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venerdì 30 maggio 2025

La leadership generativa nel Terzo Settore: dinamiche soggettive e pratiche collettive in un’epoca di trasformazione

 

Social Worker


Introduzione: crisi economica, politica e sfide dell’internet economy

Il contesto economico e politico attuale è caratterizzato da una complessità crescente e da trasformazioni profonde, dovute alla crisi della globalizzazione neoliberale, all’instabilità geopolitica e alla diffusione accelerata delle tecnologie digitali, che modificano radicalmente i modelli di produzione, lavoro e partecipazione sociale. L’economia digitale (internet economy) impone nuove modalità di governance e di organizzazione, che incidono anche sui processi di rappresentanza e sulle forme di leadership.

In tale scenario, il Terzo Settore emerge come spazio cruciale di innovazione sociale, capace di tessere relazioni tra mercato, istituzioni e comunità. La sfida principale riguarda la capacità di sviluppare modelli di leadership che superino i limiti dei tradizionali approcci manageriali, spesso gerarchici e verticali, per adottare forme più fluide, distribuite e generative.


Leadership postmanageriale e generativa: definizioni e riferimenti teorici

La leadership postmanageriale si distingue per un approccio meno autoritario, fondato su pratiche di collaborazione, condivisione del potere e valorizzazione della soggettività collettiva. La leadership generativa, collegata a questa, si concentra sull’emergere di nuove soggettività e sulla costruzione di significati condivisi, attivando processi creativi e trasformativi all’interno delle organizzazioni.

Il contributo della psicoanalisi lacaniana risulta fondamentale per interpretare la leadership come funzione simbolica. Secondo tale prospettiva, la leadership agisce come “significante padrone” che organizza e stabilizza il campo sociale e simbolico, ma che nel modello generativo non si manifesta come imposizione rigida, bensì come apertura a un campo plurale, in cui più soggettività trovano spazio e possibilità di espressione.


La leadership nel Terzo Settore: pratiche distribuite e soggettività generative

Nel Terzo Settore, che include cooperative sociali, associazioni, enti non profit e realtà di economia sociale, la leadership generativa si manifesta in forme situate, distribuite e relazionali. Queste forme si fondano su valori di partecipazione, inclusione e mutualità, distinguendosi da modelli aziendalistici tradizionali.

Gli operatori sociali, educatori professionali, psicologi e figure di coordinamento svolgono funzioni di leadership diffusa, in cui il ruolo formale non coincide con l’esercizio effettivo della funzione simbolica di guida e facilitazione. La leadership qui è lavoro simbolico e relazionale, capace di integrare le diversità e di favorire processi di empowerment.

Esempio 1: un progetto di inclusione sociale in una grande città

In un’organizzazione dedicata all’inclusione sociale di persone in situazione di vulnerabilità, la leadership è distribuita tra educatori, mediatori culturali e coordinatori, che insieme costruiscono spazi di dialogo e decisione condivisa. La pratica di leadership generativa ha permesso di superare rigidità organizzative e di valorizzare le competenze e le esperienze dei singoli, migliorando la qualità degli interventi e la coesione interna.

Esempio 2: una rete territoriale per il sostegno alle famiglie

Una rete di enti del Terzo Settore impegnata nel sostegno alle famiglie ha sviluppato un modello di leadership situata, in cui i leader locali agiscono come facilitatori di processi di co-progettazione e mediazione tra diversi attori sociali. La leadership non è concentrata in un singolo soggetto, ma si distribuisce e si adatta alle diverse situazioni, promuovendo una governance partecipata e inclusiva.


Sindacalismo critico: laboratorio di leadership generativa

Anche nel campo sindacale, in particolare nei sindacati di base, si osserva un’importante evoluzione verso forme di leadership generativa e distribuita. Questi sindacati promuovono pratiche di autorganizzazione, partecipazione diretta e costruzione collettiva di strategie, mettendo in discussione i modelli tradizionali di rappresentanza verticale.

In questo contesto, la leadership si esprime come capacità di attivare soggettività multiple, riconoscere la pluralità delle identità lavorative e mediare i conflitti trasformandoli in momenti di innovazione sociale e culturale.

