lunedì 31 marzo 2025

Il Significante Fallico

 Il Significante Fallico




Il Significante Fallico è un concetto fondamentale nella teoria psicoanalitica di Jacques Lacan. Esso non va confuso con l'organo anatomico, bensì rappresenta il significante del desiderio e della mancanza, nonché il punto attorno a cui si strutturano le identificazioni e le dinamiche simboliche del soggetto (Lacan, 1958/2004). Il fallo, in questa prospettiva, funge da elemento centrale nella regolazione delle relazioni tra il soggetto e l'Altro, sia nella dimensione individuale che sociale.


1. Il Fallo come Significante e non come Organo

Lacan distingue nettamente il fallo come significante da qualsiasi riferimento anatomico al pene. Il fallo significante è ciò che circola nel discorso come segno di potere, prestigio e desiderabilità, ma anche come elemento mai definitivamente posseduto. Nessuno ha il fallo in modo definitivo, ma si può tentare di incarnarlo o di rappresentarlo (Lacan, 1973/2001). Questo lo rende un elemento cardine nella costituzione del soggetto e del desiderio.

Nella società contemporanea, il fallo come significante si manifesta attraverso simboli di potere, ricchezza e successo. L'accesso al fallo, o il tentativo di rappresentarlo, si declina in ambiti come il riconoscimento sociale, il successo professionale o l'autoritarismo politico. In questa prospettiva, il significante fallico non è semplicemente un concetto psicoanalitico astratto, ma una chiave interpretativa per comprendere le dinamiche di potere e desiderio nelle strutture sociali.


2. Il Fallo e l'Ordine Simbolico

Il fallo come significante struttura il rapporto del soggetto con il desiderio dell'Altro. In particolare, nella fase edipica, il bambino si confronta con il fallo come oggetto desiderato dalla madre e, attraverso l'intervento della funzione paterna, viene introdotto nell'ordine simbolico (Lacan, 1957/1998). La "castrazione simbolica" è il processo attraverso il quale il soggetto riconosce di non poter essere l'oggetto unico del desiderio materno e interiorizza la Legge del Padre, che separa il soggetto dal godimento immediato e lo inserisce nel campo del linguaggio e delle relazioni sociali (Miller, 1996).

Nella cultura occidentale, questa dinamica si riflette anche nella costruzione dell'identità di genere e nei ruoli sociali. L'incorporazione del significante fallico regola l'accesso al potere e alle relazioni affettive, contribuendo alla strutturazione dell'inconscio e delle interazioni collettive. L'evoluzione del dibattito sulla crisi della mascolinità e sulle nuove forme di femminilità possono essere lette attraverso la lente del significante fallico e delle sue trasformazioni nel discorso sociale.


3. Maschile e Femminile rispetto al Fallo

Lacan introduce le categorie di avere e essere il fallo per descrivere le diverse posizioni rispetto al desiderio:

Il maschile tende a identificarsi con chi ha il fallo, ma vive nel timore della castrazione, ovvero della perdita del fallo immaginario (Lacan, 1975/2005).

Il femminile è nella posizione di chi può essere il fallo per l'Altro, ossia il suo oggetto di desiderio, ma senza mai possederlo davvero.

Queste posizioni non si riducono a una semplice distinzione tra sessi biologici, ma riguardano le strutture simboliche del desiderio e dell'identificazione (Zizek, 1991). Nel contesto sociale attuale, la ridefinizione delle identità di genere e la decostruzione dei ruoli tradizionali mettono in discussione la rigidità di queste posizioni, aprendo a nuove forme di soggettivazione.


4. Il Fallo e la Castrazione Simbolica

Lacan sottolinea che la castrazione non è una perdita di un organo, bensì l'accettazione della mancanza strutturale. Il soggetto che entra nel simbolico deve rinunciare all'illusione di possedere il fallo per poter desiderare e inserirsi nel linguaggio e nelle relazioni sociali (Lacan, 1957/1998). Il fallo significante diventa quindi il centro della dinamica del desiderio e delle identificazioni, un elemento sempre cercato attraverso gli oggetti del desiderio, ma mai pienamente raggiunto, poiché resta sempre nell'Altro come segno di mancanza e promessa allo stesso tempo (Evans, 1996).


5. Critiche Femministe e Queer

Nonostante la sua centralità nella psicoanalisi, il concetto di significante fallico è stato oggetto di critiche da parte delle teorie femministe e queer.

Critiche femministe: Autrici come Luce Irigaray (1985) e Julia Kristeva (1982) hanno contestato l'idea che il fallo sia il centro del desiderio e del potere simbolico, evidenziando come la psicoanalisi lacaniana riproduca una visione patriarcale del linguaggio e della soggettività. Irigaray, in particolare, sottolinea come la femminilità venga definita in relazione alla mancanza del fallo, anziché come un'entità autonoma.

Critiche queer: Teorici come Judith Butler (1990) hanno messo in discussione il binarismo fallico nella strutturazione del soggetto, sostenendo che il genere non è una posizione fissa rispetto al significante fallico, ma una performatività costruita socialmente. Butler critica la rigidità del sistema simbolico lacaniano e propone un'interpretazione più fluida del desiderio e delle identità sessuali, aprendo a nuove forme di agency e soggettivazione al di fuori della logica fallica.

Queste critiche hanno contribuito a una rilettura del significante fallico in chiave meno gerarchica, proponendo modelli più aperti e inclusivi del desiderio e dell'identità. La psicoanalisi contemporanea si confronta oggi con queste prospettive, cercando di integrare le intuizioni lacaniane con una maggiore sensibilità verso la diversità di genere e le dinamiche di potere nel linguaggio.


Bibliografia

Butler, J. (1990). Gender Trouble: Feminism and the Subversion of Identity. Routledge.

Evans, D. (1996). An Introductory Dictionary of Lacanian Psychoanalysis. Routledge.

Irigaray, L. (1985). Speculum of the Other Woman. Cornell University Press.

Kristeva, J. (1982). Powers of Horror: An Essay on Abjection. Columbia University Press.

Lacan, J. (1957/1998). Il seminario, libro V: Le formazioni dell'inconscio. Einaudi.

Lacan, J. (1958/2004). La significazione del fallo. In Scritti. Einaudi.

Lacan, J. (1973/2001). Il seminario, libro XI: I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi. Einaudi.

Zizek, S. (1991). Looking Awry: An Introduction to Jacques Lacan through Popular Culture. MIT Press.





domenica 30 marzo 2025

Godimento Fallico e Godimento Femminile

Godimento Fallico e Godimento Femminile 


Nel Seminario XX - Encore (1972-73), Jacques Lacan introduce una distinzione fondamentale tra godimento fallico e godimento femminile, sottolineando che entrambi non sono rigidamente legati al sesso biologico. Sia uomini che donne possono accedere a entrambi i godimenti, sebbene in modalità differenti.


I. Il godimento fallico

Il godimento fallico (Φ(x)) si organizza attorno alla funzione fallica, regolata dal linguaggio e dalla logica del significante. È il godimento che trova misura e limite nella castrazione simbolica, condizione imprescindibile per l’accesso al desiderio e all’ordine simbolico. Lacan afferma:

> “Il godimento fallico è il solo godimento di cui l’uomo possa parlare” (Encore, p. 9).

Questo godimento è quantificabile e strutturato, inscritto nell’economia del significante e della mancanza. Esso opera secondo un principio di avere/non avere il fallo, che definisce la posizione soggettiva nel rapporto con l’Altro.


II. Il godimento femminile

Lacan introduce il godimento femminile come un godimento che eccede la funzione fallica, senza però negarla. Esso è “un godimento supplementare”, un godimento che va oltre la logica della mancanza e che sfugge alla simbolizzazione completa. Come scrive Lacan:

> “C’è un godimento che è proprio a colei che dice di essere una donna e che è oltre il fallo. Un godimento supplementare. Bisogna crederlo sulla parola di chi lo sperimenta. Non se ne sa nulla” (Encore, p. 69).

Il godimento femminile è associato alla logica del “non-tutto” (pas-tout), che si contrappone alla totalizzazione fallica. Per descriverlo, Lacan fa riferimento all’esperienza mistica, in particolare alla figura di Teresa d’Avila, il cui godimento è descritto come un’esperienza estatica (Encore, p. 71).


III. L’impossibilità del rapporto sessuale: non si può fare 1 di 2 e non si può fare 2 di 1

Questa distinzione tra i godimenti si lega alla doppia impossibilità formulata da Lacan:


1. Non si può fare 1 di 2 → Il rapporto sessuale non si scrive, perché non esiste una proporzione simbolica che articoli il godimento maschile e quello femminile in una relazione di complementarità stabile.


> “Il rapporto sessuale non esiste, poiché non c’è una formula che possa scriverlo” (Encore, p. 92).


2. Non si può fare 2 di 1 → Non si può creare una coppia armonica a partire dall’Uno, perché l’Uno è autosufficiente nel proprio godimento. Lacan sottolinea che l’Uno non ha bisogno dell’Altro per godere. Jean-Claude Milner, in L’Uno tutto solo, approfondisce questa logica, sottolineando come il godimento non trovi una mediazione nell’Altro, ma si configuri come un’esperienza solitaria e non articolabile secondo la logica della complementarità.

Questa doppia impossibilità rompe con l’idea di una complementarità tra i sessi e mostra come il godimento non si articoli in una relazione binaria, ma in una logica che eccede la semplice dualità maschio/femmina. Ogni soggetto si trova così a confrontarsi con il proprio godimento senza garanzie simboliche, inventando singolarmente il proprio modo di rapportarsi all’Altro.


Bibliografia


Lacan, J. (1975). Il Seminario, Libro XX: Encore (1972-1973). Torino: Einaudi.

