la scuola, la scienza, la cultura, i consigli, le norme).

👑 Ma S1 è ciò che comanda il discorso. È l’origine, il punto da cui parte tutto, anche se non dice niente di preciso.



🔒 S1 come punto fermo (ma anche limite)


Il Significante Padrone serve per:

✅ Dare unità al soggetto

✅ Offrire un’identità

✅ Sostenere il legame sociale


Ma è anche:

❌ Un punto di fissazione

❌ Un comando muto

❌ Un limite al desiderio


🏛️ Esempi di S1 nel sociale

🇫🇷 “Liberté, Égalité, Fraternité” → S1 che fonda la Repubblica

✝️ “Dio” → S1 in un discorso religioso

💼 “Merito” → S1 nel discorso neoliberale

💪 “Virilità” → S1 nella cultura patriarcale


👤 E per il soggetto?

Quando qualcuno dice:

“Io sono un fallito”

“Io sono un artista”

“Sono quello che lotta sempre”

sta parlando da un S1 che lo definisce, lo sostiene… e a volte lo incatena.


⚙️ Il problema? S1 non dice tutto

L’S1 non spiega chi siamo davvero. È solo una punta dell’iceberg.

Il soggetto è diviso (⧸) perché non può mai coincidere del tutto con quel significante.

💬 È lì che nasce il desiderio: dal fatto che qualcosa manca sempre tra S1 e ciò che siamo davvero.


🧲 S1 e l’Oggetto a

Per Lacan, il desiderio non è verso un oggetto (🍎), ma causato da un’assenza:

👉 l’oggetto a = oggetto causa del desiderio.

L’S1, imponendosi, copre questa mancanza, ma non la colma.

🧩 È per questo che il soggetto cerca, desidera, si muove…


🔚 Spunto conclusivo

Il Significante Padrone non è solo un “titolo” esterno, ma ci abita.

Comprenderlo aiuta a sciogliere legami troppo rigidi e a riaprire lo spazio del desiderio.

✏️ Un lavoro analitico è, in fondo, mettere in questione l’S1 che ci comanda.

E forse, iniziare a parlare da un altro punto.




💬 Castrazione simbolica in parole semplici

Perché non possiamo avere tutto (e va bene così)


🔹 Che cos’è la castrazione simbolica?
In Lacan, la castrazione simbolica non riguarda il corpo, ma il mondo del linguaggio e del desiderio.
Significa capire che non possiamo essere tutto per l’Altro, né avere tutto il godimento possibile.
È un limite che ci fa entrare nel mondo umano, fatto di mancanze e desideri.


🔸 Il bambino e la madre
All’inizio il bambino vive in una fusione con la madre, come se lei fosse tutta per lui.
Poi scopre che la madre desidera altro e che c’è una legge, rappresentata dal Nome-del-Padre (S₁ 🝑), che segna un confine.
Questa scoperta è la castrazione simbolica: capire che la madre non è tutta per lui.


🔹 La mancanza e il fallo simbolico (–Φ)
La castrazione introduce la mancanza, rappresentata da Lacan con il simbolo –Φ (fallo simbolico).
Non è un organo, ma un segno di ciò che manca all’Altro e che dà origine al desiderio.
La mancanza è ciò che spinge il soggetto a desiderare.


🔸 Il soggetto diviso ($) e il desiderio (D̶)
Dopo la castrazione, il soggetto diventa diviso ($), cioè non più pieno e completo.
Questa divisione è la base del desiderio (D̶): desideriamo proprio perché manca qualcosa.
Senza mancanza, il desiderio non esisterebbe.


🔹 Esempio semplice
Un ragazzo cerca di essere sempre perfetto per piacere a tutti, ma si sente vuoto.
Solo quando accetta di non poter essere tutto per l’altro, inizia a desiderare in modo autentico e a stare meglio con sé stesso.


🔸 Godimento (jouissance) e oggetto piccolo a (a)
Il godimento è un’esperienza di piacere che può essere anche eccessiva o dolorosa.
L’oggetto piccolo a (a) è ciò che Lacan chiama “oggetto causa del desiderio”: un piccolo “pezzo mancante” che cerchiamo per colmare la mancanza, ma che non possiamo mai possedere del tutto.
Il godimento è la spinta che nasce dal desiderio legato a questo oggetto.


🔹 Quando la castrazione viene negata
Oggi spesso si crede di poter avere tutto e godere senza limiti.
Questo è il discorso capitalista, dove il soggetto diviso ($) cerca il godimento (a) senza freni.
Ma senza accettare la castrazione, si cade in ansia, stress e insoddisfazione.


🔸 🌱 Conclusione
Accettare la castrazione simbolica (–Φ) è importante per diventare soggetti autentici.
Solo riconoscendo che qualcosa manca, possiamo davvero desiderare e costruire relazioni vere.


📘 Il sapere: quello che sappiamo… senza saperlo

Per Lacan, il sapere non è semplicemente qualcosa che si studia a scuola o si memorizza. Esiste un sapere che ci attraversa, ci struttura, ma non è sotto il nostro controllo. È il sapere dell’inconscio.

Hai mai detto qualcosa che ti ha sorpreso? O fatto un sogno che sembrava parlare di te più di quanto tu potessi spiegare?
👉 Ecco, per Lacan il sapere è lì. È ciò che parla attraverso di noi, anche quando non lo vogliamo.


🔤 S₂: il sapere che viene dall’Altro

Lacan usa il simbolo S₂ per indicare il sapere. Non si tratta del sapere “cosciente”, ma di una rete di parole, idee, frasi, regole che abbiamo interiorizzato nel tempo: dai genitori, dalla scuola, dalla cultura.

Questo sapere è nell’Altro: nella lingua, nella società, in chi ci ha cresciuto e parlato prima che potessimo capire.

👶 Un bambino impara a dire “bravo” o “cattivo” ben prima di sapere cosa significano davvero: le parole sanno di lui prima che lui sappia di sé.


🎯 Come nasce questo sapere?

Il sapere non arriva da solo: nasce quando una parola fondamentale – che Lacan chiama S₁, un “significante padrone” – si impone e dà senso alle altre.

Ad esempio: se per qualcuno “valere” significa “essere utile”, tutto il suo sapere (S₂) sarà costruito su questo: cercherà di essere efficiente, si sentirà in colpa se si ferma, interpreterà tutto in funzione del fare.

S₁ → S₂ significa proprio questo: una parola organizza tutto il nostro sapere.


🧩 Il soggetto e il sapere che lo eccede

Lacan indica il soggetto con $ (una “S” barrata), per dire che è diviso, non pienamente padrone di sé.
Una parte di noi sa cose che l’altra non vuole sapere.

🔍 Un esempio: una persona dice “Non posso venire, ho mal di testa”, ma dimentica che aveva appena detto di star benissimo. Il corpo parla, ma non secondo la logica cosciente.
È un sapere che “sfugge”, che si manifesta nei sintomi, nei lapsus, nei sogni.


📚 Quando il sapere diventa rigido

Nel discorso dell’università o della burocrazia, il sapere (S₂) prende il comando: tutto deve essere catalogato, spiegato, controllato. Ma il rischio è che il sapere venga usato per addomesticare il soggetto, ridurlo a prestazione o comportamento.

È un sapere senza desiderio, che può lasciare il soggetto vuoto, spento.


🌱 Un sapere che trasforma

In analisi, però, il sapere può essere diverso. Quando qualcuno si mette in parola, non ripete solo ciò che ha imparato, ma comincia a scoprire qualcosa di nuovo su di sé.
Non è un sapere che serve a controllare, ma che apre domande, che fa nascere un desiderio.


🧭 Conclusione

Per Lacan, il sapere non è una proprietà da accumulare, ma una via per incontrare il proprio enigma.
Non tutto si può sapere. Ma si può imparare ad ascoltare ciò che già sappiamo, in modo diverso.


martedì 29 luglio 2025

💭 La Mancanza che ci fa essere

 

Perché siamo umani proprio perché ci manca qualcosa

Ci sentiamo spesso incompleti, sbagliati, mai del tutto soddisfatti.

Ma se fosse proprio questa mancanza a renderci veramente umani?

Viviamo inseguendo qualcosa che sembra sempre sfuggire: 💔 un amore, 💼 un ruolo, 🤝 un riconoscimento.

E ogni volta che pensiamo di averlo trovato... qualcosa non torna.

In una società che ci vuole sempre “pieni” e performanti, la mancanza sembra un difetto.

E invece, per Jacques Lacan, la mancanza è il cuore del nostro essere:

> ✒️ Non siamo danneggiati perché ci manca qualcosa. Siamo soggetti proprio perché qualcosa ci manca.


🧠 Il linguaggio ci costruisce… ma lascia un buco

📌 Non nasciamo con un’identità pronta.

📌 È il linguaggio che ci forma: ci dà un nome, ci inserisce in un mondo di significati, regole, attese.

📌 Ma ogni parola detta lascia fuori qualcos’altro: qualcosa di noi non entra mai completamente nel discorso.

🔻 Questa parte mancante non è un errore.

🔻 È il segno di ciò che non si può dire del tutto, e che continuerà a muoverci.


