1. La fine dell'analisi in Freud
Sigmund Freud, fondatore della psicoanalisi, ha sviluppato una concezione della fine dell'analisi che si lega intimamente alla sua visione del processo terapeutico e alla nozione di "cura" o "guarigione". Per Freud, l'analisi ha come obiettivo il superamento delle nevrosi, che viene raggiunto attraverso la rivelazione e l'elaborazione dei conflitti inconsci. In questo senso, la fine dell'analisi si colloca nel momento in cui i sintomi che derivano da tali conflitti vengono ridotti o eliminati, migliorando così la capacità del soggetto di gestire i propri conflitti interiori. Tuttavia, è importante sottolineare che per Freud la fine dell'analisi non implica una "guarigione totale", ma rappresenta piuttosto il raggiungimento di una condizione in cui il soggetto è in grado di vivere una vita psichica meno conflittuale.
La concezione freudiana della fine dell'analisi è, quindi, legata al concetto di catarsi, intesa come il processo attraverso il quale il soggetto prende consapevolezza dei propri conflitti inconsci e delle proprie pulsioni rimosse. La rimozione dei sintomi, tuttavia, non equivale a una risoluzione definitiva di tutti i conflitti psichici. La guarigione, per Freud, non è l'eliminazione del conflitto ma la riduzione della sofferenza psichica e la capacità del soggetto di adattarsi ai propri desideri e impulsi in modo più consapevole. In altre parole, Freud riteneva che l'analisi non potesse eliminare ogni conflitto, ma fosse in grado di rendere il soggetto più libero rispetto ai determinismi inconsci che governano la sua vita psichica. La fine dell'analisi, per Freud, quindi, non è un obiettivo assoluto ma un miglioramento continuo delle condizioni psicologiche del soggetto.
La rielaborazione del transfert, che è una delle dinamiche centrali nel processo analitico, gioca un ruolo fondamentale nella fine dell'analisi in Freud. Durante l'analisi, il transfert è il processo attraverso cui il paziente trasferisce sullo psicoanalista emozioni e desideri che originano nelle sue esperienze passate, in particolare nella relazione con le figure parentali. La fine dell'analisi, in questo caso, si verifica quando il soggetto è in grado di riconoscere questi meccanismi transferali e di distaccarsene. Tuttavia, Freud non considerava il transfert come un elemento da eliminare completamente, ma piuttosto come uno strumento utile per comprendere le dinamiche inconsce del paziente.
2. La "parola vera" e l'uscita dall'Edipo in Lacan
La concezione della fine dell'analisi in Lacan subisce una trasformazione profonda rispetto a quella freudiana, a partire dalla sua rielaborazione del concetto di inconscio e dal suo interesse per la linguistica e la strutturalismo. Lacan, infatti, riprende e sviluppa la teoria freudiana in modo tale da spostare l'enfasi dalla cura del sintomo alla trasformazione del soggetto attraverso il linguaggio e la strutturazione del desiderio.
Negli anni '50, Lacan concepisce la fine dell'analisi come il momento in cui il soggetto raggiunge una "parola vera", un punto in cui il soggetto riesce a articolare il proprio desiderio in un modo che va oltre il complesso edipico, superando le strutture familiari e simboliche che lo hanno definito. In questa fase, l'analisi non ha più come obiettivo la rimozione dei sintomi ma la trasformazione del soggetto rispetto al suo desiderio, affinché il soggetto possa vivere con la propria mancanza senza cercare un completamento illusorio. La "parola vera", in questo senso, rappresenta una ristrutturazione della propria storia e una presa di consapevolezza rispetto a come il proprio desiderio è stato strutturato dall'incontro con i significanti padroni (S1), che sono i punti di riferimento simbolici che organizzano la psiche del soggetto.
Lacan sottolinea che l'analisi deve condurre il soggetto verso un nuovo posto rispetto alla verità del proprio discorso, che non è mai completamente accessibile. La fine dell'analisi, quindi, non è mai un punto di arrivo definitivo ma un "momento di apertura" verso una continua rielaborazione del desiderio, che non può mai essere completamente colmato. In questo contesto, Lacan afferma che "la verità ha struttura di finzione" (Lacan, 1956/1998), evidenziando come la verità stessa sia sempre una costruzione, una narrazione, che il soggetto è chiamato ad accogliere nella sua dimensione soggettiva, pur nella consapevolezza della sua incompletezza.