Soler, C. (2003). Lacan, l’inconscio reinventato. Roma: Borla.

Miller, J.-A., & Di Ciaccia, A. (2012). L’Uno tutto solo. Milano: Raffaello Cortina.

Miller, J.-A. (2000). I paradigmi del godimento. Roma: Astrolabio.




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Complesso di Edipo

 Complesso di Edipo


Il complesso di Edipo secondo Lacan rappresenta una trasformazione fondamentale nella strutturazione del soggetto, in cui la sua identità e desiderio si costituiscono attraverso il passaggio dall’ordine immaginario a quello simbolico. Mentre per Freud il complesso di Edipo è un fenomeno psicologico che riguarda la fase di sviluppo psicosessuale del bambino, Lacan lo ripensa come un processo strutturale che si radica nell’ingresso del soggetto nel linguaggio e nell’ordine simbolico.

1. La Metafora Materna e la Funzione del Desiderio Materno

Lacan introduce il concetto di metafora materna come il primo passaggio nel complesso di Edipo. In questa fase iniziale, il bambino si trova in una relazione simbiotica con la madre, priva di una separazione chiara. Lacan descrive questa condizione come una fase primitiva in cui il soggetto non è ancora separato dal suo oggetto di desiderio, la madre. La relazione con la madre è centrale nel processo di formazione del desiderio, ma questa fusione non può essere mantenuta indefinitamente, poiché la madre rappresenta anche una mancanza che il bambino tenta di colmare. La madre, infatti, diventa simbolicamente il primo “Altro”, ma senza la figura paterna, il bambino rischia di restare prigioniero di un rapporto di simbiosi senza poter sviluppare una propria soggettività.

Lacan parla della madre come dell’oggetto del desiderio, ma questo desiderio è irraggiungibile e non può mai essere pienamente colmato. La madre è, per il bambino, la figura che rappresenta sia il desiderio che la mancanza, ma questa situazione non è sostenibile senza l'intervento simbolico di un terzo elemento, che permetta al bambino di distaccarsi e di entrare nell'ordine del linguaggio (Lacan, Écrits, 1966).

2. L'Intervento del Nome-del-Padre e la Legge della Separazione

L’introduzione della funzione paterna, che Lacan definisce attraverso il concetto di Nome-del-Padre, segna il secondo tempo del complesso di Edipo. Non si tratta del padre come figura concreta, ma come un significante che opera nell'ordine simbolico. Il padre, attraverso la funzione simbolica, rappresenta una Legge che impedisce al bambino di restare intrappolato nel desiderio materno, separandolo dall'oggetto primario e introducendo il principio di castrazione. Lacan definisce questo passaggio come l'ingresso nell'ordine simbolico, dove il bambino deve riconoscere che non può avere accesso completo al desiderio della madre.

Il padre simbolico agisce come un terzo, creando un intervallo tra il bambino e la madre, stabilendo la separazione. Questo atto di separazione non è una privazione fisica, ma un passaggio attraverso il Nome-du-Père, che funge da intervallo tra il bambino e il desiderio materno, creando la struttura del desiderio stesso. Il bambino, quindi, inizia a comprendere che l’oggetto del suo desiderio (la madre) è desiderato da un altro (il padre), e che la sua posizione è quella di un soggetto desiderante, non più un oggetto di desiderio (Lacan, Écrits, 1966).

3. La Castrazione Simbolica e l'Entrata nel Simbolico

Il terzo e ultimo momento del complesso di Edipo riguarda la castrazione simbolica. Questo non è un processo fisico, ma una presa di coscienza da parte del bambino che non può avere accesso illimitato al desiderio della madre. La castrazione simbolica rappresenta la consapevolezza che il desiderio è sempre segnato dalla mancanza. Il soggetto, attraverso questa consapevolezza, entra nel simbolico, un ordine di leggi e significati che regolano il desiderio e la realtà. Lacan definisce questa esperienza come il momento in cui il bambino accetta che il desiderio non possa essere mai completamente soddisfatto e, di conseguenza, si struttura come soggetto desiderante, situato nell’ordine del linguaggio e della cultura.

In questa fase, il soggetto riconosce la propria posizione nella rete simbolica: non è più al centro del desiderio della madre, ma si trova ad essere il soggetto del proprio desiderio. Il complesso di Edipo, quindi, non è semplicemente una questione psicologica di conflitto tra il desiderio di possedere la madre e l'autorità del padre, ma un passaggio cruciale che segna l'accesso del soggetto all'ordine simbolico, attraverso l'accettazione della castrazione come condizione del desiderio e della soggettività. Lacan sottolinea che il soggetto è sempre intrinsecamente segnato dalla mancanza, e il suo desiderio è strutturato proprio da questa assenza (Lacan, Écrits, 1966; Lacan, Le Séminaire, Livre V, 1957-1958).

Conclusioni: Il Complesso di Edipo come Struttura del Desiderio

Il complesso di Edipo, per Lacan, è una condizione fondamentale per la costituzione del soggetto e non si limita a un conflitto familiare, ma rappresenta il passaggio attraverso il quale il soggetto entra nell’ordine simbolico. In questo processo, il desiderio non è qualcosa che può essere completamente soddisfatto, ma è segnato dalla mancanza, che diventa la condizione per l’emergere del soggetto desiderante. Il padre, come significante simbolico, introduce il linguaggio e la Legge, separando il soggetto dalla fusione con la madre e creando la struttura del desiderio che organizza la sua psiche e il suo posto nel mondo sociale.

Bibliografia:

  • Lacan, J. (Écrits: A Selection). 1966.
  • Lacan, J. (Le Séminaire, Livre V: Les Formations de l'inconscient). 1957-1958.
  • Lacan, J. (Écrits). 1966.




Antigone e l’etica del Reale nel Seminario VII di Lacan

 L'Antigone di Sofocle e l’etica del Reale nel Seminario VII di Lacan


Nel Seminario VII – L’etica della psicoanalisi, Lacan affronta il tema dell’etica non nei termini di un codice morale normativo, ma come il rapporto del soggetto con il proprio desiderio. Antigone, figura centrale della tragedia di Sofocle, diventa per Lacan l’emblema del soggetto che non arretra davanti al proprio desiderio, portandolo fino alle estreme conseguenze. La sua vicenda si situa esattamente nel punto in cui il desiderio si scontra con il limite della legge simbolica e con la dimensione del das Ding (la Cosa), concetto chiave del seminario.


Il desiderio assoluto e l’impossibilità della mediazione

Antigone è la figura di chi non si lascia sedurre dai compromessi della legge umana e non cede davanti alla possibilità di salvare la propria vita rinunciando al proprio atto. La sua decisione di dare sepoltura al fratello Polinice, sfidando il decreto di Creonte, non è motivata da un principio etico universale, ma da una fedeltà assoluta al proprio desiderio. Per Lacan, il suo gesto non si colloca nell’ambito del bene, ma piuttosto in quello di una posizione soggettiva estrema che la avvicina al limite del simbolico: "Antigone, nel suo splendore tragico, non rappresenta il bene, ma il desiderio spinto fino al punto di infrangere il limite della legge umana" (Lacan, 1986, p. 325).

Secondo Alenka Zupančič (2000), Antigone incarna l’"etica del reale", ossia la fedeltà a un desiderio che non può essere compromesso né negoziato. Per Zupančič, questa posizione è ciò che rende Antigone una figura paradigmatica dell’etica lacaniana, in contrasto con le concezioni morali tradizionali.


La Cosa e il sublime tragico

Lacan identifica Antigone come un personaggio che incarna il sublime tragico, ossia colui che si avvicina alla Cosa (das Ding), il nucleo di godimento che eccede la regolazione simbolica e che rappresenta il reale impossibile. Il desiderio di Antigone non è soggetto alle leggi della città e non può essere negoziato o attenuato da compromessi. Questa intransigenza è ciò che la rende sublime e allo stesso tempo la conduce inevitabilmente alla morte.

Žižek (2006), in The Parallax View, sviluppa questa lettura lacaniana di Antigone e la collega alla dialettica del potere e della legge, sottolineando come il suo atto riveli una faglia nella struttura dell’ordine simbolico: "Antigone non si oppone semplicemente alla legge dello Stato, ma espone il punto in cui questa legge si rivela inconsistente rispetto al Reale del desiderio" (Žižek, 2006, p. 150).

Joan Copjec (2002) approfondisce questa prospettiva, mostrando come Antigone sia una figura che sfida la concezione patriarcale della legge attraverso la sua posizione di assoluta alterità rispetto al potere sovrano. In Imagine There's No Woman, Copjec analizza il modo in cui la tragedia di Antigone mette in scena un desiderio che eccede le coordinate del simbolico e si avvicina al reale.


L’etica della psicoanalisi e la lezione di Antigone

Lacan propone, attraverso Antigone, un’etica che non è quella della morale kantiana del dovere né quella utilitarista del bene comune, ma un’etica del desiderio. Il problema etico fondamentale per la psicoanalisi è fino a che punto il soggetto è disposto a sostenere il proprio desiderio senza tradirlo. Il desiderio non è semplicemente un impulso da seguire ciecamente, ma una posizione che implica un’assunzione di responsabilità e il confronto con il limite.

Bruce Fink (1995) sottolinea che la posizione di Antigone rivela la tensione tra il soggetto e il simbolico: la sua fedeltà al desiderio la porta a una zona di esclusione che segna il punto di rottura della legge. Secondo Roberto Harari (2001), Antigone non rappresenta solo la ribellione contro la norma, ma l’emergere di un’angoscia fondamentale che deriva dalla sua vicinanza al reale.