> 🌀 “Il desiderio è la metonimia della mancanza ad essere.”

— Jacques Lacan, “Scritti”


🔥 Desideriamo perché ci manca qualcosa

💡 Il desiderio umano non mira solo agli oggetti, ma a qualcosa che ci completi nell’essere.

💭 Vogliamo sentirci riconosciuti, amati, visti.

Ma questo riconoscimento non è mai definitivo.

Perciò il desiderio non si spegne: 🔄 si sposta, torna, si reinventa.

🔸 Lacan chiama “oggetto a” il piccolo oggetto mancante, mai afferrabile, che mantiene vivo il desiderio.

🔸 Non è un oggetto concreto, ma un vuoto attorno al quale ruotiamo.


🧩 Esempio: “Mi manca qualcosa…

👤 X. ha 32 anni. Una relazione stabile, un buon lavoro, una vita che “funziona”. Eppure, una sera dice:

> “Mi sembra di avere tutto… ma sento che manca qualcosa.”

🎯 Non è un problema clinico: è il segno che il desiderio non finisce con l’appagamento.

È il soggetto che continua a cercare senso.



🌱 Una mancanza generativa

✔️ Un insegnante insegna

✔️ Un’artista crea

✔️ Un terapeuta ascolta

Non perché sono “completi”, ma perché qualcosa manca — e vuole passare.

💎 La mancanza non è solo assenza.

È la spinta a parlare, amare, agire.


Conclusione 

🎯 Non siamo soggetti “difettosi”:

Siamo soggetti desideranti.

💬 La mancanza è motore di vita, non un limite da eliminare.


👉 E tu? In quale parola, relazione o gesto senti la traccia della tua mancanza?

🌌 Abitare la mancanza è forse il modo più autentico per abitare noi stessi.





🔄 Il Transfert: desiderio, sapere e incontro analitico


📌 Cos’è il transfert?

Il transfert è quel fenomeno per cui una persona sposta inconsciamente emozioni e desideri del passato su un’altra figura nel presente, come l’analista. Ma per Jacques Lacan, il transfert non è solo un errore di attribuzione affettiva: è un motore strutturale della cura, strettamente legato al desiderio e al sapere.


🔍 Da Freud a Lacan

🧠 Freud lo scopre osservando che i pazienti si attaccano affettivamente all’analista, ripetendo dinamiche infantili.

🌀 Lacan lo ripensa: il transfert non è un ostacolo, ma il cuore della situazione analitica, il luogo dove si gioca la domanda inconscia.


💬 Il transfert è una domanda d’amore

Per Lacan, ogni transfert è una domanda rivolta all’Altro:

> “Chi sono per te? Mi ami? Sono desiderabile?”

🔑 È la scena in cui il soggetto spera di decifrare il proprio enigma attraverso la relazione con l’analista.


📚 Il soggetto supposto sapere

In analisi, attribuiamo all’analista il ruolo di chi sa qualcosa di noi che noi ignoriamo.

Questo è il soggetto supposto sapere (S.s.S.):

🔐 L’analista non è “una persona saggia”, ma occupa una posizione simbolica, da cui il soggetto spera emerga un sapere sul proprio desiderio.


👤 Esempio clinico

Una ragazza entra in analisi per difficoltà affettive. Dopo qualche mese:

💭 sogna l’analista come un padre affettuoso

😠 oppure lo accusa di essere distante, “freddo” come il padre vero

👉 Qui, il transfert riattiva il passato nel presente. Non riguarda l’analista in sé, ma l’uso simbolico che il soggetto fa di lui per mettere in scena il proprio desiderio.


♻️ Ripetizione o apertura?

Il transfert ripete qualcosa (come Freud diceva),

ma Lacan aggiunge: può anche aprirsi a una verità nuova, se l’analista:

🚫 non risponde come oggetto d’amore

❌ non colma il vuoto del sapere

✅ sostiene la mancanza, per far emergere il desiderio autentico del soggetto.


⚖️ La posizione etica dell’analista

Per Lacan, l’analista non deve farsi amare, né farsi “sapiente”,

ma sostenere il transfert fino al suo punto di caduta:


> Dove il soggetto non cerca più il sapere nell’Altro, ma scopre il proprio desiderio.


🌱 Conclusione

Il transfert in Lacan è un ponte tra il desiderio inconscio e la parola.

È il luogo in cui qualcosa del soggetto può emergere nella relazione, ma solo se l’analista non lo blocca col suo sapere, né col suo amore.

🎯 È un gioco di specchi dove, se non si cade nella trappola, si può scorgere un’immagine nuova di sé.


💬 Spunto finale

Come si manifesta il transfert nei rapporti educativi, scolastici o sociali? In che modo l’adulto viene investito del “sapere sul mio destino”? 



👤 Soggetto


Nel pensiero di Lacan, il soggetto non è l’“io” che pensa, sceglie, decide. Quello che normalmente chiamiamo “me stesso” è in realtà una costruzione dell’immaginario: un’immagine coerente e rassicurante che serve a stabilizzare la nostra identità. Ma il soggetto vero, per Lacan, è diviso, mancante e inconscio.


🔤 Il soggetto è effetto del linguaggio

Lacan afferma: “Il soggetto è ciò che un significante rappresenta per un altro significante”. In parole semplici, noi esistiamo come soggetti solo attraverso il linguaggio. Non siamo soggetti prima di essere nominati: prima di dire “io”, qualcun altro ha già parlato di noi, ci ha chiamato, definito, aspettato.

💬 Esempio: un bambino a cui i genitori dicono continuamente “sei buono” o “sei problematico” finirà per interiorizzare queste parole come parte di sé. Il soggetto si forma quindi nel discorso dell’Altro (i genitori, la scuola, la società), prima ancora di potersi dire autonomamente.


➗ Il soggetto è diviso ($)

Lacan introduce il concetto di soggetto barrato (𝑆̷) per indicare che il soggetto non coincide mai del tutto con l’immagine che ha di sé. È diviso tra il piano cosciente e quello inconscio, tra ciò che dice e ciò che lo determina a sua insaputa.

💬 Esempio: una persona può dire di voler una cosa — un certo lavoro, una certa relazione — ma poi fare qualcosa che va in direzione opposta. L’inconscio agisce, e mostra che quel desiderio cosciente non era proprio “il suo”. Il soggetto non è padrone in casa propria.


💢 Il soggetto si manifesta nel sintomo, nel lapsus, nel sogno

Il soggetto vero, dice Lacan, “è l’inconscio”. Non si mostra dove parliamo consapevolmente, ma dove sbagliamo, dove sogniamo, dove il corpo esprime qualcosa che la mente non vuole dire. Il sintomo, in questa logica, non è un errore da correggere, ma una traccia del soggetto.

💬 Esempio: una persona che soffre di balbuzie solo quando parla con figure autoritarie potrebbe rivelare un conflitto profondo con l’autorità — qualcosa che ha a che fare con il padre, con la legge simbolica, con il desiderio dell’Altro. Il corpo parla là dove il soggetto cosciente tace.


🚪 Il soggetto del desiderio

Il soggetto, nel suo punto più profondo, è legato al desiderio. Ma il desiderio non è un bisogno qualsiasi: è ciò che resta dopo che i bisogni sono stati soddisfatti. È ciò che non si colma mai del tutto, che ci spinge a cercare, creare, amare, perdere.

💬 Esempio: si può avere tutto ciò che si desiderava razionalmente — casa, lavoro, relazione stabile — e sentire comunque un vuoto. Quel vuoto è il segno del desiderio, che non si lascia ridurre a oggetti o successi.


🎯 Conclusione

Per l’orientamento lacaniano, il soggetto non è un’identità da costruire né un “sé” da realizzare. È un vuoto strutturale, una posizione nel linguaggio, una mancanza che parla attraverso i segni del corpo e del discorso. L’analisi non mira a rafforzare l’Io, ma ad ascoltare ciò che nel soggetto eccede ogni identificazione: il desiderio.



🧠🔤L’Inconscio


Jacques Lacan riprende Freud, ma lo rilegge in chiave linguistica. Per lui, l’inconscio non è un “luogo” nascosto, ma un discorso che parla nel soggetto. La sua frase celebre è:

 

“L’inconscio è strutturato come un linguaggio” 🧠🔤


L’inconscio parla 🗣️

L’inconscio si manifesta nei sogni 💤, nei lapsus 💬, nei sintomi 🧾, negli atti mancati. È una parte di noi che parla senza che noi lo vogliamo, spesso in modo strano o scomodo.

Esempio:
Vuoi dire “mi fa piacere” ma ti esce “mi fa pena”. È un lapsus: l’inconscio ha detto la sua.


L’Altro e il Simbolico 🅰️🧩

Secondo Lacan, il soggetto nasce dentro un mondo già fatto di parole, divieti, nomi. Questo mondo è il Simbolico: l’insieme di leggi e linguaggio che ci precede.

L’inconscio è il discorso dell’Altro 🅰️:
quello che i genitori, la cultura, la società hanno detto su di noi prima ancora che parlassimo.