Esempio 3: rappresentanza dei lavoratori della gig economy

Un sindacato di base ha avviato una campagna di rappresentanza per lavoratori della gig economy, tipicamente frammentati e privi di tutele tradizionali. La leadership collettiva e assembleare ha permesso di costruire reti di solidarietà e di rivendicazione che intrecciano istanze economiche con pratiche culturali, favorendo una nuova soggettività politica dei lavoratori digitali.



Il ruolo di psicologi e educatori nel Terzo Settore

Psicologi, educatori professionali e assistenti sociali sono attori fondamentali della leadership generativa nel Terzo Settore. Non solo svolgono compiti tecnici, ma incarnano funzioni simboliche e relazionali che favoriscono la soggettivazione degli utenti, la mediazione culturale e la costruzione di comunità inclusive.

Gli psicologi, in particolare, contribuiscono come mediatori simbolici, sostenendo la trasformazione dei conflitti in risorse e facilitando processi di empowerment. Gli educatori professionali, con la loro capacità di facilitare dinamiche di gruppo e di relazione, rappresentano spesso nodi centrali nella rete di leadership distribuita.


Conclusioni

La leadership postmanageriale e generativa nel Terzo Settore si configura come una risposta strategica alle sfide poste dalle trasformazioni economiche, sociali e tecnologiche in atto. Essa implica una ridefinizione della leadership stessa, intesa come processo collettivo, distribuito e situato, capace di integrare dimensioni simboliche, relazionali e organizzative.

In questa prospettiva, il Terzo Settore diventa un laboratorio privilegiato per sperimentare forme di leadership che siano creative, inclusivi e politicamente significative, contribuendo a costruire comunità resilienti e capaci di innovazione sociale.


Bibliografia essenziale

  • Argyris, C., & Schön, D. (1978). Organizational Learning: A Theory of Action Perspective. Addison-Wesley.
  • Bennis, W. G. (2003). On Becoming a Leader. Basic Books.
  • Foster, R., & Kaplan, S. (2001). Creative Destruction. Crown Business.
  • Lacan, J. (1972). Le séminaire, Livre VIII: Le transfert. Seuil.
  • Magatti, M. (2019). La società in guerra. Il Mulino.
  • Ricketts, E. (2018). Generative Leadership in Practice. Palgrave Macmillan.
  • Ropo, A., & Salovaara, P. (2017). Leadership-as-Practice. Routledge.
  • Senge, P. M. (1990). The Fifth Discipline. Doubleday.
  • Wheatley, M. J. (2006). Leadership and the New Science. Berrett-Koehler.

giovedì 24 aprile 2025

Clinica lacaniana dell’isolamento sociale


Una lettura attraverso le strutture soggettive nei contesti istituzionali

L’isolamento sociale, spesso trattato come sintomo da correggere, può in una prospettiva lacaniana essere letto come una posizione soggettiva, un modo in cui il soggetto si rapporta all’Altro, alla legge, al linguaggio. Lungi dall’essere un deficit generalizzato, può essere una difesa, una modalità di regolazione del proprio legame con l’ambiente e con il desiderio.
Nelle istituzioni educative e socio-sanitarie, dove il rapporto con l’Altro è quotidiano e strutturato, tale posizione si manifesta con tratti differenti a seconda della struttura psichica del soggetto.


Nevrosi: l’isolamento come difesa dal desiderio dell’Altro

Nel caso della nevrosi ossessiva, l’isolamento può diventare una fortezza mentale. Un adolescente in un centro educativo rifiuta le attività di gruppo e si ritira ogni volta che gli viene chiesto di partecipare a giochi o discussioni. Dietro il ritiro non c’è indifferenza, ma un’intensa attività mentale: teme il giudizio, teme di dire qualcosa di sbagliato, teme di perdere il controllo sul proprio pensiero.
Il suo isolamento è una difesa dal desiderio dell’Altro, vissuto come eccessivo o invasivo.