Judith Butler e Catherine Malabou (2017) discutono il sublime tragico in Antigone, esplorando come la sua figura possa essere riletta attraverso il prisma della decostruzione e della differenza sessuale. Antigone, in questa prospettiva, non è solo un soggetto etico, ma anche una figura che mette in crisi la stessa nozione di legge simbolica.


Conclusione

Attraverso la lettura di Antigone, Lacan mostra che l’etica della psicoanalisi non è una guida per distinguere il bene dal male, ma una riflessione sulla fedeltà al desiderio. Antigone è la figura che ci insegna che la vera tragedia non è nel destino imposto dall’esterno, ma nella scelta di restare fedeli a ciò che ci definisce come soggetti, anche quando ciò significa sfidare l’ordine stabilito e pagare il prezzo estremo della nostra decisione.


Bibliografia


Butler, J., Malabou, C. (2017). Vous avez dit "sublime"?. Paris: Bayard.

Copjec, J. (2002). Imagine There's No Woman: Ethics and Sublimation. Cambridge, MA: MIT Press.

Fink, B. (1995). The Lacanian Subject: Between Language and Jouissance. Princeton, NJ: Princeton University Press.

Harari, R. (2001). Lacan’s Seminar on Anxiety: An Introduction. New York: Other Press.

Lacan, J. (1986). Il Seminario, Libro VII: L’etica della psicoanalisi (1959-1960). Torino: Einaudi.

Miller, J.-A. (2000), L'Orientation Lacanienne

Recalcati, M. (2013). Il complesso di Telemaco. Milano: Feltrinelli.

Sofocle. (2010). Antigone. Milano: Rizzoli.

Žižek, S. (2006). The Parallax View. Cambridge, MA: MIT Press.

Zupančič, A. (2000). Ethics of the Real: Kant, Lacan. London: Verso.



sabato 29 marzo 2025

Il Ritorno del Nome-del-Padre: Sovranismo, Big Tech e Post-Democrazia nella Crisi della Globalizzazione Neoliberale





Introduzione

Panayotis Kantzas, nelle sue Lezioni Fiorentine (2020), sviluppa un'analisi della crisi contemporanea, evidenziando come il crollo del significante padrone (S1) nel mondo occidentale abbia lasciato un vuoto simbolico che oggi viene riempito da nuove forme di sovranismo, populismo e identitarismo. Questi fenomeni emergono come tentativi di ri-territorializzazione di fronte alla dissoluzione delle strutture politiche e sociali tradizionali sotto l’impatto della globalizzazione neoliberista. Tuttavia, Kantzas sottolinea che questo ritorno del Nome-del-Padre avviene in forme mutate, spesso adattandosi alle nuove condizioni economiche e tecnologiche imposte dal capitalismo digitale.

Il Declino del Nome-del-Padre e la Crisi Occidentale

Lacan (1966) ha individuato nel Nome-del-Padre l'elemento regolatore del campo simbolico e del legame sociale. La sua progressiva dissoluzione ha lasciato spazio a un disordine generalizzato, simile a quello descritto da Marx ed Engels nel Manifesto del Partito Comunista (1848), in cui il capitalismo dissolve ogni legame preesistente. Kantzas (2020) legge questa dinamica in relazione alla crisi della sovranità, sottolineando come l’indebolimento delle istituzioni nazionali abbia favorito una nuova domanda di ordine, spesso declinata in forme reazionarie.

La crisi dell'Occidente si manifesta nella perdita di riferimenti simbolici unificanti, con conseguenze politiche e sociali di ampia portata. L'erosione della sovranità nazionale e l'affermazione di un'economia globalizzata hanno esacerbato il senso di smarrimento collettivo, portando a una ricerca di nuovi significati. Il populismo e il sovranismo si inseriscono in questa dinamica, proponendo un ritorno a strutture di identificazione forti che possano colmare il vuoto lasciato dalla dissoluzione dell'ordine simbolico tradizionale.

Sovranismo e Identitarismo come Nuove Forme del Nome-del-Padre

Il sovranismo si presenta come un tentativo di ripristinare un principio unificante in un mondo che ha perso i suoi riferimenti tradizionali. Questo processo si intreccia con l’identitarismo, che cerca di rafforzare appartenenze collettive in risposta alla frammentazione sociale. Crouch (2004) ha descritto il fenomeno della post-democrazia come una condizione in cui le strutture democratiche esistono formalmente, ma il potere reale è sempre più concentrato nelle mani di élite economiche e tecnologiche.

Il fenomeno del sovranismo non è solo una risposta alla crisi economica, ma anche un effetto della trasformazione del discorso politico. Trump e altri leader populisti hanno capitalizzato sulla crisi del liberalismo globale, promettendo un ritorno a un ordine più stabile, spesso attraverso la retorica della "grandezza nazionale". Kantzas (2020) osserva che questo processo può essere interpretato come un tentativo di ristabilire il Nome-del-Padre in una forma che, sebbene apparentemente restauratrice, è in realtà profondamente mutata e adattata al nuovo contesto mediatico e tecnologico.

Big Tech e la Logica del Capitalismo Digitale

Le grandi multinazionali tecnologiche incarnano la logica dello sviluppo capitalistico nell’era digitale. Negri e Hardt (2000) hanno evidenziato come il capitalismo contemporaneo si basi su una forma di biopolitica che supera i confini degli stati-nazione. Musk, con le sue visioni transumaniste e di colonizzazione spaziale, e Trump, con il suo populismo digitale, rappresentano due lati della stessa medaglia: il tentativo di ridefinire un nuovo ordine globale attraverso strumenti tecnologici e politiche sovraniste.

La logica dello sviluppo capitalistico ha prodotto un'espansione senza precedenti delle Big Tech, che oggi esercitano un controllo senza precedenti sulle economie globali e sulle dinamiche politiche. Il modello economico delle piattaforme digitali ha trasformato il mercato del lavoro, creando una nuova forma di subordinazione basata su algoritmi e intelligenza artificiale. Kantzas (2020) osserva che le Big Tech stanno assumendo un ruolo sempre più simile a quello delle istituzioni tradizionali, ridefinendo il concetto stesso di sovranità economica e politica.

Automazione, Reddito di Cittadinanza e la Sfida della Nuova Politica Democratica

L’automazione, accelerata dallo sviluppo dell’intelligenza artificiale, pone interrogativi fondamentali sulla redistribuzione del reddito e sulla sostenibilità dell’attuale modello economico. Harari (2018) e Mazzucato (2018) hanno discusso la necessità di un nuovo contratto sociale basato su misure come il reddito di cittadinanza. Kantzas (2020) suggerisce che l’unica via per evitare un ritorno autoritario del Nome-del-Padre sia una politica democratica capace di integrare le trasformazioni tecnologiche in una logica di cooperazione internazionale.

L’emergere di nuove forme di lavoro e la crescente automazione rendono necessario un ripensamento del sistema di welfare. La politica democratica occidentale deve affrontare la sfida di bilanciare l’innovazione con la protezione sociale, evitando che la disoccupazione tecnologica alimenti ulteriormente il malcontento populista. Il reddito di cittadinanza potrebbe rappresentare una soluzione parziale, ma deve essere accompagnato da una politica di redistribuzione economica più ampia e da una regolamentazione efficace delle Big Tech.

Conclusione

Il mondo multipolare che emerge dalla crisi della globalizzazione neoliberista impone un ripensamento delle strutture politiche e sociali. Se il sovranismo e l’identitarismo rappresentano risposte reazionarie alla crisi del significante padrone, la sfida della politica democratica occidentale consiste nel risignificare le radici culturali dell’Occidente in un’ottica di coordinazione piuttosto che di subordinazione. Come suggerisce Kantzas (2020), la vera alternativa è costruire un nuovo ordine simbolico capace di integrare innovazione tecnologica e giustizia sociale.


Bibliografia

  1. Badiou, A. (2005). La scienza e la verità. Milano: Feltrinelli.
  2. Crouch, C. (2004). Post-Democracy. Cambridge: Polity Press.
  3. Foucault, M. (1976). La volontà di sapere. Torino: Einaudi.
  4. Harari, Y. N. (2018). 21 Lessons for the 21st Century. New York: Spiegel & Grau.
  5. Kantzas, P. (2011-2025). La polis senza Antigone e senza Creonte: Lezioni FiorentineUnifi Facoltà di Scienze Politiche.
  6. Lacan, J. (1966). Écrits: A Selection. Trad. Alan Sheridan. New York: Norton & Company.
  7. Marx, K., & Engels, F. (1848). Manifesto del Partito Comunista.
  8. Mazzucato, M. (2018). The Value of Everything: Making and Taking in the Global Economy. London: Penguin.
  9. Negri, A., & Hardt, M. (2000). Empire. Cambridge, MA: Harvard University Press.
  10. Zizek, S. (2012). The Year of Dreaming Dangerously. London: Verso.


giovedì 27 marzo 2025

La Logica del Fantasma: Struttura, Funzione e Trasformazione





La logica del fantasma in Lacan si colloca al crocevia tra desiderio, godimento e soggettivazione. Non è solo un concetto teorico, ma un dispositivo che organizza l’esperienza del soggetto e regola il suo rapporto con l’Altro e con l’oggetto del desiderio.

1. Struttura del Fantasma: Il Matema di Lacan

Lacan formalizza il fantasma con il matema:

$◇a

Dove:

$ (soggetto barrato): il soggetto dell’inconscio, segnato dalla mancanza strutturale e dall’impossibilità di coincidere con se stesso. È il soggetto che emerge solo nella relazione con il significante.

a (oggetto piccolo a): la causa del desiderio, ciò che il soggetto cerca nel rapporto con l’Altro, ma che rimane sempre sfuggente. L'oggetto a non è l’oggetto del desiderio in senso classico (qualcosa da possedere), bensì la mancanza incarnata, la parte di godimento perduta che il soggetto cerca di recuperare.

