lunedì 24 marzo 2025

Pratica Istituzionale della Disabilità Intellettiva in una Prospettiva Lacaniana


 




L’approccio istituzionale alla disabilità intellettiva, quando orientato dalla psicoanalisi lacaniana, si distanzia dai modelli meramente riabilitativi o comportamentali, per situarsi in un'ottica che riconosce il soggetto nel suo rapporto con il desiderio e il godimento. Il lavoro di Antonio Ciaccia, unito a quello di Basaglia, Mannoni, Oury e Recalcati, fornisce strumenti fondamentali per pensare l’istituzione non come luogo di normalizzazione, ma come spazio di soggettivazione.


1. L’istituzione come luogo di ospitalità piuttosto che di adattamento

La psichiatria istituzionale classica e i modelli educativi tradizionali tendono a inscrivere il soggetto con disabilità in un discorso normalizzante, dove l’obiettivo è il massimo adattamento possibile alle norme sociali.

Basaglia, nel suo lavoro di critica alla psichiatria manicomiale, ha mostrato come l’istituzione possa facilmente diventare un dispositivo di segregazione, più che di cura o educazione. La lezione di Basaglia è stata ripresa in ambito educativo da Mannoni, che ha messo in evidenza come il bambino con disabilità intellettiva non debba essere considerato solo in termini di deficit, ma piuttosto rispetto alla sua posizione soggettiva nel legame con l’Altro.

In questa prospettiva, l’istituzione può funzionare secondo due logiche:

  1. Una logica di normalizzazione, che cerca di eliminare le differenze e rendere il soggetto "funzionale".
  2. Una logica di ospitalità basagliana, che accoglie il "resto inassimilabile" del soggetto e ne permette l’emergere.

Seguendo la seconda prospettiva, l’istituzione si configura non come un luogo di addestramento sociale, ma come un contesto in cui il soggetto possa trovare un posto nel legame sociale senza essere ridotto alla sua disabilità.


2. Supplenza simbolica e Nome-del-Padre nella disabilità intellettiva

Nell’esperienza istituzionale, spesso emerge che il soggetto con disabilità intellettiva fatica a situarsi nel registro simbolico. Recalcati, riprendendo Lacan, ha sottolineato come, in alcuni casi, la disabilità intellettiva sia associata a una carente trasmissione del Nome-del-Padre, che lascia il soggetto in una condizione di smarrimento rispetto alla legge simbolica e al desiderio.

L’istituzione può allora operare come supplenza simbolica, fornendo punti di ancoraggio che aiutino il soggetto a strutturarsi. Questo può avvenire attraverso:

  • Rituali e strutture quotidiane, che diano un riferimento simbolico senza irrigidirsi in pratiche disciplinari.
  • Un lavoro di parola e ascolto, che permetta al soggetto di esprimere il proprio rapporto con l’Altro senza costringerlo in schemi prestabiliti.
  • Uno spazio per l’elaborazione del desiderio, in cui il soggetto possa sperimentare forme di espressione personale.

Come sottolineato da Oury, nel lavoro della clinica istituzionale, la funzione dell’istituzione è quella di costruire un ambiente che dia sostegno simbolico, senza per questo imporsi come una struttura gerarchica rigida.


3. Il gruppo come dispositivo terapeutico e pedagogico

Uno degli strumenti più importanti nella pratica istituzionale della disabilità intellettiva è il gruppo, che può essere un luogo di soggettivazione fondamentale.

Ciaccia e Oury hanno entrambi lavorato sull’idea che il gruppo possa funzionare come un dispositivo capace di accogliere il soggetto, permettendo una rielaborazione del suo rapporto con il desiderio e il godimento. Questo avviene perché il gruppo offre:

  • Uno spazio di parola condivisa, che rompe l’isolamento e permette al soggetto di riconoscersi nell’Altro.
  • Un luogo di identificazione e differenziazione, in cui il soggetto può costruire un posto simbolico senza essere ridotto a una categoria diagnostica.
  • Un ambiente che non impone un modello rigido, ma accoglie la singolarità del soggetto nel suo rapporto con la legge simbolica.

Nel lavoro di gruppo, si evita così la logica dell’"inclusione forzata" tipica di certi modelli educativi, dove il soggetto deve adattarsi a schemi predefiniti, e si lascia invece spazio all’elaborazione del desiderio e del godimento.


4. Il rischio della funzionalizzazione e la lezione di Basaglia

Uno dei pericoli della pratica istituzionale è quello di trasformare la disabilità in una questione di efficienza e adattamento. Come sottolineava Basaglia, l’istituzione rischia di operare secondo una logica di controllo sociale, più che di accoglienza del soggetto.

Questo rischio si manifesta in vari modi:

  • L’ossessione per l’autonomia funzionale, che spinge il soggetto a conformarsi a standard di produttività.
  • La riduzione della disabilità a un problema medico, eliminando la dimensione soggettiva.
  • L’imposizione di obiettivi educativi standardizzati, che non tengono conto della singolarità del soggetto.

Invece, una pratica istituzionale orientata dalla psicoanalisi dovrebbe:

  • Accogliere il soggetto nella sua specificità, senza cercare di renderlo "normale".
  • Creare spazi di espressione, in cui il soggetto possa trovare una propria modalità di essere nel legame sociale.
  • Lavorare sulla dimensione del desiderio, senza ridurre l’intervento educativo a un training comportamentale.


5. L’istituzione come dispositivo di soggettivazione

Seguendo la lezione di Basaglia, Mannoni, Oury e Ciaccia, possiamo pensare l’istituzione non come un luogo di addestramento, ma come uno spazio che permette al soggetto di esistere nel desiderio dell’Altro.

Ciò significa:

  • Non imporre un modello di normalizzazione, ma lasciare spazio alla costruzione soggettiva.
  • Riconoscere il valore del godimento e della singolarità, senza ridurli a un problema di gestione.
  • Sostenere il legame sociale, senza forzare l’inclusione in schemi rigidi.

Recalcati, nella sua elaborazione dell’eredità lacaniana in ambito educativo, sottolinea come l’educazione non debba essere un adattamento del soggetto alla norma, ma un incontro con il desiderio.

L’istituzione, dunque, non è solo un luogo di cura o di educazione, ma un dispositivo di soggettivazione in cui il soggetto con disabilità possa trovare un posto nel mondo senza essere ridotto a un oggetto da gestire.


Bibliografia

  • Basaglia, F. (1968). L'istituzione negata. Torino: Einaudi.
  • Di Ciaccia, A. (2015). La pratica dell’istituzione nel lavoro psicoanalitico. Milano: Mimesis.
  • Lacan, J. (1966). Écrits. Paris: Seuil.
  • Mannoni, M. (1973). Il bambino ritardato e la madre. Torino: Einaudi.
  • Oury, J. (2001). Il collettivo terapeutico. Milano: Raffaello Cortina.
  • Recalcati, M. (2014). L'ora di lezione. Torino: Einaudi.
  • Tosquelles, F. (1986). Psichiatria istituzionale e psicoterapia. Roma: Borla.

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