Nell’isteria, al contrario, si può vedere un isolamento più intermittente: una ragazza con disabilità lieve partecipa agli incontri, ma a tratti si ritrae bruscamente, spesso in risposta a situazioni in cui non si sente riconosciuta o compresa. Il ritiro è una mossa soggettiva, una “sottrazione” che interroga l’Altro: “mi vedi? ti manco?”

In entrambi i casi, l’approccio istituzionale non deve essere forzante ma deve accogliere il ritiro come significante, lavorando sulla possibilità di parola, anche se mediata da attività o spazi protetti.


Psicosi: l’isolamento come protezione dalla frammentazione

Un giovane adulto in un servizio diurno psichiatrico passa ore a guardare fuori dalla finestra. Rifiuta il gruppo, non interagisce, ma si mostra agitato se qualcuno entra nel suo spazio. Diagnosi: psicosi paranoide.
In questo caso, l’isolamento è un baluardo contro l’invasione dell’Altro, che può assumere connotati persecutori. Il soggetto ha costruito un fragile equilibrio simbolico e l’ingresso dell’Altro lo minaccia. Un altro paziente psicotico, in una residenza protetta, accetta di partecipare alle attività solo se gli viene garantito di poter stare “in un angolo” e di uscire quando vuole. Questa condizione, apparentemente minima, è in realtà fondamentale per la sua stabilità.

Nelle istituzioni, è essenziale creare ritualità, prevedibilità e spazi di parola non invasivi, che offrano contenimento simbolico ma non forzino la relazione. L’equipe diventa allora “presenza silenziosa”, Altro affidabile ma non invadente.


Perversione: l’isolamento come dominio sull’Altro

In un laboratorio occupazionale, un educatore nota che un giovane adulto tende a isolarsi non per ritirarsi, ma per controllare la relazione. Partecipa solo quando può dettare le regole, manipolare gli altri o decidere i turni. Quando questo non è possibile, si ritira, con atteggiamenti sfidanti o provocatori.
Questo comportamento può essere letto in chiave perversa: l’isolamento è usato come minaccia o strumento per negare la mancanza dell’Altro, tentando di mantenerlo sotto controllo.

Qui il compito dell’équipe non è sanzionare il comportamento, ma costruire una funzione terza, un luogo simbolico che consenta di porre limiti senza umiliare, e di introdurre il desiderio come elemento regolatore, non come strumento di potere.


Autismo: l’isolamento come forma di relazione alternativa

Un bambino autistico in una scuola inclusiva non interagisce verbalmente e si isola in un angolo della classe con un oggetto che manipola per ore. Ma se l’educatore si avvicina senza parole, semplicemente toccando l’oggetto o imitando i suoi movimenti, il bambino permette la presenza. L’isolamento qui non è assenza di relazione, ma forma specifica di relazione, che richiede una lettura attenta dei segni non verbali, dei ritmi, dei passaggi sensoriali.

Nel lavoro educativo e sanitario con soggetti autistici, è necessario rispettare la logica soggettiva, costruendo dispositivi che permettano un passaggio simbolico attraverso il corpo, l’oggetto, la ripetizione. Forzare l’inclusione può generare angoscia; accompagnare nella solitudine può aprire spazi di incontro.


Conclusione: verso una clinica dell’accoglienza differenziale

La clinica lacaniana dell’isolamento sociale invita le istituzioni a spostare lo sguardo: non si tratta di “rompere l’isolamento”, ma di comprenderne la funzione soggettiva. Ogni struttura ha il proprio modo di regolare la presenza dell’Altro. L’educatore, il terapeuta, l’assistente devono posizionarsi in modo da non invadere né abbandonare, ma rendere possibile una presenza simbolica.

Il lavoro clinico nei contesti istituzionali richiede allora una sensibilità strutturale, capace di leggere ogni isolamento non come sintomo da eliminare, ma come tentativo di regolazione del desiderio, del godimento e del legame.


🔍L'Analisi in Lacan

Fare un’ analisi secondo Jacques Lacan non è semplicemente parlare dei propri problemi. È un’esperienza trasformativa, in cui il soggetto ...