Funziona come una lingua 🔗🔤

L’inconscio funziona come il linguaggio:

  • non è un caos, ma ha regole (come le metafore 🔁 e le metonimie 🔗)
  • si esprime con significanti: parole che ci segnano e ci formano

Esempio:
Un bambino chiamato sempre “incapace” può costruire un’intera identità attorno a quel significante padrone (S1).


Il soggetto non è trasparente a sé ⚡👤

Per Lacan, non esiste un “Io” completamente cosciente. C’è sempre una parte di noi che ci sfugge: il soggetto dell’inconscio.

Questa divisione è strutturale: è nel linguaggio che il soggetto si costruisce… ma perde sempre qualcosa di sé.


In breve 🧠🧾

Concetto Simbolo Spiegazione
L’inconscio parla 🗣️ Attraverso sogni, sintomi, lapsus
Discorso dell’Altro 🅰️ Il linguaggio dell’Altro ci costituisce
Struttura linguistica 🔗🔤 L’inconscio funziona come una lingua
Soggetto diviso ⚡👤 C’è sempre una parte che ci sfugge


L’inconscio, per Lacan, non è dentro di noi: siamo noi a essere dentro un linguaggio che ci attraversa.

➡️ Ascoltarlo è il primo passo per conoscere ciò che davvero ci fa desiderare.



🔍✨ Il Desiderio: un viaggio nella mente


Il desiderio è uno dei concetti chiave nella teoria di Jacques Lacan, psicoanalista francese del ‘900. Ma cosa intende Lacan quando parla di desiderio? Non è semplicemente il voler qualcosa o il bisogno di possedere un oggetto, come comunemente si pensa. Il desiderio per Lacan è più sottile, complesso e profondo.


La mancanza e il desiderio 🔄

Lacan dice che il desiderio nasce dalla mancanza (∅), qualcosa che ci fa sentire incompleti. Questa mancanza è insita nella nostra stessa struttura psichica. Non desideriamo mai un oggetto perché ce l’abbiamo o perché possiamo davvero possederlo pienamente, ma proprio perché manca. È come un fuoco che arde sempre, che non si spegne mai del tutto.

📝 Esempio: pensa a quando desideri una persona o un traguardo: più ti avvicini, più il desiderio si sposta, si trasforma, non si spegne mai.


Desiderio ≠ Bisogno ≠ Domanda 🛑

Lacan distingue tra:

  • Bisogno (bisogno corporeo, fame, sete) 🍽️
  • Domanda (quando chiediamo qualcosa, anche per amore o attenzione) ❓
  • Desiderio (qualcosa di più profondo, legato all’inconscio e alla mancanza) 💭

Il bisogno si può soddisfare; la domanda può essere esaudita. Il desiderio, invece, resta sempre aperto, insoddisfatto, perché è legato al linguaggio e all’Altro (gli altri, la cultura, il simbolico).


Il ruolo del linguaggio 🗣️

Lacan dice che il soggetto nasce nel linguaggio, dentro una rete di parole e significati. Il desiderio si struttura nel simbolico, cioè nella dimensione del linguaggio e delle relazioni sociali. È l’Altro (l’insieme dei significati e delle figure che ci circondano) a creare il desiderio.

💡 Esempio: un bambino vuole la mela rossa perché l’ha vista nel mondo degli adulti, attraverso il linguaggio e le regole. Il desiderio si forma dentro quel contesto.


Il desiderio come desiderio dell’Altro ❤️‍🔥

Non desideriamo solo cose, ma desideriamo essere desiderati. Il desiderio è sempre il desiderio dell’Altro che ci guarda, ci riconosce. Questa dimensione relazionale è cruciale per Lacan.

🎭 Esempio: nel corteggiamento, spesso desideriamo qualcuno perché sappiamo che quella persona ci desidera o potrebbe desiderarci. Il desiderio si nutre dello sguardo e dell’attenzione dell’altro.


Il desiderio è inestinguibile ♾️

Poiché il desiderio nasce dalla mancanza, e la mancanza non può essere mai colmata del tutto, il desiderio è una forza in continuo movimento, sempre attiva.

⚠️ Questo spiega perché, anche quando otteniamo qualcosa che volevamo, spesso non siamo del tutto soddisfatti e cerchiamo altro.


Citazione di Lacan 🎓

«Il desiderio è la freccia del desiderio: l’uomo desidera ciò che desidera l’Altro.»
(Jacques Lacan, Gli scritti)


Conclusione

Il desiderio lacaniano non è mai un semplice volere. È una dinamica profonda legata alla mancanza, al linguaggio e all’Altro. Capire il desiderio ci aiuta a comprendere meglio i nostri impulsi, i nostri sentimenti e le nostre relazioni. È come un viaggio dentro noi stessi e gli altri, dove la mancanza diventa motore di vita e movimento.


Rapporto compulsivo con l'oggetto

🧩 1. L’oggetto come risposta alla mancanza

In Lacan, il soggetto è strutturato attorno a una mancanza originaria, legata all’ingresso nel linguaggio. L’oggetto a (oggetto piccolo a) rappresenta ciò che è perduto nell’accesso al simbolico: un resto, una causa del desiderio, ma anche ciò che non può mai essere davvero raggiunto.

👉 Quando questa mancanza non viene simbolizzata, il soggetto può cercare di colmarla attraverso l’oggetto reale: cibo, sesso, droghe, denaro, tecnologia, relazioni. Ma questi oggetti non soddisfano mai del tutto, perché l’oggetto del desiderio non è mai l’oggetto del bisogno.


🔄 2. Compulsione e ripetizione

La compulsione non è semplice desiderio, ma è una spinta a ripetere che si impone al soggetto. Freud parla di "coazione a ripetere" (Wiederholungszwang) come tendenza a riprodurre esperienze traumatiche, ma in Lacan questo si lega al godimento (jouissance).

📌 Il godimento non è piacere, ma un oltre del principio di piacere, spesso doloroso. Nel rapporto compulsivo, il soggetto non gode dell’oggetto, ma gode nella ripetizione stessa della mancanza e del fallimento.


🍩 3. Esempi

  • Una persona mangia compulsivamente dolci non per fame, ma per sedare l’ansia: cerca nell’oggetto un sollievo che non arriva mai.
  • Qualcuno si innamora sempre dello stesso tipo di partner distruttivo, vivendo una catena di delusioni: ripete un pattern inconscio.
  • Il controllo ossessivo di notifiche o social media: non si cerca una notizia, ma un segnale di riconoscimento che manca.


🧠 4. La via d’uscita non è l’oggetto

Lacan suggerisce che la guarigione non passa attraverso la soddisfazione, ma attraverso la riconfigurazione del desiderio. L’analisi aiuta il soggetto a riconoscere l’oggetto a come causa del desiderio, non come sua soddisfazione. Così può disattivare la compulsione, senza rinunciare al desiderare.


Spunto conclusivo

Il rapporto compulsivo con l’oggetto non si scioglie trovando “l’oggetto giusto”, ma riconoscendo che qualcosa manca e può mancare senza annientarci. In questo spazio, il desiderio può riaprirsi, meno ripetitivo, più vitale.


✨ Etica del desiderio


L’etica del desiderio, nel pensiero di Jacques Lacan, si distingue radicalmente da ogni forma di morale tradizionale fondata su norme, doveri o ideali collettivi. Essa si radica invece nel rapporto singolare che il soggetto ha con il desiderio inconscio, ovvero con ciò che lo struttura nel profondo, al di là delle sue intenzioni coscienti.

 

💬 “L’unica cosa di cui si può essere colpevoli è di aver ceduto sul proprio desiderio”
(Lacan, Seminario VII)

 

Questa frase, ormai celebre, esprime il nocciolo etico della psicoanalisi: non cedere, non tradire ciò che nel desiderio costituisce la nostra verità soggettiva più radicale.
Ma attenzione: Lacan non intende il desiderio come voglia, capriccio o bisogno da soddisfare, bensì come una mancanza strutturale che orienta il soggetto verso qualcosa che resta sempre, in parte, irraggiungibile.

🔗 Il desiderio è sempre il desiderio dell’Altro: è inscritto nel linguaggio e nella relazione, mai totalmente padroneggiabile.


❓ Etica, non morale

L’etica del desiderio non dice al soggetto cosa deve fare, ma lo interroga:
Qual è il tuo desiderio?

🧭 Non si tratta di un progetto di vita, ma di ciò che ti attraversa, ti muove, ti eccede, anche quando non lo comprendi pienamente. Lacan propone una clinica dell’atto, in cui la responsabilità consiste nell’assumere le conseguenze del proprio atto, anche quando rompe con l’ideale dell’Io o con l’immaginario sociale.


⚖️ Desiderio e Legge

Paradossalmente, è solo nella Legge simbolica che il desiderio prende forma:
⛔ Non c’è desiderio senza interdizione, come quella dell’incesto nella struttura edipica.

🚧 L’etica lacaniana non mira a "liberare" il desiderio, bensì a disincagliarlo dagli ideali e dalle identificazioni che lo soffocano.


