Difesa Militare: una Lettura Critica
La guerra come crisi dell’ordine simbolico
La guerra è il punto di rottura di un ordine simbolico. Quando il significante padrone (S1) che regge un sistema politico, sociale o economico entra in crisi, emergono spinte distruttive che non trovano più una regolazione adeguata. Il conflitto armato non è solo una questione di interessi materiali o di strategie geopolitiche, ma esprime un problema più profondo: l’incapacità di integrare la differenza dell’Altro in un quadro simbolico condiviso. La guerra appare così come il tentativo di risolvere con la violenza ciò che il linguaggio e la politica non riescono più a gestire.
La difesa e la sua ambiguità
In questo contesto, la difesa militare viene spesso giustificata come una necessità inevitabile: ogni Stato ha il diritto di proteggere i propri cittadini e il proprio territorio da minacce esterne. Tuttavia, questa logica presenta un’ambiguità strutturale. La difesa non è mai un concetto neutrale: ciò che uno Stato percepisce come difesa può essere vissuto dall’Altro come una minaccia. La storia è piena di guerre che si sono presentate come “difensive” pur essendo mosse da logiche espansionistiche o da tentativi di consolidare il potere interno. La difesa, dunque, non è solo un fatto militare, ma è sempre una questione politica e simbolica.
Un esempio emblematico è quello della NATO. Nata come alleanza difensiva, ha progressivamente assunto un ruolo di intervento attivo, generando la percezione, in alcuni contesti, di essere essa stessa una minaccia. La Russia ha giustificato la guerra in Ucraina come una risposta alla minaccia rappresentata dall’espansione della NATO, mostrando come il confine tra difesa e aggressione sia spesso una costruzione narrativa. Questo non significa legittimare le guerre di aggressione, ma evidenziare come il discorso sulla sicurezza sia sempre inscritto in una logica politica che determina chi è il nemico e chi è l’alleato.
La guerra e il godimento dell’Altro
La guerra non è solo uno scontro tra eserciti, ma coinvolge anche una dimensione di godimento. Lacan mostra come il rapporto con il godimento dell’Altro sia un elemento centrale nei conflitti: l’Altro è spesso vissuto come un soggetto che gode in un modo inaccessibile o minaccioso. La guerra diventa così il tentativo di eliminare questo godimento percepito come intollerabile.
Pensiamo ai conflitti etnici o religiosi, dove l’identità dell’Altro non è solo diversa, ma viene vista come qualcosa di insopportabile, che deve essere eliminato per ristabilire un ordine simbolico accettabile. La difesa, in questo caso, non è più solo protezione, ma diventa una giustificazione per la distruzione dell’Altro. La Germania nazista, ad esempio, giustificò la sua espansione come una difesa della nazione tedesca minacciata dal bolscevismo e dalla “degenerazione” culturale. Analogamente, molte guerre contemporanee vengono presentate come operazioni per la sicurezza nazionale, mentre in realtà mirano a ridefinire i rapporti di forza globali.
Il rischio della guerra permanente
Se la difesa non vuole diventare un pretesto per la guerra, deve essere pensata in modo diverso. Il modello della deterrenza, basato sulla minaccia di ritorsione, crea un equilibrio instabile: ogni aumento di sicurezza per uno Stato può essere visto come una minaccia dagli altri, generando una spirale di riarmo. Questo è il rischio della politica internazionale contemporanea: il moltiplicarsi delle alleanze militari, delle basi strategiche e delle armi avanzate non elimina il rischio di guerra, ma lo rende più probabile.
Un altro elemento chiave della guerra contemporanea è il ruolo della tecnologia. La guerra moderna tende a ridurre il coinvolgimento diretto del combattente: droni, missili teleguidati e cyber-guerra creano un conflitto in cui la distruzione è sempre più disincarnata. Questo produce una paradossale combinazione tra ipertecnologia e pulsione di morte: si uccide a distanza, senza vedere l’Altro morire, e allo stesso tempo si alimenta una guerra che non ha più confini chiari. L’uccisione diventa un algoritmo, ma il godimento della distruzione resta, anche se rimosso sotto la forma di necessità tecnica.