$◇a: la relazione tra il soggetto e l’oggetto a, che è sempre una costruzione fantasmaticamente mediata.


Il fantasma è quindi una matrice attraverso cui il soggetto dà forma al proprio desiderio, evitando il confronto diretto con la mancanza dell’Altro. Esso permette di sostenere il desiderio senza sprofondare nell’angoscia della sua radicale impossibilità.

2. Funzione del Fantasma: Sostegno del Desiderio e Regolazione del Godimento

Il fantasma ha una doppia funzione:

1. Fornisce al soggetto una scena in cui situare il proprio desiderio → Il soggetto si identifica con un certo ruolo nel fantasma, che gli permette di mantenere un rapporto operativo con l’Altro e con il proprio godimento.


2. Regola il godimento → Il fantasma stabilisce i limiti del godimento possibile per il soggetto, evitando un eccesso che porterebbe all’angoscia o al disfacimento dell’identità soggettiva.


Il godimento che il fantasma permette non è mai pieno, ma è sempre parziale, dosato, mediato. Il godimento assoluto, infatti, equivarrebbe all'annullamento del soggetto.


3. Il Fantasma e la Realtà: Un Filtro per il Soggetto

Per Lacan, il fantasma non è un’illusione da cui il soggetto può semplicemente liberarsi. È piuttosto una struttura che dà forma alla sua realtà psichica. Infatti, la realtà soggettiva è sempre una realtà fantasmaticamente filtrata.

Lacan distingue tra:

Realtà simbolica → Il mondo regolato dal significante e dalla Legge dell’Altro.

Realtà immaginaria → La costruzione di senso basata sulle identificazioni e sulle immagini.

Reale → Ciò che eccede il simbolico e l'immaginario, l'impossibile, il punto di frattura della realtà.


Il fantasma funge da interfaccia tra il soggetto e il reale, permettendo al soggetto di avere un rapporto vivibile con il mondo. Tuttavia, quando il fantasma si incrina, il soggetto può trovarsi esposto a un’intrusione del reale, con effetti di angoscia o di scompaginamento psichico.

4. La Traversata del Fantasma: Dall’Identificazione alla Caduta

Il percorso analitico lacaniano mira, tra le altre cose, alla traversata del fantasma (traversée du fantasme). Questo significa:

1. Portare il soggetto a riconoscere il fantasma che struttura il suo desiderio → Il soggetto prende coscienza della sceneggiatura inconscia che ripete nella sua vita.


2. Disidentificarsi dal proprio ruolo fantasmatico → Si tratta di smettere di essere prigionieri della scena fantasmagorica, accettando la propria mancanza senza il bisogno di colmarla con un godimento illusorio.


3. Confrontarsi con il reale al di là del fantasma → Questo può avvenire solo quando il soggetto rinuncia alla ricerca di un oggetto che possa definitivamente completarlo.


Il punto cruciale della traversata del fantasma è che il soggetto non si libera dal desiderio, ma piuttosto cambia il suo rapporto con esso. Non è più schiavo di una sceneggiatura inconscia, ma può assumere un rapporto più libero e meno ripetitivo con il proprio desiderio.


5. Applicazioni della Logica del Fantasma

a) Nella Clinica

Nella clinica, il fantasma si manifesta come un copione ripetitivo che il soggetto mette in scena nelle sue relazioni e nei suoi sintomi. Per esempio, nella nevrosi ossessiva il fantasma è spesso costruito attorno a una relazione di dominio e sottomissione, mentre nell'isteria si articola attorno al desiderio insoddisfatto e alla domanda rivolta all’Altro.

b) Nel Sociale e nella Politica

Si può pensare la logica del fantasma anche su scala collettiva: le ideologie politiche e le narrazioni sociali spesso funzionano come fantasmi che organizzano il desiderio collettivo e regolano il godimento sociale. Per esempio:

Il sogno americano è un fantasma che organizza il desiderio di successo e di realizzazione personale.

Le ideologie totalitarie funzionano come fantasmi che promettono una pienezza immaginaria attraverso l’identificazione con il leader o con la causa.

Il neoliberismo si fonda su un fantasma di godimento infinito attraverso il consumo e il successo individuale.


Questi fantasmi regolano il rapporto tra il soggetto e il potere, tra il desiderio e l’ordine sociale.


Conclusione: La Logica del Fantasma tra Sostegno e Limite

La logica del fantasma è centrale nella teoria lacaniana perché mostra come il soggetto non sia mai in un rapporto diretto con la realtà, ma sempre mediato da una costruzione inconscia. Il fantasma è ciò che dà forma al desiderio, ma è anche ciò che lo imprigiona in una ripetizione.

La traversata del fantasma non significa abolire il desiderio, ma renderlo più fluido, meno subordinato a una sceneggiatura inconscia rigida. È in questo processo che si gioca la possibilità di un cambiamento reale per il soggetto, sia a livello individuale che collettivo.


Edipo Re di Sofocle. La lettura di Lacan





Lacan rielabora il mito di Edipo Re di Sofocle all'interno di un quadro teorico che va oltre la lettura freudiana del complesso di Edipo. Per Freud, il complesso di Edipo è il conflitto che si verifica nell’infanzia, quando il bambino desidera la madre e percepisce il padre come un rivale. In questa visione, la risoluzione del complesso consente al bambino di entrare nell’ordine simbolico e di sviluppare il suo desiderio in modo adeguato. Lacan, tuttavia, rilegge il mito di Edipo come un esempio della struttura del soggetto nel linguaggio, enfatizzando come il desiderio umano sia sempre catturato dal simbolico e dalla mancanza strutturale che lo accompagna.


1. Il destino significante e l'anticipazione simbolica

Lacan sottolinea che la tragedia di Edipo non è solo il risultato di un conflitto edipico, ma il simbolo della condizione del soggetto parlante, che è sempre già strutturato da una rete di significanti. Il destino di Edipo, infatti, è scritto ancor prima della sua nascita, attraverso la profezia che lo condanna a uccidere il padre e sposare la madre. Questo segna l’ingresso del soggetto nel simbolico, dove la sua esistenza è determinata dalla presenza di significanti precedenti alla sua volontà.

Il fatto che Edipo tenti di sfuggire al suo destino, allontanandosi da Corinto, non fa che realizzarlo. La sua azione dimostra che il soggetto non è mai padrone del proprio destino, ma è sempre già immerso in una trama significante che lo precede. Lacan esprime questa idea attraverso il concetto di anticipazione simbolica: il significante del destino (la profezia) struttura la vita del soggetto ancor prima che egli possa prendere una decisione. Il soggetto è sempre "parlato" dal significante, e il suo tentativo di sfuggire a questo destino ne segna la realizzazione.


2. Il Nome-del-Padre e la sua funzione simbolica

Nel mito di Edipo, la figura del padre è centrale. Lacan interpreta il Nome-del-Padre come il significante che introduce il soggetto nell'ordine simbolico, regolando il desiderio e limitando l’accesso alla madre. Il Nome-del-Padre è il principio di castrazione, ossia la separazione del desiderio della madre e la sua incanalamento in un ordine simbolico, che impedisce l’"infinità" del desiderio e favorisce la strutturazione del soggetto come "mancante".

Nel caso di Edipo, la funzione del padre è presente, ma è dislocata. Edipo non sa chi è suo padre, e quindi non può riconoscere la funzione paterna in modo simbolico. Questo disallineamento impedisce a Edipo di entrare pienamente nel simbolico e di riconoscere il proprio desiderio. La sua tragedia non è causata dall'assenza del padre, ma dal fatto che il Nome-del-Padre è "velato" o "occluso" da una catena significante che non gli permette di identificarlo come tale fino al momento della rivelazione.


3. La scoperta del desiderio e la castrazione simbolica

Quando Edipo scopre la verità sulla sua origine, si confronta con la propria castrazione simbolica. La castrazione, per Lacan, non è tanto una perdita fisica, ma un momento fondamentale nella strutturazione del soggetto, un momento in cui il soggetto riconosce di non essere "padrone" del proprio desiderio. La scoperta di Edipo di essere il parricida e l'incestuoso segna il momento in cui si scontra con il limite imposto dal Nome-del-Padre, che è la verità sulla sua mancanza.

Il gesto simbolico di Edipo, che si acceca per punirsi, è il riconoscimento della sua verità come soggetto mancante. La cecità non è solo fisica, ma simbolica: Edipo è "cieco" rispetto al proprio desiderio fino a che non si trova di fronte alla verità tragica. Questo è il momento in cui il soggetto si confronta con la mancanza strutturale che lo costituisce, e l’unica risposta che trova è un gesto di annullamento (l’accecamento).


4. Il sapere e la verità del desiderio

Un altro punto chiave della lettura lacaniana riguarda la relazione tra Edipo e il sapere. Quando Edipo risolve l'enigma della Sfinge, crede di essere in possesso del sapere, ma la verità che rivela non è una verità che il soggetto possiede. Lacan introduce il concetto di soggetto supposto sapere: il soggetto non è mai in grado di possedere completamente il sapere, ma è sempre "parlato" dal sapere dell’Altro. In questo caso, la Sfinge pone un enigma che Edipo risolve correttamente, ma che riguarda direttamente lui: la risposta all’enigma è la descrizione della vita umana, di Edipo stesso. Tuttavia, la verità che Edipo scopre è troppo tardi, e ciò che rivela è solo il senso tragico del suo destino.