🧪 Esempi clinici e culturali

🗣️ Un paziente può dire: “Vorrei cambiare vita, ma ho paura di deludere i miei genitori.”
Qui la rinuncia al desiderio autentico è un cedimento all’ideale dell’Altro.

🧵 L’analisi mira a sciogliere questi legami inconsci, non per “spingere all’azione”, ma per far sì che il soggetto assuma ciò che lo abita, anche se non ha nome.

📚 Nel mito di Antigone, che Lacan analizza nel Seminario VII, vediamo un esempio estremo:
Antigone non cede sul proprio atto, anche a costo della vita.
Non è un’eroina morale, ma una figura etica perché resta fedele al suo desiderio.


🌱 Spunto conclusivo

L’etica del desiderio ci chiede di ascoltare quella parte di noi che non si lascia ridurre né al dovere né al piacere immediato.
È un invito a interrogarsi su ciò che davvero conta per noi, anche quando non si lascia dire.

🌌 In un mondo dove il desiderio è spesso catturato dalla performance o dal consumo, questa etica riapre uno spazio di libertà soggettiva, fragile ma irriducibile.

🗝️ La Legge simbolica: il Nome-del-Padre e la regola del desiderio


In Jacques Lacan, la legge simbolica è una struttura invisibile che organizza il nostro rapporto con il mondo, con gli altri e con il nostro stesso desiderio. Non si tratta di una legge giuridica o morale, ma di un ordine simbolico che si impone attraverso il linguaggio, e che regola l'accesso del soggetto alla vita sociale e al desiderio umano.


👶 Dalla natura alla cultura: l'ingresso nel simbolico

Per Lacan, ogni essere umano nasce nella sfera del bisogno (fame, calore, protezione), ma solo attraverso il linguaggio può articolare una domanda rivolta all’Altro. Quando il bambino chiede — ad esempio “ho fame” — non sta solo chiedendo cibo, ma anche riconoscimento. È in questo passaggio dalla natura alla parola che entra nella legge simbolica.

👉 Esempio: un bambino non piange solo per il latte, ma per essere visto dalla madre. Il bisogno diventa domanda: è già regolato simbolicamente.


🧑‍⚖️ Il Nome-del-Padre: il significante della legge

La legge simbolica è incarnata nel concetto lacaniano di Nome-del-Padre. Questo non si riferisce necessariamente al padre biologico, ma al significante che introduce la regola, il divieto, la castrazione simbolica. È il “no” che separa il bambino dalla fusione con la madre e che lo fa entrare nel mondo del desiderio.

✂️ La castrazione simbolica non va intesa in senso biologico, ma come perdita fondatrice: il soggetto deve rinunciare a una pienezza immaginaria per accedere al desiderio e al legame sociale.

👉 Esempio: il divieto dell’incesto nella cultura è una forma di legge simbolica universale. Dice “non puoi avere tutto”, e proprio per questo nasce il desiderio.


🔄 Il complesso di Edipo: la porta d’ingresso alla legge

Il complesso di Edipo, secondo Lacan, è il momento strutturante in cui il bambino entra pienamente nella legge simbolica. Non si tratta solo di desiderare la madre e temere il padre (come in Freud), ma di accettare la funzione del Nome-del-Padre, che introduce il divieto e allo stesso tempo la possibilità del desiderio umano.

👉 Quando il bambino è separato dalla madre da una figura terza (padre, istituzione, Altro simbolico), incontra la castrazione simbolica: capisce di non essere tutto per l’Altro. Questo non lo distrugge, ma lo costituisce come soggetto del desiderio.

👉 Esempio: un bambino che vuole dormire nel letto della madre, ma viene portato nel proprio lettino. Questo gesto non è solo educativo, ma simbolico: segna una separazione che apre al riconoscimento e alla soggettivazione.

🧩 L’Edipo è dunque il passaggio dal godimento immediato alla mediazione simbolica. Il soggetto si colloca nel linguaggio, accetta la mancanza, e può iniziare a desiderare.


💬 La legge è nel linguaggio

Secondo Lacan, “l’inconscio è strutturato come un linguaggio”. Questo vuol dire che anche il desiderio, il senso, le regole che seguiamo sono tutti effetti del simbolico. La legge simbolica è quindi ovunque: nella grammatica delle relazioni, nei ruoli sociali, nei rituali, nelle istituzioni.

👉 Esempio: chiamare qualcuno “madre” o “professore” implica riconoscere una posizione simbolica, non solo una persona reale.


🤝 Legge e desiderio

Una delle intuizioni più importanti di Lacan è che la legge non reprime semplicemente il desiderio, ma lo costituisce. Senza limite non ci sarebbe desiderio, ma solo godimento cieco. È proprio la proibizione che fa nascere il desiderio umano come desiderio dell’Altro.

👉 Esempio: desideriamo ciò che è desiderato dagli altri. Un bambino vuole il giocattolo che un altro bambino ha, anche se ne ha uno simile. La legge simbolica struttura il campo del desiderabile.

📖 Citazione
“È la legge della parola che fonda la verità del desiderio.”
Jacques Lacan, "Il seminario. Libro VII, L’etica della psicoanalisi"

 

✨ Spunto conclusivo

Qual è la tua legge simbolica?
Qual è quella parola o quella regola che, nella tua storia, ha orientato il tuo desiderio? Provare a nominarla è già un passo verso una maggiore libertà soggettiva.



🔥 Il Godimento in Lacan: tra desiderio e sofferenza

Nel linguaggio comune, "godimento" fa pensare al piacere, al soddisfacimento. Ma per Jacques Lacan, il godimento (jouissance) è qualcosa di molto più complesso: è il punto in cui il piacere si confonde con la sofferenza, dove il soggetto oltrepassa il limite del principio di piacere per cercare qualcosa di più... e di troppo.


⚙️ Desiderio vs Godimento

🔹 Il desiderio in Lacan nasce dalla mancanza, da qualcosa che ci sfugge. È ciò che ci spinge in avanti, che ci fa muovere, ma non può mai essere pienamente soddisfatto.

🔹 Il godimento, invece, è ciò che eccede il desiderio. È il tentativo (impossibile) di colmare quella mancanza con un’esperienza totale, eccessiva, spesso dolorosa.

📌 Esempio: pensiamo a chi continua a mangiare anche dopo essere sazio, spinto da un’urgenza che non ha più a che fare con la fame. Qui non si gode del cibo, ma si gode dell'eccesso.


😵 Il godimento è contro il corpo

Lacan dice che il godimento è "del corpo", ma anche "contro di esso". Non è armonico: può portare all'autolesione, al sabotaggio, alla ripetizione di situazioni che fanno soffrire.

📌 Esempio clinico: una persona ripete relazioni amorose distruttive. Pur sapendo che soffrirà, qualcosa la spinge verso lo stesso schema. Questo è godimento: non il piacere, ma il ritorno al punto di dolore che garantisce un’identità.


🧠 Il godimento non è universale

Lacan distingue diversi tipi di godimento:

  • 💼 Godimento fallico: è quello legato al significante, al Nome-del-Padre, e riguarda sia uomini che donne in quanto soggetti del linguaggio. È limitato, regolato dal simbolico.

  • 🌌 Godimento dell’Altro (femminile): non tutto rientra nell’ordine simbolico. Lacan dice che “una donna non tutta è presa nella funzione fallica”. C’è un godimento altro, indicibile, che sfugge al linguaggio. Alcune esperienze mistiche o corporee intense ne sono esempio.

📌 Esempio: l’estasi di Santa Teresa rappresenta, per Lacan, un’immagine del godimento “altro”. Il corpo gode, ma senza significato, senza parola.


🧩 Il godimento nel discorso capitalista

Nel discorso capitalista, il godimento viene proposto come obbligo di felicità: “devi godere”, “puoi avere tutto”. Ma, dice Lacan, più ci si avvicina all’oggetto promesso, più ci si allontana da sé.

📌 Esempio: il consumo compulsivo, l’iperconnessione, l’eccesso di pornografia: tutte forme di godimento che non soddisfano, ma legano il soggetto in una ripetizione svuotante.


🧭 Spunto conclusivo

Il godimento in Lacan è un concetto chiave per comprendere le derive soggettive della contemporaneità, dove si gode senza sapere perché, o si soffre pur cercando piacere. Interrogarsi sul proprio godimento – e su dove ci conduce – è un atto etico, non solo clinico.


📲 Iperconnessione e pressione alla performance



💢Quando il soggetto si consuma nell'ideale di essere sempre attivo

Nel mondo contemporaneo, la connessione è diventata una condizione continua. Lavoriamo online, comunichiamo online, costruiamo la nostra immagine sui social, riceviamo notifiche anche mentre dormiamo. Questa iperconnessione, più che un’opportunità, si configura sempre più come un imperativo: essere raggiungibili, pronti, aggiornati, performanti.


🔄 Prestare, produrre, postare

Nel lavoro, la reperibilità si è trasformata in un dovere silenzioso. Si risponde alle mail a tarda sera, si è sempre “sul pezzo”, si dimostra di esserci, anche quando non si è più davvero lì. Anche la sfera personale risente di questa logica: si pubblica per mostrarsi attivi, felici, presenti. Ma tutto questo rischia di diventare un circuito chiuso: si esiste solo se si produce, se si appare, se si dimostra qualcosa.

