martedì 22 aprile 2025

L’interpretazione in Lacan: taglio, non-senso e desiderio


1. Introduzione: la svolta lacaniana

L’interpretazione, nel pensiero di Lacan, non è una traduzione del sintomo in verità preesistenti né un’ermeneutica della rimozione. Lacan non rifiuta la nozione freudiana d’inconscio come luogo in cui una verità si esprime cifrata, ma la riformula radicalmente: l’inconscio è strutturato come un linguaggio, ed è effetto del significante.

La svolta consiste nel collocare l’interpretazione non più nel campo del senso, ma in quello della funzione del significante e del godimento. L’interpretazione lacaniana non mira alla comprensione, ma all’effetto, all’atto. Non dice “ecco cosa sei”, ma piuttosto toglie il soggetto da ciò con cui si identifica, producendo un vuoto, un’interruzione, uno scarto.

“Il senso è resistenza. L’interpretazione deve colpire altrove, dove il soggetto non sa di essere toccato”
(Seminario XI, 1964)


2. L’interpretazione come atto: dal senso al reale

Freud ci ha consegnato l’idea che i sintomi sono compromessi tra desiderio e difesa, e che l’interpretazione consente una simbolizzazione del rimosso. Lacan, a partire dal secondo periodo del suo insegnamento, mette l’accento sul fatto che non tutto si simbolizza, che c’è un resto, un reale del godimento che resiste al discorso. Proprio su questo reale può agire l’interpretazione: non per nominarlo, ma per isolarlo.

Per Lacan, il significato si costruisce nella catena significante. Ma l’inconscio emerge là dove questa catena si inceppa, si fora. L’interpretazione non serve a spiegare, ma a forare, a introdurre una mancanza di senso, un buco nel discorso del soggetto.

“L’interpretazione non deve mai essere completamente significativa. È efficace solo se comporta una certa opacità”
(J.-A. Miller, Gli usi del lapsus, 2008)


3. Il soggetto come effetto del significante

Il soggetto, nella teoria lacaniana, non è un’entità sostanziale, ma un posto vuoto, un effetto della catena significante. Dire che il soggetto è “rappresentato da un significante per un altro significante” significa che esso non coincide mai con sé, ma si costituisce nella differenza e nello spostamento. Interpretare è, allora, disfare un’identificazione, produrre uno scarto tra l’io e il soggetto dell’inconscio.

Nel Seminario XX Lacan afferma che l’interpretazione punge, tocca il corpo parlante, non attraverso il senso, ma attraverso un non-senso che fa effetto, una scansione che taglia la ripetizione.


4. Esempio clinico: la voce trattenuta

Una giovane insegnante, appassionata del suo lavoro, soffre di afonia ricorrente alla vigilia di presentazioni pubbliche. Il medico non trova cause organiche. In analisi, descrive il rapporto con il padre, anch’egli insegnante carismatico, spesso citato da lei con ammirazione, ma anche con un certo timore.

Una interpretazione classica avrebbe cercato il trauma infantile, o una rimozione legata all’autorità. L’intervento lacaniano, invece, arriva in forma di taglio:

“Forse non è la tua voce che perdi, ma quella che non puoi permetterti di avere.”

Non è una spiegazione, ma un detto che sorprende, che la separa dal fantasma del padre e apre una possibilità di soggettivazione del proprio desiderio. Da lì in poi, non si tratta più solo di “guarire la voce”, ma di articolare una posizione soggettiva singolare nel suo ruolo, nel suo corpo, nella sua enunciazione.


5. Esempio sociale: un migrante e il significante perduto

Un giovane nordafricano inserito in un programma educativo abbandona più volte il percorso formativo, pur dimostrando capacità. Alla domanda “perché?”, risponde:

“Qui sono uno qualunque. Là ero il figlio del sarto, tutti lo conoscevano.”

Si tratta di un soggetto che si è strutturato attorno a un significante padrone (S1) legato al nome e al riconoscimento familiare. La perdita di quel S1, nella migrazione, genera una caduta dell’identità, ma anche una possibilità.

L’educatore potrebbe essere tentato di rassicurare, proporre nuovi S1: cittadinanza, integrazione, lavoro. Ma una posizione lacaniana suggerisce un’altra via:

“E se qui potessi essere qualcosa che là non avresti mai potuto diventare?”

È una punta d’interpretazione, non una promessa. Un dire che sposta la soggettività dal luogo del riconoscimento all’apertura del desiderio, che introduce un tempo di sospensione e rielaborazione. Il soggetto può allora, forse, iniziare a scrivere qualcosa di proprio nel nuovo contesto, senza più inseguire l’ideale perduto.


6. Conclusione: interpretare è toccare il reale

L’interpretazione in Lacan non è una tecnica, ma un atto singolare, irripetibile, che opera nel tempo e nel corpo. Essa non chiude, ma apre; non spiega, ma punge.

“Non è il senso che libera, è il taglio.”
(Seminario XI)

In questo senso, anche nel lavoro educativo e sociale, ispirarsi alla posizione lacaniana non significa usare concetti psicoanalitici in modo adattato, ma assumere una funzione di taglio simbolico, capace di far emergere il soggetto là dove sembrava dissolto nell’identificazione o nell’esclusione.


Bibliografia

  • Lacan, J. (1964). Il Seminario, Libro XI: I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi. Torino: Einaudi.
  • Lacan, J. (1972-73). Il Seminario, Libro XX: Ancora. Torino: Einaudi.
  • Lacan, J. (1966). Scritti. Torino: Einaudi.
  • Miller, J.-A. (2005). Introduzione al reale del seminario, in La Psicoanalisi, n. 38, Roma: Astrolabio.
  • Miller, J.-A. (2008). Gli usi del lapsus, in La Psicoanalisi, n. 43, Roma: Astrolabio.
  • Freud, S. (1900). L’interpretazione dei sogni. OSF, vol. 3, Torino: Bollati Boringhieri.
  • Freud, S. (1915). L’inconscio. OSF, vol. 8, Torino: Bollati Boringhieri.


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