Questa scoperta segna il confronto con il vuoto significante, il momento in cui il soggetto, cercando la verità del proprio desiderio, si scontra con una mancanza che non può mai essere colmata. La verità di Edipo non è una verità piena e soddisfacente, ma una verità che lo conduce a una condizione di incompletamento e di accecamento simbolico.


5. Edipo come paradigma del soggetto parlante

Il mito di Edipo, nella lettura lacaniana, non è solo la storia di un conflitto edipico, ma un esempio di come il soggetto si struttura nel linguaggio. Edipo rappresenta il soggetto moderno, quello che cerca la verità sul proprio desiderio, ma che scopre solo la mancanza che lo costituisce. Il suo dramma non è solo quello di aver compiuto il parricidio e l'incesto, ma quello di essere un soggetto che si confronta con la propria condizione di mancanza, senza mai poterla colmare.

Lacan, dunque, legge il mito di Edipo come il paradigma del soggetto che cerca di comprendere il proprio desiderio, ma che, nel farlo, si scontra con una struttura simbolica che lo precede, e che lo limita. La tragedia di Edipo non è tanto la realizzazione di un errore, ma l’inevitabilità di un destino che è scritto nel linguaggio e nel simbolico, ben al di là del controllo o della volontà del soggetto.


Conclusione

La lettura lacaniana di Edipo Re trasforma il mito in una riflessione sulla struttura del desiderio e sul destino del soggetto nel linguaggio. Edipo non è solo un soggetto che cerca di risolvere il proprio complesso di Edipo, ma un soggetto che si confronta con l’impossibilità di affermare un significato definitivo. La sua tragedia è quella di un soggetto che, pur attraversando il simbolico, non riesce mai a riconoscere pienamente il proprio posto in esso, trovando solo la verità della propria mancanza.


Bibliografia:

Lacan tratta di Edipo Re in diversi momenti del suo insegnamento, ma i riferimenti più significativi si trovano nei seguenti seminari e scritti:


1. Seminario III - Le psicosi (1955-1956)

Qui Lacan distingue la forclusione del Nome-del-Padre nelle psicosi dalla dinamica edipica, chiarendo che in Edipo Re il problema non è la forclusione del padre, ma la sua mancata identificazione.


2. Seminario V - Le formazioni dell'inconscio (1957-1958)

Approfondisce il ruolo della funzione paterna e dell’effetto di significante nella costruzione del soggetto. Edipo è un esempio della potenza del significante: il suo destino è scritto nella profezia prima ancora che lui possa determinarlo.


3. Seminario VI - Il desiderio e la sua interpretazione (1958-1959)

È uno dei testi più importanti su Edipo Re. Lacan analizza Edipo come soggetto del desiderio e della mancanza. Mostra come la tragedia di Edipo non sia solo legata alla realizzazione dell'incesto e del parricidio, ma al suo confronto con la verità del proprio desiderio.


4. Seminario VII - L’etica della psicoanalisi (1959-1960)

Qui Lacan collega Edipo alla questione della hybris e del rapporto tra sapere e verità. L'enigma della Sfinge è visto come un momento chiave in cui Edipo crede di sapere, ma in realtà ignora la verità fondamentale su se stesso.


5. Scritti - Il mito individuale del nevrotico (1953)

Anche se non interamente dedicato a Edipo Re, in questo testo Lacan esplora come il mito edipico sia un mito strutturale del soggetto nevrotico, mostrando che la nevrosi riproduce la dinamica del desiderio edipico in una forma sintomatica.


6. Seminario XVII - Il rovescio della psicoanalisi (1969-1970)

Qui Lacan rivede la funzione del Nome-del-Padre e lo rapporta alla logica dei discorsi. Sebbene non si concentri esplicitamente su Edipo, rielabora il modo in cui il potere del padre viene sostituito da nuove forme di organizzazione del desiderio.




martedì 25 marzo 2025

L'Era della Morte del Padre: Considerazioni Filosofico-Psicoanalitiche

 

La "morte del Padre" è un concetto che, pur avendo radici nelle teorie di Freud e Lacan, ha assunto una valenza centrale nell'analisi contemporanea della crisi dei soggetti e dei legami sociali. Nella sua accezione psicoanalitica, la morte del Padre non va intesa come la scomparsa fisica di una figura paterna, ma come il crollo della funzione simbolica che il Padre rappresentava, quella di mediatore tra il desiderio del soggetto e la Legge. Questo crollo ha delle implicazioni devastanti sia sul piano individuale che su quello collettivo.


La Morte del Padre nella Psicoanalisi Lacaniana

Nel pensiero di Lacan, il Padre non è solo una figura familiare, ma una funzione fondamentale all'interno del linguaggio e del simbolico. Il Nome-del-Padre (S1) è il significante che introduce il soggetto nel dominio della Legge, strutturando il suo desiderio e creando una separazione tra il soggetto e il godimento immediato. La sua funzione principale è quella di segnare un limite: il desiderio non può realizzarsi senza una mediazione, senza un "no" che lo distinga dal godimento puro e senza limite.

Tuttavia, il Novecento ha visto una crescente evaporazione di questa figura. Se la crisi del Padre si è manifestata in un primo momento come un allentamento delle funzioni tradizionali della figura paterna (figura di autorità, garante della Legge, simbolo di protezione), oggi si è trasformata in un vero e proprio "vuoto" simbolico. Lacan, infatti, parlava già degli anni '70 di una progressiva "evaporazione" del Nome-del-Padre. Questo vuoto ha delle ricadute devastanti: l’individuo, privo di un punto di riferimento simbolico stabile, si trova ad affrontare una società senza confini, dove il godimento non è più mediato dalla Legge.


L'Impasse Contemporaneo: Frammentazione e Separazione

La morte del Padre ha determinato un cambiamento radicale nelle strutture sociali e psicologiche. Se, un tempo, il Padre era il mediatore attraverso cui la Legge veniva interiorizzata e il desiderio veniva canalizzato, oggi assistiamo a una frammentazione del legame sociale. La Legge non è più garantita da un'autorità centrale, e i soggetti si trovano a navigare in un mondo in cui le risposte "facili" sono offerte da nuovi "padri" autoritari, che non sono in grado di instaurare un vero legame simbolico ma che si propongono come salvatori dalla solitudine e dal caos.

La segregazione diventa una delle modalità di risposta a questo vuoto. I soggetti si rifugiano in identità rigide, in gruppi che ricostruiscono mitologie di appartenenza, cercando nella segregazione una forma di protezione dal vuoto simbolico. Il risultato è una serie di individui intrappolati in identità collettive che non sono in grado di elaborare un desiderio individuale ma che si limitano a ripetere modelli precostituiti, a volte autoritari e reazionari.


La Filosofia Contemporanea e la Morte del Padre

Anche nella filosofia contemporanea, la morte del Padre trova una sua eco. Da un lato, la morte del Padre è il segno della fine della metafisica tradizionale, che ha trovato nel concetto di "Essere" e nell'ordine simbolico una struttura unificante del sapere e dell’esistenza. Heidegger ha parlato della "morte di Dio" e della fine della metafisica, ma la sua diagnosi si inserisce in un quadro che Lacan avrebbe definito come l'evaporazione del Nome-del-Padre.

D'altro canto, la fine della funzione paterna non implica solo il tramonto di un ordine simbolico ma, come sottolineato anche da autori come Derrida, una dissoluzione del concetto stesso di autorità. Nella nostra epoca, l’idea di "padre" è divenuta ambigua e spesso mal vista, come simbolo di oppressione e rigidezza, mentre il nuovo "padre" autoritario che emerge in alcune correnti politiche e sociali sembra riflettere un ritorno alla legge, ma in una forma regressiva e paternalistica.

In questo contesto, la figura del padre diventa problematica: non è più un riferimento positivo, ma piuttosto un simbolo di controllo e dominio. Da qui la domanda filosofica e psicoanalitica: come ricostruire un ordine simbolico che non sia fondato su autorità oppressive, ma che permetta al soggetto di confrontarsi con il proprio desiderio senza essere sopraffatto dal godimento?


Tra Morte e Rinascita: La Sfida del Soggetto Contemporaneo

In questa "era della morte del Padre", la vera sfida per il soggetto moderno è comprendere come navigare nel vuoto simbolico lasciato dalla caduta delle strutture tradizionali. Se la morte del Padre implica la fine di una forma di legame sociale stabilita, essa apre anche uno spazio per la ricostruzione di un nuovo ordine simbolico. Tuttavia, la ricostruzione non può avvenire in modo semplice o lineare. Essa richiede la capacità di trovare un nuovo equilibrio tra desiderio e legge, senza cadere nel ricorso a forme autoritarie o rigide.

Un possibile punto di partenza è un ritorno al concetto lacaniano di significante padrone (S1): un significante che non annulli il desiderio, ma lo orienti, permettendo al soggetto di strutturarsi senza essere sopraffatto dal caos del godimento. È la funzione di un nuovo "Padre", che non si impone attraverso il controllo, ma che offre un orizzonte simbolico capace di raccogliere le frammentazioni del soggetto.

In sintesi, l’era della morte del Padre ci pone di fronte a una nuova sfida: quella di pensare e costruire un ordine simbolico che non sia fondato sulla figura autoritaria, ma che permetta comunque al soggetto di orientarsi nel proprio desiderio e nella propria posizione sociale. La psicoanalisi, in questo scenario, deve continuare a esplorare le implicazioni della morte del Padre, senza cadere nella nostalgia del passato o nel rischio di cedere alla tentazione di un ritorno a forme autoritarie. La vera libertà, nel contesto contemporaneo, potrebbe essere proprio la capacità di riscrivere la Legge, non come un ritorno al passato, ma come una creazione che sappia dare forma al desiderio senza soffocarlo.



lunedì 24 marzo 2025

Pratica Istituzionale della Disabilità Intellettiva in una Prospettiva Lacaniana


 




L’approccio istituzionale alla disabilità intellettiva, quando orientato dalla psicoanalisi lacaniana, si distanzia dai modelli meramente riabilitativi o comportamentali, per situarsi in un'ottica che riconosce il soggetto nel suo rapporto con il desiderio e il godimento. Il lavoro di Antonio Ciaccia, unito a quello di Basaglia, Mannoni, Oury e Recalcati, fornisce strumenti fondamentali per pensare l’istituzione non come luogo di normalizzazione, ma come spazio di soggettivazione.