La pressione alla performance non riguarda più solo il lavoro, ma ogni dimensione dell’esperienza. Ogni tempo è tempo da ottimizzare. Ogni gesto è leggibile come un contenuto. L’inazione, la pausa, il silenzio diventano sospetti.


🧠 Cosa succede al soggetto

Questa modalità continua di esposizione e prestazione ha un prezzo psichico. Spesso emergono:

  • uno stato di allerta cronica, con ansia e difficoltà a “staccare”;
  • vissuti di inadeguatezza, confrontandosi con modelli irrealistici;
  • una crescente difficoltà a desiderare, cioè a distinguere ciò che si vuole da ciò che si dovrebbe volere.

In termini psicoanalitici, il soggetto rischia di essere interamente asservito al godimento dell’Altro, cioè al circuito di aspettative e visibilità che lo cattura, senza spazio per elaborare la propria mancanza.


👩‍💻 Un esempio clinico

X. è una libera professionista nel settore creativo. Cura il suo sito, pubblica sui social, risponde a ogni messaggio dei clienti in tempi rapidissimi. All’apparenza è organizzata, ma racconta un senso crescente di esaurimento. Quando prova a prendersi una pausa, avverte un’inquietudine profonda. Dice: “Non so più se sto lavorando o se sto solo cercando di non deludere nessuno. Anche il tempo libero mi sembra lavoro, solo che non lo riconosco come tale”.


🔎 Un riferimento lacaniano

Lacan, nel suo discorso del capitalista, ha messo a fuoco un tipo di legame sociale in cui il soggetto è preso in una catena di consumo e produzione continua, dove la mancanza non ha più posto. Ogni oggetto è lì per colmare, per soddisfare, per funzionare. Ma se non c’è mancanza, non può esserci nemmeno desiderio.

Tuttavia, Lacan non contrappone semplicemente desiderio e Altro. Al contrario: “Il desiderio è il desiderio dell’Altro” (Seminario XI). Il desiderio nasce nell’Altro, si struttura nel linguaggio, si articola nel campo della domanda. Ma non si esaurisce in ciò che l’Altro chiede: emerge nello scarto, nel resto che sfugge alla domanda dell’Altro, in quel vuoto che la prestazione cerca costantemente di negare.


🧭 Spunto conclusivo: dare tempo alla mancanza

In una cultura che premia la velocità e misura il valore attraverso la visibilità, sottrarsi può essere un atto etico. Non per fuggire dall’Altro, ma per riaprire un tempo diverso: non solo funzionale, non solo occupato, ma abitato.

Disconnettersi non è rifiutare il legame, ma introdurre un limite: al godimento, alla domanda, alla prestazione continua. È in questo tempo ritrovato che può affacciarsi un desiderio proprio, un tempo soggettivo che non sia solo il riflesso dell’Altro.


sabato 26 luglio 2025

La Modernità e la sfida del Reale

«Il deserto cresce: guai a chi in sé cela deserti»

— Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra


La Modernità e la crisi dell’Assoluto

Nietzsche ha intuito come pochi altri il destino della modernità: con la “morte di Dio” si sarebbe aperto uno spazio vuoto, abitato da nuovi idoli e nuove volontà di potenza. Ma non si tratta solo di un crollo della fede, bensì dell’evaporazione di ogni fondamento stabile per la Legge, il Senso e il Desiderio. In termini lacaniani, potremmo dire che si è dissolto il Nome-del-Padre come garante dell’ordine simbolico, lasciando il soggetto esposto a un Reale senza mediazioni.

L’Occidente ha reagito a questa perdita assolutizzando altri registri: la tecnica, il capitale, la scienza, il consumo. Il vuoto lasciato da Dio è stato colmato da forme secolarizzate di assoluto, non meno dogmatiche. Lungi dall’aprire una pluralità libera di sensi, la crisi del sacro ha spesso prodotto fondamentalismi moderni. Come ha scritto Lacan, il discorso del capitalista promette di eludere la castrazione simbolica: "funziona a meraviglia, ma proprio per questo va verso la catastrofe" (Lacan, “Radiophonie”).


Il ritorno dei fondamentalismi

Nel vuoto lasciato dall’Assoluto religioso, si sono affacciati nuovi assolutismi. Da un lato i fondamentalismi religiosi, che riattivano in forma regressiva e violenta il significante Padre. Dall’altro, una tecnocrazia globale che sostituisce l’autorità con l’algoritmo e la decisione con la previsione. In entrambi i casi, ciò che si evita è il confronto con il Reale: l’inconsistenza dell’Altro, il non-senso radicale del desiderio umano.

Il fondamentalismo religioso reintroduce un Dio-Altro totale, che ordina e punisce; la tecnocrazia promette un mondo senza soggettività, dove tutto può essere calcolato. In questa polarità, la modernità si mostra in tutta la sua ambivalenza: emancipatrice e ansiogena, razionale e delirante. La verità è che nessuno vuole davvero abitare il Reale: si preferisce l’Altro pieno, sia sotto forma di Shari’a che di Intelligenza Artificiale.


Capitalismo e autoritarismi: una dialettica inquietante

Non va dimenticato che anche il capitalismo è un fondamentalismo. Come scrive Žižek, esso funziona come “una religione senza teologia”: totalizzante, globale, non negoziabile. Ma oggi il suo dominio non è più indiscusso. Dopo la lunga stagione della globalizzazione liberale, assistiamo a un ritorno dell’elemento statuale e autoritario: Russia, Cina, India e molte altre nazioni promuovono modelli che intrecciano capitalismo e controllo sociale, mercato e comando.

La Russia di Putin propone una restaurazione simbolica in chiave nazionale-religiosa, mescolando ortodossia, patriottismo e gestione centralizzata. La Cina afferma un capitalismo tecnocratico senza democrazia, in cui il Partito assume il ruolo di S1: significante-padrone che regola senso, storia e identità. Gli USA, pur restando una potenza capitalistica liberale, si trovano attraversati da pulsioni autoritarie interne e da una sfida esterna che ne relativizza l’universalismo.

In questo scenario multipolare, il capitalismo non sparisce: si adatta. Assume coloriture culturali diverse, si ibrida con modelli verticali, perde la sua maschera liberal-progressista. Nasce una dialettica tra mercato e comando, tra algoritmo e decisione, tra flusso e muro. E forse, come suggeriva Lacan nella sua lettura del Discorso del capitalista, questa dialettica è destinata a esplodere, perché elude troppo a lungo la questione della mancanza.


L’Europa e la sfida della simbolizzazione

In questo contesto, l’Europa appare fragile ma anche potenzialmente feconda. Non ha più un centro, ma conserva la memoria del tragico, del conflitto, della pluralità. Potrebbe rappresentare una via alternativa tra fondamentalismi religiosi e totalitarismi tecnici, tra mercato assoluto e Stato assoluto. Ma per farlo dovrebbe ripensare radicalmente il proprio rapporto con il Reale, rinunciando all’illusione di una armonia preconfezionata.

Ciò significa riscoprire il limite come risorsa: la castrazione simbolica come condizione di libertà, non come perdita da negare. Significa, in termini politici, pensare la legge non come imposizione ma come campo di mediazione. E accettare che la verità non sia mai tutta, che il soggetto sia sempre decentrato, che nessun sistema possa redimere una volta per tutte la mancanza d’essere.


Conclusione

La modernità è il tempo della mancanza dell’Altro. Nietzsche lo ha anticipato, Lacan lo ha teorizzato, la geopolitica lo conferma. Il rischio è di sostituire l’Altro che manca con dei simulacri assoluti: Dio, mercato, algoritmo, Stato. La sfida è un’altra: abitare il Reale, senza dogmi, senza garanzie, senza padroni. Solo così il soggetto – e forse anche l’Europa – potrà tornare a desiderare.


Breve Bibliografia

  • Nietzsche, F. (1882). La gaia scienza.
  • Lacan, J. (1970). Radiophonie in Autres Écrits.
  • Lacan, J. (1972). Il Seminario XX – Encore.
  • Žižek, S. (2006). Viviamo in tempi interessanti.
  • Han, B.-C. (2014). La società della trasparenza.
  • Esposito, R. (2009). Pensiero vivente.




 



giovedì 17 luglio 2025

Difficoltà di scelta. Sguardo su un’esperienza comune

Quando tutto si fa difficile

Ci sono momenti in cui anche le cose più semplici diventano difficili. Scegliere. Lavorare. Portare avanti ciò che si è iniziato. È come se qualcosa si inceppasse, e ci si trovasse davanti a un blocco, una nebbia, una stanchezza che va oltre la fatica fisica.

La psicoanalisi, e in particolare l’insegnamento di Jacques Lacan, ci spiega che non si tratta semplicemente di stress o pigrizia. Le difficoltà nelle scelte e nel lavoro spesso toccano il nostro rapporto con il desiderio.


