Nel XXI secolo, la democrazia si trova stretta tra due forze simboliche di grande potenza: da un lato il neoliberismo, che dissolve progressivamente i legami sociali attraverso l'individualizzazione estrema e la razionalità economica totalizzante; dall'altro, il neocomunitarismo identitario, che risponde a questa dissoluzione con forme di chiusura, risentimento e difesa identitaria. In questo scenario complesso, si rende sempre più necessario pensare e praticare una democrazia critica, capace di accogliere la tensione tra queste due tendenze e di custodire la complessità del soggetto.
Il neoliberismo, che ha segnato l'ordine globale sin dagli anni Ottanta, ha prodotto ingiustizie profonde e durature. Il suo principio guida è la trasformazione di ogni ambito della vita in mercato: lavoro, scuola, cura, cultura. Il soggetto è spinto a pensarsi come imprenditore di se stesso, responsabile unico del proprio destino. Questa ideologia, che all'apparenza promette libertà, finisce per generare precarietà, solitudine e colpa. Le istituzioni pubbliche, debolite o privatizzate, non riescono più a sostenere i legami simbolici che strutturano la vita collettiva.
Di fronte a questa frattura, molti gruppi sociali reagiscono riscoprendo la forza dell'appartenenza: religiosa, etnica, nazionale o culturale. È il campo del neocomunitarismo identitario, che si esprime in forme diverse: dai fondamentalismi religiosi ai nazionalismi sovranisti, fino a movimenti comunitari chiusi e oppositivi. Queste forme rispondono a un bisogno reale di protezione, ma lo fanno spesso irrigidendo il simbolico, trasformando la differenza in minaccia, il confine in muro.
Eppure, il comunitarismo non è necessariamente regressivo. Se riconosciuto e accompagnato, può trasformarsi in comunitarismo critico: una forma di legame che mantiene la memoria, la cura e l'appartenenza, ma le apre al confronto, alla pluralità e alla responsabilità. Non più comunità identiche a sé stesse, ma comunità che riflettono sul proprio fondamento simbolico, che interrogano il proprio rapporto con l'altro.
È qui che la psicoanalisi ha molto da dire. Lacan ha mostrato come il soggetto sia sempre diviso, marcato dalla mancanza, e come ogni identificazione sia, al tempo stesso, necessaria e fittizia. Il soggetto ha bisogno di un significante padrone (S1) per stabilire la propria posizione, ma non coincide mai pienamente con esso. Questo scarto è il luogo stesso del desiderio e della libertà. La psicoanalisi, allora, non nega il bisogno di comunità, ma lo attraversa, lo decifra, ne svela le rigidità e le aperture possibili.
Nel lavoro clinico, educativo e sociale, vediamo ogni giorno soggetti presi tra la solitudine neoliberale e l'abbraccio soffocante dell'identità. Giovani, migranti, lavoratori precari cercano senso, ascolto, legame. La psicoanalisi può offrire uno spazio di parola in cui queste tensioni siano rese dicibili, in cui il soggetto sia riconosciuto nella sua irriducibile singolarità, ma anche nella sua iscrizione in un legame.
In questo orizzonte, la democrazia critica si presenta non come un semplice sistema procedurale, ma come forma simbolica della mediazione. Essa accoglie il conflitto senza volerlo eliminare, riconosce la differenza senza gerarchizzarla, apre spazi in cui i soggetti e le comunità possano articolare la propria voce. Quando la democrazia incontra forme di comunitarismo critico, si aprono esperienze concrete di "polis": spazi dove la cittadinanza non è solo appartenenza giuridica, ma partecipazione reale, cura del bene comune, costruzione di senso condiviso.
Possiamo citare come esempi:
- Il terzo settore e le reti dei commons, che creano legami solidaristici nel cuore dell'economia;
- il municipalismo democratico di Barcellona e altre città europee, che tenta di radicare la democrazia nella vita quotidiana;
- alcune esperienze di scuola popolare e di pedagogia radicale, dove il sapere diventa condivisione e liberazione.
Questi esempi non sono modelli da imitare, ma segni che un altro incontro è possibile. Un incontro tra libertà e legame, tra differenza e appartenenza, tra soggetto e comunità. In questo senso, la democrazia critica può anche diventare comunitarismo critico: non negazione della comunità, ma suo attraversamento riflessivo, simbolico, aperto.
Lavorare per la democrazia oggi significa resistere alla doppia disumanizzazione del mercato e dell'identità chiusa. Significa difendere lo spazio della parola, del conflitto simbolico, del desiderio. Significa affermare che il soggetto non è mai del tutto inglobabile, né dal capitale, né dalla tribù. Ma anche che il soggetto non è mai solo: ha bisogno di luoghi, riti, nomi, legami.
Ecco allora il compito: trasformare la polis in uno spazio in cui soggetti e comunità possano non solo esistere, ma significare. In cui la psicoanalisi non sia un sapere separato, ma una pratica della parola e dell'ascolto capace di illuminare le faglie della contemporaneità.
Bibliografia sintetica
- Brown, W. (2019). La fine della democrazia?. Einaudi.
- Brague, R. (2009). Il futuro dell'Occidente. Cantagalli.
- Lacan, J. (1964). Il seminario. Libro XI: I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi. Einaudi.
- Nancy, J.-L. (2000). Essere singolare plurale. Einaudi.
- Mouffe, C. (2005). Sulla politica. Democrazia e antagonismo nel capitalismo globale. Meltemi.
- Taylor, C. (1994). Radici dell'io. Feltrinelli.
- Zizek, S. (2008). Vivere alla fine dei tempi. Ponte alle Grazie.
- Butler, J. (2004). Vite precarie. Meltemi.
- Han, B.-C. (2022). La crisi della narrazione. Einaudi.
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