1. L’istituzione come luogo di ospitalità piuttosto che di adattamento

La psichiatria istituzionale classica e i modelli educativi tradizionali tendono a inscrivere il soggetto con disabilità in un discorso normalizzante, dove l’obiettivo è il massimo adattamento possibile alle norme sociali.

Basaglia, nel suo lavoro di critica alla psichiatria manicomiale, ha mostrato come l’istituzione possa facilmente diventare un dispositivo di segregazione, più che di cura o educazione. La lezione di Basaglia è stata ripresa in ambito educativo da Mannoni, che ha messo in evidenza come il bambino con disabilità intellettiva non debba essere considerato solo in termini di deficit, ma piuttosto rispetto alla sua posizione soggettiva nel legame con l’Altro.

In questa prospettiva, l’istituzione può funzionare secondo due logiche:

  1. Una logica di normalizzazione, che cerca di eliminare le differenze e rendere il soggetto "funzionale".
  2. Una logica di ospitalità basagliana, che accoglie il "resto inassimilabile" del soggetto e ne permette l’emergere.

Seguendo la seconda prospettiva, l’istituzione si configura non come un luogo di addestramento sociale, ma come un contesto in cui il soggetto possa trovare un posto nel legame sociale senza essere ridotto alla sua disabilità.


2. Supplenza simbolica e Nome-del-Padre nella disabilità intellettiva

Nell’esperienza istituzionale, spesso emerge che il soggetto con disabilità intellettiva fatica a situarsi nel registro simbolico. Recalcati, riprendendo Lacan, ha sottolineato come, in alcuni casi, la disabilità intellettiva sia associata a una carente trasmissione del Nome-del-Padre, che lascia il soggetto in una condizione di smarrimento rispetto alla legge simbolica e al desiderio.

L’istituzione può allora operare come supplenza simbolica, fornendo punti di ancoraggio che aiutino il soggetto a strutturarsi. Questo può avvenire attraverso:

  • Rituali e strutture quotidiane, che diano un riferimento simbolico senza irrigidirsi in pratiche disciplinari.
  • Un lavoro di parola e ascolto, che permetta al soggetto di esprimere il proprio rapporto con l’Altro senza costringerlo in schemi prestabiliti.
  • Uno spazio per l’elaborazione del desiderio, in cui il soggetto possa sperimentare forme di espressione personale.

Come sottolineato da Oury, nel lavoro della clinica istituzionale, la funzione dell’istituzione è quella di costruire un ambiente che dia sostegno simbolico, senza per questo imporsi come una struttura gerarchica rigida.


3. Il gruppo come dispositivo terapeutico e pedagogico

Uno degli strumenti più importanti nella pratica istituzionale della disabilità intellettiva è il gruppo, che può essere un luogo di soggettivazione fondamentale.

Ciaccia e Oury hanno entrambi lavorato sull’idea che il gruppo possa funzionare come un dispositivo capace di accogliere il soggetto, permettendo una rielaborazione del suo rapporto con il desiderio e il godimento. Questo avviene perché il gruppo offre:

  • Uno spazio di parola condivisa, che rompe l’isolamento e permette al soggetto di riconoscersi nell’Altro.
  • Un luogo di identificazione e differenziazione, in cui il soggetto può costruire un posto simbolico senza essere ridotto a una categoria diagnostica.
  • Un ambiente che non impone un modello rigido, ma accoglie la singolarità del soggetto nel suo rapporto con la legge simbolica.

Nel lavoro di gruppo, si evita così la logica dell’"inclusione forzata" tipica di certi modelli educativi, dove il soggetto deve adattarsi a schemi predefiniti, e si lascia invece spazio all’elaborazione del desiderio e del godimento.


4. Il rischio della funzionalizzazione e la lezione di Basaglia

Uno dei pericoli della pratica istituzionale è quello di trasformare la disabilità in una questione di efficienza e adattamento. Come sottolineava Basaglia, l’istituzione rischia di operare secondo una logica di controllo sociale, più che di accoglienza del soggetto.

Questo rischio si manifesta in vari modi:

  • L’ossessione per l’autonomia funzionale, che spinge il soggetto a conformarsi a standard di produttività.
  • La riduzione della disabilità a un problema medico, eliminando la dimensione soggettiva.
  • L’imposizione di obiettivi educativi standardizzati, che non tengono conto della singolarità del soggetto.

Invece, una pratica istituzionale orientata dalla psicoanalisi dovrebbe:

  • Accogliere il soggetto nella sua specificità, senza cercare di renderlo "normale".
  • Creare spazi di espressione, in cui il soggetto possa trovare una propria modalità di essere nel legame sociale.
  • Lavorare sulla dimensione del desiderio, senza ridurre l’intervento educativo a un training comportamentale.

5. L’istituzione come dispositivo di soggettivazione

Seguendo la lezione di Basaglia, Mannoni, Oury e Ciaccia, possiamo pensare l’istituzione non come un luogo di addestramento, ma come uno spazio che permette al soggetto di esistere nel desiderio dell’Altro.

Ciò significa:

  • Non imporre un modello di normalizzazione, ma lasciare spazio alla costruzione soggettiva.
  • Riconoscere il valore del godimento e della singolarità, senza ridurli a un problema di gestione.
  • Sostenere il legame sociale, senza forzare l’inclusione in schemi rigidi.

Recalcati, nella sua elaborazione dell’eredità lacaniana in ambito educativo, sottolinea come l’educazione non debba essere un adattamento del soggetto alla norma, ma un incontro con il desiderio.

L’istituzione, dunque, non è solo un luogo di cura o di educazione, ma un dispositivo di soggettivazione in cui il soggetto con disabilità possa trovare un posto nel mondo senza essere ridotto a un oggetto da gestire.


Bibliografia

  • Basaglia, F. (1968). L'istituzione negata. Torino: Einaudi.
  • Di Ciaccia, A. (2015). La pratica dell’istituzione nel lavoro psicoanalitico. Milano: Mimesis.
  • Lacan, J. (1966). Écrits. Paris: Seuil.
  • Mannoni, M. (1973). Il bambino ritardato e la madre. Torino: Einaudi.
  • Oury, J. (2001). Il collettivo terapeutico. Milano: Raffaello Cortina.
  • Recalcati, M. (2014). L'ora di lezione. Torino: Einaudi.
  • Tosquelles, F. (1986). Psichiatria istituzionale e psicoterapia. Roma: Borla.

domenica 23 marzo 2025

Metafisica Occidentale e Risignificazione Psicoanalitica





La metafisica subordinativa occidentale è il frutto di una lunga tradizione filosofica che ha cercato di risolvere, rappresentare e ordinare la realtà attraverso un principio che subordinasse l'individuo o il mondo a un ordine superiore, trascendente, razionale o simbolico. Nel corso della storia della filosofia, questa subordinazione ha assunto forme diverse, ma ha sempre implicato una limitazione del soggetto e della sua libertà in favore di un ordine più ampio. In questo percorso, la metafisica occidentale si è confrontata con il Reale e con il resto (ciò che sfugge all’ordine simbolico), e questo confronto diventa centrale nella risignificazione psicoanalitica proposta da Lacan.

1. Le Origini: I Presocratici e Platone

Nei Presocratici, la subordinazione si manifesta nel tentativo di identificare un principio unico e universale che regolasse l'universo. Per Eraclito, questo principio era il Logos, una legge che subordinava l'intero flusso di eventi, creando un ordine. Ma c’era anche un altro aspetto, legato al resto: l’idea che il Logos potesse essere inaccessibile o parzialmente comprensibile. Anche per Parmeneide, la realtà è subordinata a un principio dell’essere che rifiuta la molteplicità, ma il suo pensiero lascia intendere un resto: l’impossibilità di pensare pienamente l'essere e il non-essere.

In Platone, la subordinazione è legata all'idea delle Idee. Il mondo sensibile è subordinato al mondo delle Idee, ma le Idee sono incompletable, ci sfuggono, lasciando dietro di sé un vuoto o un resto. Platone non può rendere completa la conoscenza del mondo delle Idee e lascia un aspetto inaccessibile, qualcosa che non può essere pensato. Questa tensione tra il principio subordinato e il resto diventa un tema ricorrente.

2. Aristotele: Subordinazione e Finalismo

Per Aristotele, la subordinazione si configura in termini di causa finale. L’universo è subordinato a un fine naturale e ogni ente ha una funzione in un ordine teleologico. Ma anche qui emerge il resto: la molteplicità della realtà non può essere completamente ridotta a un principio finale e la percezione dell’ordine stesso lascia spazio a quello che non può essere compreso del tutto. La causa finale rimane, in certo senso, impenetrabile e sfuggente.

3. Il Medioevo: Subordinazione al Divino

Nel pensiero medievale, la subordinazione raggiunge la sua espressione più forte con l’affermazione di un ordine divino che governa il mondo. Tommaso d’Aquino afferma che l’uomo è subordinato alla volontà divina e al disegno divino. L’uomo, il mondo e l’universo sono subordinati all’essere di Dio. Tuttavia, in questo schema esiste sempre qualcosa che rimane incomprensibile o misterioso: il resto. Il mistero di Dio, la sua volontà, è sempre al di là della comprensione umana, creando una tensione tra ciò che è conoscibile e ciò che sfugge.