Scegliere è un atto soggettivo

Scegliere non è mai solo una questione razionale. Ogni scelta comporta un taglio: dire “sì” a qualcosa significa dire “no” ad altro. E questo può far paura. Ci si chiede: cosa rischio scegliendo? cosa lascio fuori? Anche con molte opzioni, si può restare bloccati.

Anche il lavoro non è solo produttività. È spesso il luogo dove si gioca il senso della nostra esistenza. In ciò che facciamo ogni giorno, mettiamo una parte di noi. Ma se il desiderio si offusca, il lavoro può diventare vuoto, ripetitivo o insopportabile.


Il desiderio come forza e mancanza

Per Lacan, il desiderio non è un oggetto da raggiungere, ma una posizione soggettiva da sostenere. È ciò che ci mette in moto, ma anche ciò che può mancare. Quando manca, può manifestarsi come confusione, apatia, fatica.

Cosa fare, allora, in questi momenti? Non sempre serve decidere in fretta o cercare soluzioni rapide. A volte è più utile ascoltare il disagio, fermarsi, dare spazio alle domande: sto seguendo il mio desiderio? o sto solo rispondendo a un dovere o a un ideale che non sento più mio?


La psicoanalisi come spazio di parola

La psicoanalisi non offre risposte pronte, ma uno spazio per porre domande. Quelle che spesso non ci facciamo da soli. Anche ciò che sembra muto — un blocco, un sintomo, un sogno — può cominciare a parlare. E in quella parola ritrovata può aprirsi un nuovo inizio.

Scegliere e lavorare sono atti quotidiani. Ma quando diventano difficili, ci ricordano che non siamo macchine. Siamo soggetti, con desideri, dubbi, contraddizioni. Accogliere queste difficoltà non è arrendersi. Può essere, invece, l’inizio di un modo più autentico di stare al mondo, più vicino a ciò che davvero ci riguarda.





Adattarsi ai contesti lavorativi e sociali

Adattarsi non significa solo funzionare

In psicoanalisi, e in particolare secondo Jacques Lacan, l’adattamento non coincide con il semplice “funzionare bene”. Non è solo efficienza o inserimento sociale. È piuttosto il modo in cui il soggetto si colloca nel discorso dell’Altro: l’insieme di leggi, aspettative, ruoli e valori che lo circondano.

Fin dalla nascita, entriamo in un mondo di parole, norme e richieste. Lacan chiama questo insieme l’Altro (con la A maiuscola): non è una persona, ma il linguaggio, la cultura, le istituzioni. Adattarsi significa confrontarsi con ciò che l’Altro vuole da noi — ma anche con ciò che non possiamo essere per lui.


Adattamento e invisibilità

Pensiamo a un giovane migrante: nel suo paese era studente, figlio, tecnico. Nel nuovo contesto è visto solo come manodopera. Questo mancato riconoscimento può generare disagio, apatia, sintomi. Il problema non è la “scarsa motivazione”: è il desiderio che non trova posto. Il soggetto si sente invisibile.

Lacan individua al centro dell’identità un significante fondamentale, chiamato significante padrone (S1). È una parola o un’idea che organizza il senso di sé: “insegnante”, “giusto”, “madre”, “lavoratore instancabile”… Ma se questo significante ci è imposto, o viene meno, può generare smarrimento o vuoto.

Accade, ad esempio, in certi percorsi lavorativi protetti per persone con disabilità. Anche se l’attività è utile, se non tocca il desiderio rimane esterna, meccanica. Non trasforma il soggetto, non incide sulla sua posizione nel mondo. Il lavoro, per essere esperienza viva, deve avere senso soggettivo.


Oggetto a: la causa del desiderio

Un concetto centrale è l’oggetto a: non è un oggetto materiale, ma ciò che ci manca e ci spinge a desiderare, a creare, a legare. È la causa del desiderio. Non è ciò che siamo, ma ciò attorno a cui ci costituiamo. Ritrovare un legame con questo oggetto permette di tornare a vivere, anche se in modo fragile.

Il rischio è che l’ambiente sociale riduca le persone a funzioni: “quello che produce”, “quella che assiste”. Qui l’adattamento si trasforma in alienazione: il soggetto si adegua, ma smette di esistere come soggetto desiderante. La sua parola si spegne.


Inventare una posizione propria

La psicoanalisi non propone tecniche per adattarsi meglio. Offre piuttosto uno spazio per trovare una posizione singolare nel legame sociale. Non si tratta sempre di ribellarsi, ma di inventare un modo proprio di esserci, anche nei limiti.

Viviamo in un tempo che esige flessibilità continua. Ma il vero benessere non nasce dalla conformità. Nasce dalla possibilità di esprimere qualcosa di proprio, nel lavoro, nei legami, nella vita. Solo così si può parlare di un adattamento che non annulla il soggetto, ma lo include.


Crisi esistenziali

Quando il senso vacilla

Ci sono momenti nella vita in cui ci si sente smarriti. Ciò che prima dava senso — il lavoro, i legami, i progetti — improvvisamente appare vuoto o estraneo. Non è solo tristezza o stanchezza, ma una perdita di orientamento più profonda. Ci si comincia a chiedere: chi sono? cosa desidero davvero? quale direzione prendere?

Questa condizione, che possiamo chiamare crisi esistenziale o crisi identitaria, non è necessariamente una malattia. Spesso nasce da un cambiamento importante, da una perdita, o da un disagio silenzioso che si è accumulato nel tempo. È come se dentro di noi si facesse strada una voce che dice: “così non funziona più”.


L'identità costruita nel linguaggio dell’Altro

Secondo Lacan, ognuno costruisce la propria identità attraverso le parole e le immagini che riceve dagli altri: la famiglia, la scuola, la società. Sono questi i significanti che ci danno un nome, un ruolo, un posto nel mondo. Ma arriva un momento in cui quei significanti non bastano più: non ci rappresentano, o addirittura ci stanno stretti. Il soggetto — come lo chiama Lacan — si scopre allora diviso, in tensione tra ciò che ha sempre mostrato e qualcosa di più profondo che fatica a emergere.

In questi momenti entra in crisi anche il rapporto con l’Altro: non solo le figure significative della nostra vita, ma tutto ciò che rappresenta l’insieme delle regole, della cultura, delle aspettative sociali. Quando l’Altro smette di offrire risposte — oppure quando ci accorgiamo che quelle risposte non ci bastano più — può aprirsi un tempo di vuoto. Ma anche un tempo di apertura.


La differenza con la depressione

A differenza della depressione, dove spesso tutto si spegne e si perde interesse per ogni cosa, nella crisi esistenziale rimane viva una domanda soggettiva: chi sono davvero? cosa mi muove? cosa desidero al di là di ciò che mi è stato insegnato a volere?

La psicoanalisi non offre risposte preconfezionate, ma uno spazio dove queste domande possono essere ascoltate e percorse. Anche ciò che non si riesce a dire — un sintomo, un blocco, un disagio — può cominciare a prendere forma. Lacan chiama “reale” proprio ciò che ci sfugge, che non ha parole, ma insiste: nei sogni, nel corpo, nell’angoscia.


Verso un modo più autentico di esserci

Un percorso analitico non mira a “tornare come prima”. Al contrario: può aiutare a trovare un modo più autentico di stare al mondo, anche se inizialmente incerto. A volte, per riprendere il filo della propria vita, è necessario accettare che qualcosa debba cambiare. La crisi, allora, non è solo rottura: può essere anche una soglia, un passaggio verso un’esistenza più fedele al proprio desiderio.





Crescita personale

 

1. Non si nasce soggetti

Dal punto di vista psicoanalitico, crescere non coincide semplicemente con lo sviluppo fisico o con l’adattamento sociale. Non si tratta di diventare “grandi” nel senso comune, ma di diventare soggetti: ossia esseri capaci di desiderare in proprio, di interrogarsi sul senso della propria esistenza, di rispondere — con parole proprie — a ciò che accade.


Il soggetto, dice Lacan, è un effetto del linguaggio: si struttura nel rapporto con l’Altro, nel modo in cui riceve e interpreta i segni, i nomi, i silenzi, gli sguardi. Crescere, allora, significa passare da una posizione passiva — in cui si è parlati dall’Altro — a una posizione attiva, in cui si prende parola e si assume la propria mancanza.


2. Separarsi dall’ideale

Crescere comporta una perdita: lasciare andare l’ideale dell’Altro. Tutti siamo cresciuti con immagini interiorizzate di ciò che “dovremmo essere”: il bravo bambino, il figlio realizzato, il genitore competente, l’adulto sicuro. Ma finché restiamo aggrappati a questi ideali, non possiamo davvero scegliere.

La crescita soggettiva avviene quando ci si separa da questi modelli: non per ribellione, ma per scoprire che il proprio desiderio non coincide con quello altrui. È il momento in cui si comincia a dire “io” non come imitazione, ma come atto.


3. Incontrare la mancanza

Nel processo di crescita, prima o poi, ci si imbatte in un punto di crisi. Un sintomo, una rottura, un fallimento, un lutto. È qui che si apre la possibilità di un passaggio soggettivo. Il soggetto si costituisce nella mancanza, non nella pienezza. Ma per arrivare a riconoscerlo serve tempo, e soprattutto un luogo dove questo vuoto possa essere detto — e non subito riempito.