3. Angoscia e attraversamento del fantasma in Lacan
Nei suoi sviluppi teorici successivi, Lacan introduce il concetto di angoscia come segnale fondamentale del desiderio. L'angoscia, per Lacan, non è priva di oggetto; piuttosto, essa è il segno della mancanza e della dimensione desiderante che definisce il soggetto. La fine dell'analisi, quindi, si configura come il momento in cui il soggetto attraversa il proprio fantasma fondamentale. Il fantasma, nella teoria lacaniana, è un meccanismo difensivo che organizza il desiderio del soggetto, ma che lo imprigiona anche in un circolo di ripetizione.
L'attraversamento del fantasma non implica l'eliminazione del desiderio o la sua repressione, ma piuttosto un cambiamento radicale nella posizione soggettiva del paziente. Il soggetto, anziché essere dominato inconsciamente dal proprio fantasma, ne prende consapevolezza e lo riconosce come una costruzione che non può essere superata, ma che deve essere accettata come parte integrante della propria storia. La fine dell'analisi, in questo caso, non implica una "soluzione" al conflitto, ma una sua ristrutturazione, dove il soggetto non cerca più di sfuggire alla propria mancanza, ma la accoglie come un dato fondamentale dell'esistenza.
4. Il sinthome e la ristrutturazione del soggetto in Lacan
Verso la fine del suo insegnamento, Lacan sviluppa il concetto di sinthome, che rappresenta un nodo psichico in cui si intrecciano le dimensioni del simbolico, dell'immaginario e del reale. Il sinthome, secondo Lacan, è ciò che tiene insieme il soggetto e la sua psiche, permettendo al soggetto di vivere con la propria mancanza e di sostenerla nel quotidiano.
Nella concezione del sinthome, la fine dell'analisi non è più vista come la "guarigione" del soggetto ma come una ristrutturazione del legame del soggetto con il proprio sintomo. Il soggetto non elimina il sintomo, ma lo integra in una nuova modalità di essere, che gli consente di vivere con il desiderio senza subire la sua oppressione. Il sinthome, quindi, rappresenta un nuovo modo di relazionarsi con il proprio sintomo, una nuova forma di sostegno che non è più vissuta come una patologia, ma come una risorsa che consente al soggetto di esistere.
5. Il transfert e la posizione dell'analista
Un aspetto fondamentale della fine dell'analisi riguarda la trasformazione del trasfert. Se all'inizio dell'analisi il soggetto proietta sull'analista un sapere che rappresenta una forma di completamento o di salvezza, alla fine dell'analisi il transfert si dissolve e il soggetto si trova a confrontarsi con la propria mancanza, senza più cercare un Altro che possa riempirla. La fine dell'analisi, quindi, segna un passaggio decisivo: il soggetto non è più legato a una figura di autorità o a un "savoir" che lo guidi, ma si trova a confrontarsi con il proprio desiderio, riconoscendo la propria mancanza come una condizione costitutiva del soggetto.
L'analista, quindi, non è più visto come una figura che detiene la verità sul soggetto, ma come un altro che permette al soggetto di scoprire la propria posizione rispetto al desiderio. La fine dell'analisi, in questo senso, è il momento in cui il soggetto assume una nuova responsabilità rispetto al proprio desiderio, senza più ricercare un completamento esterno.
6. Conclusione: la fine dell'analisi come apertura
La fine dell'analisi, per Lacan, non è mai una "guarigione" in senso tradizionale, ma un momento di apertura in cui il soggetto si confronta con la propria mancanza, senza illusioni di compimento o di risoluzione definitiva. Lacan sottolinea che la fine dell'analisi è un punto di partenza, un inizio di una nuova responsabilità del soggetto nei confronti del proprio desiderio, senza la speranza che quest'ultimo possa mai essere completamente soddisfatto. Come scrive Miller (2023), la fine dell'analisi rappresenta "l'inizio di una nuova forma di responsabilità verso il proprio desiderio".
Bibliografia
- Lacan, J. (1953/1975). Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi. In Scritti (Vol. I). Einaudi.
- Lacan, J. (1956/1998). Il seminario, Libro III: Le psicosi. Einaudi.
- Lacan, J. (1962-63/2004). Il seminario, Libro X: L'angoscia. Einaudi.
- Lacan, J. (1967/2001). Propos sur l'hystérie. Seuil.
- Lacan, J. (1973/2011). Il seminario, Libro XXI: Les non-dupes errent. Seuil.
- Lacan, J. (1975-76/2005). Il seminario, Libro XXIII: Il sinthomo. Einaudi.
- Miller, J.-A. (2023). Come finiscono le analisi. Paradossi della passe. Astrolabio Ubaldini.