4. La Modernità: Razionalità e Limiti della Conoscenza

Con la modernità, la subordinazione si sposta dalla sfera teologica a quella razionale. In Cartesio, l’individuo è subordinato alla ragione come fondamento della conoscenza certa. La ragione è il criterio che permette di risolvere l’incertezza. Tuttavia, anche per Cartesio, vi è un resto: il dubbio cartesiano, la consapevolezza che non è possibile afferrare tutto con certezza, ma solo quella porzione di realtà che la ragione può chiaramente percepire. Il Reale rimane una parte sconosciuta, esterna alla ragione.

Nel pensiero di Kant, la subordinazione del soggetto si manifesta nelle strutture a priori che filtrano la realtà. L'uomo è subordinato a categorie che organizzano l'esperienza, ma il Reale (il noumeno) resta al di fuori del nostro accesso diretto, irraggiungibile, e rappresenta proprio il resto che sfugge al nostro sistema di conoscenza. Per Kant, il soggetto è sempre limitato e subordinato a un sistema di rappresentazioni che non può mai completamente cogliere la realtà in sé.

5. Filosofia Contemporanea: Il Linguaggio e la Subordinazione al Simbolico

Nel pensiero contemporaneo, il linguaggio e il simbolico diventano il luogo della subordinazione. Heidegger pone l’accento sul fatto che l'uomo è subordinato al linguaggio e al tempo. Il linguaggio non è un semplice strumento del pensiero, ma lo struttura e lo limita. Anche il rapporto con l’essere è subordinato a una rivelazione frammentaria e storica che non consente una comprensione totale. In questo quadro, il Reale resta fuori dalla nostra portata, come un "essere" che non può mai essere completamente afferrato dal soggetto umano.

Nietzsche rovescia il concetto di subordinazione: l’individuo deve rompere con ogni tipo di ordine trascendente o razionale, in un atto di affermazione della propria volontà di potenza. Tuttavia, la volontà di potenza non è mai totalmente libera; è sempre subordinata a conflitti, desideri e tensioni. Il Reale in Nietzsche è la lotta per il potere, un potere che sfugge sempre alla completa realizzazione, rimanendo in una costante dialettica di affermazione e negazione.

6. Lacan: Subordinazione al Significante e al Linguaggio

In Lacan, la metafisica subordinativa prende una forma radicalmente nuova. Il soggetto è subordinato al linguaggio e ai significanti che lo costituiscono. Il S1 (significante padrone) diventa il concetto centrale: l’individuo è sempre sotto il dominio di un significante che precede la sua esperienza e lo struttura, dando forma al suo inconscio. La subordinazione lacaniana non riguarda solo un principio ontologico o razionale, ma è un effetto della relazione simbolica in cui il soggetto è intrappolato. Il Reale, per Lacan, è ciò che sfugge a questa simbolizzazione: è l’aspetto del mondo che non può essere interamente ridotto al linguaggio o al significante.

Il resto per Lacan è ciò che non può essere detto, ciò che il linguaggio non può esprimere, ma che comunque si manifesta nel desiderio, nei sintomi e nelle lacune del significante. Il soggetto è sempre intrappolato tra il simbolico (ciò che è rappresentabile) e il Reale (ciò che sfugge), e la sua esistenza è definita proprio da questa tensione tra ciò che può essere detto e ciò che resta taciuto, tra il simbolico e l’impossibile.

7. Conclusioni: Persistenza della Subordinazione e Il Reale

Nel corso della storia della filosofia, la subordinazione è sempre stata una parte integrante del modo in cui l’uomo ha cercato di comprendere e orientarsi nel mondo. Se la metafisica occidentale ha cercato di subordinare l’individuo e la realtà a principi trascendenti, razionali o simbolici, il pensiero contemporaneo e la psicoanalisi lacaniana rivelano che questa subordinazione non è mai completa. Il Reale sfugge sempre alla totalizzazione simbolica e lascia un resto che non può essere ridotto a un ordine razionale o linguistico.

La metafisica subordinativa occidentale, quindi, può essere vista come la storia di un tentativo costante di fare i conti con il Reale senza abolire il principio subordinativo, ma riconoscendo che esiste sempre una parte di realtà che rimane fuori dalla nostra portata, un resto che non possiamo simbolizzare o rappresentare completamente.

Bibliografia:

  1. Platone, La Repubblica.
  2. Aristotele, Metafisica.
  3. Tommaso d'Aquino, Somma Teologica.
  4. René Descartes, Meditazioni metafisiche.
  5. Immanuel Kant, Critica della ragion pura.
  6. Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello spirito.
  7. Martin Heidegger, Essere e tempo.
  8. Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra.
  9. Jacques Lacan, Écrits.
  10. Panayotis Kantzas, Il Seminario permanente. "La polis senza Creonte e senza Antigone. La politica senza Legge e senza Desiderio" 2012-2017

mercoledì 19 marzo 2025

L'evaporazione del Nome-del-Padre




Lacan descrive l’evaporazione del Nome-del-Padre come il declino della funzione simbolica che per secoli ha ordinato il desiderio e garantito la coesione del legame sociale. Non si tratta di una semplice scomparsa, ma di una trasformazione profonda: il Nome-del-Padre perde il suo carattere unificante, lasciando il soggetto privo di un riferimento stabile. Questo genera disorientamento e apre la strada a nuove modalità di organizzazione del sociale, spesso caratterizzate da segregazione e da un godimento slegato da un ordine comune.

1. La crisi del legame sociale e la segregazione

Lacan individua nella segregazione una delle principali conseguenze di questa crisi. Venendo meno un significante universale capace di tenere insieme le differenze, il sociale si riorganizza in gruppi chiusi basati su appartenenze etniche, religiose o ideologiche. Se da un lato questo risponde al bisogno di identificazione, dall’altro produce rigidità e conflitti, impedendo un legame fondato sulla coordinazione piuttosto che sulla subordinazione.

Parallelamente, il controllo sociale si sposta dalla Legge simbolica a forme più impersonali di regolazione: la burocrazia, la tecnologia e l’economia diventano i nuovi dispositivi che organizzano il vivere collettivo, ma senza offrire un punto di riferimento simbolico capace di orientare il desiderio.

2. Le supplenze al Nome-del-Padre

L’evaporazione del Nome-del-Padre non lascia un vuoto assoluto, ma fa emergere diverse supplenze, che tentano di colmare l’assenza di un principio ordinatore:

  • Identitarie: l’appartenenza a gruppi ideologici, nazionali o religiosi assume una funzione totalizzante, offrendo un punto di riferimento rigido e dogmatico.
  • Tecnocratiche: il sociale viene regolato attraverso il controllo amministrativo e algoritmico, che governa i soggetti come utenti piuttosto che come desideranti.
  • Sintomatiche: il soggetto, privo di un ordine simbolico chiaro, si appoggia su sintomi individuali e collettivi (dipendenze, consumi compulsivi, ossessioni identitarie) per trovare un punto di tenuta.

3. Il discorso analitico come alternativa

Lacan non propone di restaurare il Nome-del-Padre nelle sue forme tradizionali, ma individua nel discorso analitico una possibile via di supplenza:

  • Non impone un nuovo significante padrone universale, ma sostiene l’elaborazione singolare del desiderio.
  • Non si basa sulla segregazione, ma su una logica di coordinazione tra differenze, evitando sia l’omogeneizzazione forzata sia la frammentazione radicale.

Il discorso analitico, quindi, non offre un nuovo Nome-del-Padre nel senso classico, ma permette al soggetto di costruire un rapporto con il desiderio che non dipenda da un’autorità imposta dall’alto.

4. Verso nuovi Nomi-del-Padre?

L’evaporazione del Nome-del-Padre non implica la sua scomparsa definitiva, ma la necessità di ripensarne la funzione. La sfida del presente è trovare nuovi modi per organizzare il legame sociale, senza cadere né nella nostalgia di un’autorità perduta né nella dissoluzione completa del simbolico. Se emergeranno nuovi Nomi-del-Padre, essi dovranno essere capaci di coniugare libertà e appartenenza, creando legami che coordinino le differenze senza ridurle a una logica di esclusione o dominio.

lunedì 17 marzo 2025

Risignificazione Psicoanalitica Cultura Cattolica




Il cattolicesimo, oltre a essere un sistema di credenze, può essere inteso come un dispositivo simbolico che ordina il desiderio e regola il rapporto con la Legge, la colpa e il godimento. La psicoanalisi, soprattutto nella prospettiva lacaniana, permette di cogliere le tensioni interne a questa cultura, mettendo in luce le sue potenzialità trasformative e i suoi rischi di rigidità dogmatica. Una risignificazione psicoanalitica della cultura cattolica non mira a delegittimarla, ma a riconoscerne le strutture profonde, per comprendere come essa incida sulla soggettività e sulle dinamiche collettive.

1. Il Nome-del-Padre tra Simbolico e Godimento

Il cattolicesimo ha sempre costruito la sua struttura simbolica attorno alla figura del Padre, ma con una peculiarità rispetto ad altre tradizioni religiose: il Padre si incarna nel Figlio e si offre in sacrificio. Questo introduce una complessità che Lacan avrebbe potuto leggere come una tensione tra la funzione simbolica del Nome-del-Padre e l’irruzione del godimento.

• Nome-del-Padre e Legge: Tradizionalmente, il Nome-del-Padre è la funzione che introduce il soggetto nel simbolico, limitando il godimento e organizzando il desiderio. Nel cattolicesimo, questa funzione non si presenta solo come interdizione, ma anche come un gesto d’amore (il sacrificio del Figlio).