Molte richieste di terapia nascono da questi punti di frattura: "Non so più cosa voglio", "Mi sento vuoto", "Ho tutto ma non sto bene". In questi casi, il dolore non va eliminato in fretta, ma ascoltato come segnale di un desiderio che bussa, spesso da anni, senza trovare parola.


4. Fare con ciò che manca

La crescita non è mai lineare. Non si diventa “composti” o “risolti”. Si impara piuttosto a fare con ciò che manca: con ciò che non si sa di sé, con i propri limiti, con l’incoerenza del proprio desiderio. Crescere significa non aspettarsi più che l’Altro risponda al nostro enigma, ma iniziare a rispondere noi stessi, con atti, con scelte, anche parziali.

Questa posizione non coincide con l’autosufficienza, ma con la responsabilità soggettiva. Si cresce quando si smette di incolpare gli altri o il destino, e si comincia a interrogarsi: Cosa posso farne io di ciò che mi è toccato vivere?


5. Crescita e desiderio

In ultima analisi, crescere significa trovare un modo soggettivo di abitare il proprio desiderio. Un desiderio che non si fonda sull’oggetto da possedere, ma sulla tensione che muove la vita. La psicoanalisi non mira a “far star bene” nel senso adattivo del termine, ma a sostenere il soggetto nel compito più difficile e più etico: desiderare a partire da sé, e non da un copione prestabilito.


Conclusione: un atto, non una meta

Crescere non è un traguardo. È un atto che si rinnova ogni volta che si sceglie di non restare bloccati in una posizione morta, ogni volta che si rinuncia all’ideale per farsi carico della propria singolarità. Nel tempo dell’efficienza e dell’automiglioramento, questa prospettiva è controcorrente: crescere non vuol dire diventare migliori, ma più veri.



Ciclo di vita

  Quando pensiamo al ciclo della vita, spesso immaginiamo una sequenza ordinata di tappe: infanzia, adolescenza, età adulta, vecchiaia. Ma la psicoanalisi lacaniana ci invita a guardare oltre questa idea lineare. Per Lacan, la vita psichica del soggetto non procede semplicemente “in avanti” nel tempo, ma si struttura attraverso momenti speciali, veri e propri punti di svolta in cui il soggetto deve confrontarsi con questioni fondamentali legate al proprio desiderio e alla propria identità.

Vediamo insieme come si può leggere l’adolescenza, l’età adulta e la vecchiaia secondo questo punto di vista.


Adolescenza: la scoperta di sé attraverso la crisi

L’adolescenza è spesso vista come un periodo difficile, pieno di contraddizioni, ribellioni, confusione. Lacan la interpreta come un momento in cui il soggetto si scontra per la prima volta con un vuoto profondo: quello di un Altro che non può più dire chi sei, che non garantisce più un senso chiaro.

Il corpo cambia, la sessualità emerge, e ciò che prima era scontato si fa improvvisamente enigmatico. L’adolescente si trova così a dover inventare una nuova posizione rispetto a sé stesso e al mondo, perché il linguaggio e le regole che fino a quel momento lo sorreggevano sembrano perdere forza.

Questo si manifesta in tanti modi: momenti di chiusura, comportamenti provocatori, agiti, ma anche tentativi silenziosi di ritrovare un senso attraverso la parola o la creatività.

Come intervenire?

La psicoanalisi non cerca di “aggiustare” questi comportamenti, né di imporre un modello di comportamento “normale”. Piuttosto, offre uno spazio in cui l’adolescente può esprimere il proprio disagio e cominciare a nominare ciò che sente dentro, anche quando è confuso o contraddittorio. Spesso bastano piccoli segnali, parole lasciate in sospeso, per aprire una strada verso la scoperta di un desiderio proprio, che non sia solo la ripetizione di ciò che l’Altro vorrebbe.


Età adulta: il compromesso con il proprio desiderio

L’età adulta è spesso descritta come il momento della stabilità: lavoro, famiglia, ruoli sociali. Lacan invece la vede come il tempo in cui il soggetto cerca un compromesso tra il proprio desiderio e le esigenze dell’Altro, cioè la società, la cultura, i valori condivisi.

In questa fase, molte persone si trovano a vivere una forma di alienazione: fanno scelte di vita non sempre consapevoli, si sacrificano per doveri o aspettative, perdendo di vista ciò che realmente desiderano. I sintomi come ansia, stress, o insoddisfazione spesso segnalano questo disallineamento tra sé e l’ideale sociale.

Come intervenire?

La psicoanalisi aiuta a far emergere il senso nascosto dietro il sintomo e a mettere in discussione le scelte ripetute che il soggetto fa, spesso senza piena consapevolezza. L’obiettivo non è far “funzionare meglio” la persona, ma aiutarla a entrare in contatto con ciò che davvero la muove, permettendo un atto di scelta più autentico e libero.

Vecchiaia: la caduta delle maschere e il ritorno all’essenziale

La vecchiaia è spesso associata al declino fisico e sociale, a una perdita di ruolo e di prestigio. Ma da un punto di vista psicoanalitico, è anche un momento di trasformazione profonda: molte delle immagini e dei ruoli che il soggetto aveva costruito nel corso della vita si disfano, lasciando il posto a una nuova modalità di essere.

Può emergere un senso di vuoto, di fallimento, o invece una liberazione dal bisogno di apparire, di “essere qualcuno”. In questa fase, il soggetto può finalmente abitare un godimento più essenziale, legato a piccoli piaceri, alla memoria, a gesti semplici.

Come intervenire?

L’intervento analitico nella vecchiaia non punta a “riattivare” la persona secondo modelli giovanili, ma a sostenere la possibilità di esistere in una nuova forma, più autentica, anche se più fragile. Si tratta di accogliere il tempo che passa, senza forzare la ripresa, valorizzando ciò che resta vivo nel soggetto, spesso attraverso ascolto e attenzione ai dettagli.

Conclusione: una visione del ciclo di vita non lineare

Lacan ci insegna che il soggetto non si sviluppa semplicemente secondo un percorso cronologico prevedibile, ma attraverso momenti di discontinuità e crisi, in cui è chiamato a riorganizzare il proprio rapporto con il desiderio e il mondo.

Adolescenza, età adulta e vecchiaia sono quindi non solo fasi biologiche, ma momenti in cui il soggetto può ritrovarsi, perdersi o reinventarsi.

La psicoanalisi, in questo quadro, non è un “progetto di crescita” ma un sostegno per attraversare questi momenti di crisi, dando spazio a ciò che è singolare e irrepetibile in ciascuno.



Lutto e perdita

  

Nella vita di ogni soggetto si susseguono perdite: alcune visibili, altre silenziose; alcune socialmente riconosciute, altre negate o rimosse. La psicoanalisi non limita il lutto alla morte, ma lo estende a tutte quelle esperienze in cui qualcosa che dava senso, consistenza o identità al soggetto viene meno. La perdita riguarda ciò che cade dal legame con l’Altro e, in questo, tocca sempre un punto strutturale.

Perdita di una persona, di un ruolo, di un luogo, di un’idea di sé: ogni perdita significativa mette in crisi l’immagine che il soggetto ha costruito nel tempo. Lacan ci ricorda che il soggetto è un effetto del linguaggio e del desiderio dell’Altro: quando l’Altro si sottrae, o cambia il suo volto, si produce uno scarto che può aprire al dolore, ma anche alla trasformazione.

Nel lutto, ciò che si perde non è mai solo l’oggetto concreto, ma il posto che quell’oggetto occupava nel proprio mondo simbolico. Il lutto mette a nudo il vuoto strutturale del soggetto, quel “mancare-a-essere” che Lacan ha descritto con la nozione di oggetto a: oggetto causa del desiderio, ma anche oggetto della perdita originaria, mai pienamente colmabile.


Forme del lutto

C’è il lutto manifesto, quello che segue una morte riconosciuta. Ma ci sono anche i lutti muti: l’abbandono, la separazione, la perdita del lavoro, una diagnosi invalidante, la migrazione, l’invecchiamento, la perdita delle illusioni. In questi casi, la società non sempre concede lo spazio per elaborare la perdita. Il soggetto rischia allora di restare solo con il suo dolore, senza parole per dirlo.

Nella clinica, ciò che spesso porta un soggetto in analisi è proprio una perdita non simbolizzata. Si presenta come ansia, stanchezza, vuoto, irritabilità, blocco. Ma sotto, c’è spesso un lutto non fatto. Non si tratta di consolare né di spiegare, ma di dare voce a quella perdita. Di permettere al soggetto di attraversare il proprio modo singolare di separarsi da ciò che non è più, e di riconfigurare il proprio desiderio.


Un esempio clinico

Una paziente si presenta in terapia dopo un trasloco forzato, dovuto a un conflitto familiare. A prima vista, sembra una questione logistica. Ma emergono presto malinconia, insonnia, difficoltà a orientarsi. La perdita della casa si rivela essere perdita del luogo dell’infanzia, del legame con i genitori, del proprio senso di stabilità. Non c’è morte, ma c’è lutto. In analisi, questo evento attuale si collega ad altre perdite precedenti, mai davvero elaborate. Il lavoro analitico consente di nominare ciò che è stato perduto e di ritrovare un punto da cui desiderare.