La guerra come ritorno del rimosso
Freud, in "Perché la guerra?", scriveva a Einstein che il conflitto è il sintomo dell'impossibilità di eliminare la pulsione di morte. Lacan riprende questa idea, mostrando come la guerra sia il ritorno di un reale che il simbolico non riesce più a contenere. Quando un ordine sociale entra in crisi, la guerra si presenta come un tentativo di ristabilire un nuovo significante padrone attraverso la distruzione. In questo senso, ogni guerra è anche una lotta per la ridefinizione del potere simbolico: chi ha il diritto di nominare il mondo? Chi impone il discorso dominante?
Ripensare la difesa: sicurezza e ordine simbolico
Da questa prospettiva, la difesa non può essere pensata solo in termini militari. Se il problema della guerra è una crisi del simbolico, allora la vera sicurezza non si costruisce solo con le armi, ma con la capacità di creare un ordine che renda possibile la coesistenza senza che il conflitto degeneri in violenza. La difesa deve essere accompagnata da una politica di riconoscimento dell’Altro, capace di costruire spazi simbolici in cui le differenze possano essere articolate senza diventare una minaccia assoluta.
Il problema è che il discorso del padrone tende a imporsi attraverso la logica amico/nemico. La difesa diventa così un modo per giustificare il dominio, e la sicurezza si trasforma in una guerra preventiva permanente. Questo è il rischio del mondo contemporaneo: la guerra non è più un evento eccezionale, ma uno stato di tensione continuo, una logica diffusa che permea il discorso politico, i media e le relazioni internazionali.
Conclusione
Una riflessione critica sulla guerra e sulla difesa deve andare oltre la semplice logica della forza. La sicurezza non è solo questione di deterrenza o di capacità militare, ma dipende dalla possibilità di costruire un ordine simbolico che non si basi esclusivamente sulla minaccia dell’Altro. La difesa deve esistere, ma non può diventare il criterio assoluto che governa i rapporti internazionali. Se la guerra è il ritorno del rimosso, la vera sfida è trovare un modo per integrare il conflitto nella struttura simbolica senza che esso esploda nella distruzione.
Solo così si potrà pensare una difesa che protegga senza alimentare nuove guerre, e una politica che non si riduca a un eterno confronto con il nemico.
Bibliografia
Freud, S. (1932). Perché la guerra? Lettera a Einstein. In Opere Complete, Vol. X. Boringhieri.
Freud esplora la pulsione di morte e il carattere inevitabile del conflitto nella psiche umana.
Lacan, J. (1966). Scritti. Einaudi.
In particolare, il concetto di significante padrone (S1) e il godimento dell’Altro sono utili per comprendere la logica simbolica della guerra.
Schmitt, C. (1932). Il concetto di politico. Adelphi.
Analizza la logica della distinzione amico/nemico come fondamento della politica e della guerra.
Arendt, H. (1969). Sulla violenza. Guanda.
Discute la differenza tra violenza e potere, mostrando come la guerra emerga quando il potere politico fallisce.
Foucault, M. (1976). Bisogna difendere la società. Feltrinelli.
Analizza la guerra come un proseguimento della politica attraverso altri mezzi, ribaltando la famosa formula di Clausewitz.
Clausewitz, C. von (1832). Della guerra. Mondadori.
Classico della teoria militare, introduce il concetto di guerra come strumento della politica.
Mbembe, A. (2016). Necropolitica. Ombre Corte.
Approfondisce il modo in cui gli Stati decidono chi può vivere e chi deve morire, legando la guerra alle dinamiche del potere contemporaneo.
Butler, J. (2009). Frames of War: When is Life Grievable? Verso Books.
Analizza il modo in cui la guerra costruisce il nemico attraverso narrazioni che disumanizzano l’Altro.
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