Non tutto si elabora

La psicoanalisi non promette una guarigione completa. Non tutto si supera, non tutto si chiude. Alcune perdite lasciano un segno permanente. Ma anche ciò che non si può dire pienamente può essere inscritto in una nuova posizione soggettiva. Il lutto, allora, non è solo un dolore da attraversare: è anche un atto, un modo singolare di separarsi, di farsi soggetto della propria mancanza.

In un’epoca che tende a rimuovere il lutto, a sostituire in fretta ciò che si perde, la psicoanalisi offre uno spazio per fermarsi, ascoltare, e dare un senso a ciò che manca. Perché nel luogo della perdita può riemergere il desiderio.

Disabilità e famiglia

  

Quando la disabilità entra in famiglia

Quando in una famiglia entra in scena la disabilità di un figlio, nulla resta come prima. Si modificano gli equilibri, si attivano risorse ma anche fragilità. Il cosiddetto “trauma della diagnosi” non riguarda solo un dato clinico, ma l’interruzione del racconto immaginario che ogni genitore costruisce sul proprio figlio. L’ideale si incrina e può aprirsi uno spazio difficile ma anche generativo: quello dell’incontro con il figlio reale.


Attraversare un lutto simbolico

All’origine di questo processo c’è spesso un lutto silenzioso: quello per il figlio immaginato. Non si tratta di “accettare” in modo lineare, ma di trasformare nel profondo le attese e il proprio ruolo genitoriale. Solo attraversando questa perdita simbolica diventa possibile incontrare davvero il figlio, non più come proiezione, ma come soggetto altro da sé.


Il figlio come soggetto, non oggetto di cura

La persona con disabilità rischia spesso di essere vista come oggetto fragile da proteggere. Ma ogni soggetto, anche se non parla o non si adatta alle aspettative sociali, è portatore di una presenza unica, di segnali che chiedono ascolto. Questo ascolto può passare attraverso un gesto, un silenzio, un rifiuto. Riconoscerlo come soggetto significa lasciar emergere qualcosa di suo, anche se non corrisponde a ciò che si sperava.


La funzione della terza posizione

In molte famiglie, si crea una diade molto stretta tra madre e figlio con disabilità, mentre la figura paterna o una terza posizione simbolica resta sullo sfondo. Lacan chiama questa terza funzione Nome-del-Padre: una separazione che consente a madre e figlio di non essere tutto l’uno per l’altra. Senza questa differenziazione, il figlio rischia di diventare il completamento del desiderio genitoriale, e la disabilità può rinforzare questa dinamica.


Fratelli eccellenti, ma in silenzio

Accanto al figlio con disabilità, spesso ci sono fratelli “perfetti”: autonomi, maturi, responsabili. Ma dietro questa efficienza si nasconde a volte una rinuncia precoce a sé. Alcuni arrivano all’adolescenza o all’età adulta con sintomi depressivi o ritiri sociali. Solo riconoscendo il proprio diritto a esistere come soggetti, e non solo come risorse familiari, possono ritrovare uno spazio per sé.


L’enigma del soggetto e il rispetto del limite

Ogni soggetto ha una parte che sfugge, anche quando si parla di disabilità. Non tutto si può tradurre in bisogni o interventi. La psicoanalisi, con Lacan, ci invita a rispettare questo enigma: educare significa anche saper sostare nell’incertezza, senza voler spiegare tutto. È lì che può emergere il soggetto nella sua singolarità.


Una rete che accompagni senza invadere

La famiglia non deve essere lasciata sola, ma nemmeno sopraffatta da presenze che occupano tutto lo spazio. Le équipe educative e terapeutiche sono preziose se sostengono il legame, senza sostituirlo. Accompagnare vuol dire essere presenti, anche quando non ci sono risposte chiare. È da questa posizione che può nascere una possibilità nuova di vivere insieme, nella difficoltà ma anche nel desiderio.



I disturbi di personalità

  I disturbi di personalità sono modi di essere stabili e rigidi, che creano disagio a chi li vive e a chi è loro vicino. Il soggetto che ne soffre tende a non percepire il problema in sé, ma a viverlo come proveniente dall’esterno: le relazioni, il mondo, gli altri.

Secondo il DSM-5, si tratta di modelli duraturi e disfunzionali di esperienza e comportamento, che si manifestano fin dalla prima età adulta e provocano compromissione nel funzionamento sociale, lavorativo e affettivo.

Non si tratta di semplici tratti caratteriali, ma di configurazioni soggettive pervasive, che resistono al cambiamento e generano una sofferenza relazionale cronica.


🧩 Un quadro clinico variegato

Il DSM suddivide i disturbi di personalità in dieci categorie, raggruppate in tre cluster. Per chiarezza espositiva, possiamo sintetizzare i più rilevanti:

Borderline: instabilità dell’identità, delle relazioni e delle emozioni. Il soggetto oscilla tra idealizzazione e svalutazione, tra dipendenza e rottura, tra euforia e vuoto.

Narcisistico: bisogno di ammirazione, grandiosità, ma anche ipersensibilità al giudizio e vergogna non detta.

Paranoide: diffidenza costante, lettura persecutoria delle intenzioni altrui.

Evitante: ansia sociale intensa, timore del giudizio, evitamento delle relazioni intime.

Antisociale: inosservanza delle norme, disinibizione, uso dell’altro come mezzo.

Queste configurazioni sono descrittive ma non spiegano il perché soggettivo. Per farlo, è necessario andare oltre la classificazione.


🧠 Oltre le etichette: la struttura soggettiva

In psicoanalisi – soprattutto nell’orientamento lacaniano – non si lavora con disturbi, ma con strutture: nevrosi, psicosi, perversione.

Quello che il DSM chiama “disturbo borderline” può, ad esempio, corrispondere a:

una nevrosi grave, con angoscia di castrazione non simbolizzata;

una psicosi non scompensata (psicosi ordinaria), dove manca un ancoraggio simbolico (il Nome-del-Padre), ma esistono supplenze stabili (il corpo, l’Altro, l’amore);

oppure a una posizione che sfugge alle categorie cliniche classiche, ma in cui il discorso del soggetto può orientare il lavoro clinico.

In ogni caso, non si tratta di tipologie ma di logiche del funzionamento soggettivo:

Come si posiziona il soggetto rispetto al desiderio?

Che posto ha l’Altro nella sua economia psichica?

In che modo gestisce il godimento e la legge?


👤 Un esempio clinico

Una donna giovane arriva in consultazione dopo l’ennesima rottura affettiva. Alterna momenti di seduzione e idealizzazione a improvvise crisi di rabbia e chiusura. Si descrive come “sempre tradita” ma anche “distruttiva”, teme l’abbandono ma spinge l’altro ad andarsene. Usa il corpo come superficie di sfogo (autolesioni, tatuaggi compulsivi), si sente vuota, ma rifiuta ogni inquadramento psichiatrico.

In ottica DSM: disturbo borderline di personalità.

In ottica lacaniana: assenza di un riferimento simbolico stabile, immersione in un godimento non mediato, oscillazione continua tra domanda e attacco.

Il lavoro analitico si fonda sulla possibilità che qualcosa del desiderio emerga, al di là delle richieste e delle identificazioni fittizie.


🔍 Diagnosi differenziale: non solo tratti

Molti tratti “paranoidi”, “narcisistici” o “evitanti” possono appartenere a strutture diverse:

Il paranoide può essere un ossessivo (nevrotico) o un psicotico (con delirio compensato).

Il narcisista può avere struttura isterica, con il desiderio regolato dallo sguardo dell’Altro.

L’evitante può essere nevrotico fobico, oppure un soggetto che tenta di limitare l’eccesso del godimento psichico.

La differenza non è nei comportamenti, ma nella logica del discorso, nel posto che ha la legge, e nella posizione rispetto alla castrazione.


🧭 Il trattamento: sostenere una posizione soggettiva

Con i soggetti “di personalità”, il lavoro non consiste nel correggere il comportamento, ma nel favorire un passaggio dalla ripetizione alla parola.

Ciò implica:

ascoltare ciò che si ripete senza cercare di correggerlo subito;

non imporsi come Altro che sa, ma costruire un transfert che tenga;

consentire l’emergere del desiderio, anche là dove il soggetto sembra perso nel godimento o nella difesa paranoica.


📍 Conclusione

I disturbi di personalità ci mostrano forme diverse della difficoltà a stabilire un legame simbolico stabile. Sono tentativi soggettivi – spesso disperati – di tenersi insieme, difendersi, esistere.

L’approccio psicoanalitico non cancella la diagnosi, ma la attraversa, cercando di restituire dignità alla sofferenza e possibilità al soggetto. Anche ciò che appare carattere può diventare tratto singolare, se attraversato dalla parola.





🔍L'Analisi in Lacan

Fare un’ analisi secondo Jacques Lacan non è semplicemente parlare dei propri problemi. È un’esperienza trasformativa, in cui il soggetto ...