• Il Cristo come "Padre sacrificato": Gesù, in quanto incarnazione del Padre, introduce un elemento paradossale: la Legge non si impone solo dall’alto, ma si fa carne e sofferenza. Questo può essere letto come un tentativo di integrare il godimento nella funzione paterna, senza però eliminarne la tensione.

• Il rischio dell’integralismo: Se il Nome-del-Padre viene assolutizzato, si cade in una dimensione integralista, dove la Legge diventa totalitaria e impedisce la dialettica del desiderio. D'altra parte, se il Padre si dissolve del tutto, si apre un vuoto che può essere riempito da fantasmi di godimento senza limite (da qui l’angoscia dell’uomo moderno di fronte alla perdita dei grandi riferimenti simbolici).

2. Il Peccato Originale e la Struttura della Colpa

Uno degli elementi più distintivi della cultura cattolica è la centralità del peccato originale, che introduce il soggetto in una dimensione di mancanza originaria e colpa strutturale.

• Il peccato come mancanza simbolica: In chiave psicoanalitica, il peccato originale può essere letto come una metafora della castrazione simbolica: il soggetto si scopre mancante, non autosufficiente, sempre in debito rispetto a un Altro che lo precede.

• Colpa e desiderio: Il cattolicesimo struttura questa mancanza attraverso il senso di colpa, ma offre anche dispositivi di reinscrizione simbolica come la confessione e il perdono. Questi atti funzionano come momenti di rielaborazione soggettiva, evitando che la colpa diventi un puro peso superegoico.

• Il rischio di un super-io opprimente: Se la colpa viene gestita rigidamente, il cattolicesimo può alimentare una dinamica di super-io feroce, che spinge il soggetto a un godimento colpevolizzante e masochistico (vedi certe pratiche ascetiche estreme). Ma nella sua forma più vitale, la colpa cattolica può invece trasformarsi in un dispositivo di elaborazione della mancanza, aprendo a una relazione più etica con il desiderio.

3. La Chiesa e il Corpo Mistico: un Simbolico Senza Totalità?

Il cattolicesimo ha una visione comunitaria che si esprime nella nozione di Chiesa come "corpo mistico". Questo concetto può essere letto come un tentativo di costruire un Uno che non sia una pura totalizzazione, ma che mantenga una dimensione di alterità interna.

• Chiesa e legame sociale: In chiave lacaniana, la Chiesa può essere vista come una formazione discorsiva che permette l’articolazione del soggetto all’interno di un ordine simbolico. Se essa funziona come un luogo di ospitalità per la mancanza, può diventare uno spazio di soggettivazione.

• Il rischio della chiusura identitaria: Quando la Chiesa si irrigidisce in una logica identitaria e difensiva, rischia di perdere questa funzione simbolica e di trasformarsi in un S1 assoluto, che non ammette il conflitto e la differenza.

• Verso una comunità non feticista: La sfida della cultura cattolica oggi potrebbe essere quella di mantenere una dimensione comunitaria senza cadere in un’autorità monolitica, trovando forme di mediazione che consentano la dialettica tra l’Uno e la molteplicità.

4. Mistica e Godimento Femminile: un'Alternativa alla Legge Paterna?

Un elemento poco esplorato nella cultura cattolica è il ruolo della mistica, che sembra aprire a un’esperienza del godimento diversa da quella regolata dalla funzione paterna.

• Il godimento mistico: Nella mistica cristiana, troviamo testimonianze di un rapporto con il divino che eccede la logica fallica del Nome-del-Padre. Figure come Teresa d’Avila o Giovanni della Croce descrivono un’esperienza di fusione con Dio che sembra avvicinarsi al godimento femminile teorizzato da Lacan: un godimento non tutto inscritto nel simbolico, che sfugge alla pura opposizione tra legge e trasgressione.

• Una via d’uscita dall’autoritarismo religioso?: Se il cattolicesimo ha sempre oscillato tra il rigore della Legge e l’eccesso del godimento, la mistica potrebbe offrire una terza via, che non nega il simbolico ma lo apre a una dimensione di alterità irriducibile. In questo senso, una risignificazione della mistica potrebbe rappresentare una possibilità di rinnovamento per la cultura cattolica.

Conclusione: Verso un Cattolicesimo Senza Feticizzazione dell’Uno?

Una risignificazione psicoanalitica della cultura cattolica non significa né rifiutarla né aderire acriticamente ai suoi dogmi, ma coglierne le tensioni interne e le potenzialità.

• Oltre l’integralismo e il nichilismo: Da un lato, il cattolicesimo rischia di feticizzare l’S1, irrigidendosi in una struttura dogmatica chiusa. Dall’altro, la sua dissoluzione nel relativismo potrebbe portare alla perdita del legame simbolico.

• Una cultura dell’ospitalità della mancanza: Il cattolicesimo potrebbe trovare una nuova vitalità proprio accogliendo la sua dimensione paradossale: un simbolico che non si chiude in un Uno totalizzante, ma che lascia spazio al desiderio, alla colpa elaborata e a un godimento non esclusivamente fallico.

• Se il cattolicesimo vuole restare un luogo significativo nella contemporaneità, potrebbe smettere di cercare un ritorno nostalgico all’ordine e accettare di essere una cultura della mancanza, della relazione e della dialettica tra simbolico e godimento.

Questa lettura apre alla possibilità di un cattolicesimo non più come dispositivo di potere chiuso, ma come spazio simbolico aperto alla risignificazione del soggetto nel legame con l’Altro. 


Bibliografia 

  • Freud, S. (1927). L’avvenire di un’illusione. Bollati Boringhieri.
  • Freud, S. (1930). Il disagio della civiltà. Bollati Boringhieri.
  • Lacan, J. (1966). Écrits. Seuil.
  • Lacan, J. (1973). Le Séminaire, Livre XI: Les quatre concepts fondamentaux de la psychanalyse. Seuil.
  • Lacan, J. (1972-73). Le Séminaire, Livre XX: Encore. Seuil.
  • Mannoni, M. (1979). La psicoanalisi tra scienza e religione. Einaudi.
  • Certeau, M. de (1982). La fable mystique. Gallimard.
  • Recalcati, M. (2010). Cosa resta del padre?. Raffaello Cortina.
  • Agamben, G. (2012). Il mistero del male. Laterza.
  • Esposito, R. (2013). Due: La macchina della teologia politica e il posto del pensiero. Einaudi.
  • Panayotis Kantzas, "Lezioni fiorentine. Legge e desiderio tra Oriente e Occidente", Unifi, Facoltà di Scienze Politiche, panayotis kantzas lezioni fiorentine - Cerca con Google

sabato 15 marzo 2025

Risignificazione psicoanalitica nella cultura giapponese

Risignificazione psicoanalitica nella cultura giapponese



La risignificazione nella cultura giapponese è un processo complesso che coinvolge tradizione, modernità e trasformazioni simboliche, un tema che può essere letto anche attraverso la lente della psicoanalisi. Lacan sottolinea il ruolo del Nome-del-Padre nella strutturazione del soggetto e dell’ordine simbolico; in Giappone, il confronto tra la tradizione e le influenze moderne ha generato un'evaporazione parziale di questo significante, portando a nuove forme di soggettività e rielaborazione simbolica.

1. La figura del padre e la sua risignificazione

Nella società giapponese tradizionale, la figura paterna era il fulcro della gerarchia familiare e sociale, rappresentando un’autorità quasi assoluta. Questo richiama la funzione del Nome-del-Padre come elemento regolatore dell’ordine simbolico. Tuttavia, la modernizzazione ha portato a un indebolimento di questa figura, creando un vuoto simbolico simile a quello osservato nelle società occidentali.

Lacan descrive l'evaporazione del Nome-del-Padre come una crisi del significante che garantisce la stabilità soggettiva e sociale. In Giappone, il padre contemporaneo si trova tra due tensioni: da un lato, il peso della tradizione che lo vuole garante dell'armonia familiare e sociale; dall’altro, la richiesta di una maggiore apertura affettiva e partecipazione alla vita emotiva della famiglia. Questo slittamento genera una nuova configurazione del desiderio e della legge, che può portare a esiti sia nevrotici (conflitto tra dovere e desiderio) sia sintomatici (alienazione dal ruolo tradizionale).

2. Il concetto di "Kokoro" e la costruzione dell'identità soggettiva

Il concetto giapponese di kokoro (心), che indica cuore, mente e spirito, ha un legame con la formazione dell’identità soggettiva. In chiave psicoanalitica, possiamo leggerlo come un equivalente del desiderio dell’Altro: il kokoro non è solo un nucleo interiore, ma è sempre situato in una rete di relazioni e aspettative sociali.

Con l’ingresso della psicoanalisi in Giappone nel XX secolo, il kokoro ha subito una risignificazione che lo avvicina all’idea di inconscio, inteso non più solo come nucleo armonico da mantenere in equilibrio, ma come luogo di conflitto tra pulsioni e norme sociali. Questa transizione è visibile anche nella crescente attenzione alla sofferenza psichica nella società giapponese, un tempo mediata esclusivamente attraverso il gruppo e le strutture sociali, e oggi sempre più affrontata individualmente attraverso il discorso terapeutico.

3. Il concetto di "Wa" e la dinamica tra simbolico e immaginario

Il concetto di wa (和), ovvero l’armonia, rappresenta un principio fondamentale della cultura giapponese. Tradizionalmente, il wa garantiva la coesione sociale attraverso una rigida adesione alle gerarchie e al senso del dovere. Tuttavia, la modernità ha portato a una frattura tra il bisogno di armonia collettiva e il desiderio individuale.

In termini lacaniani, il wa può essere visto come un ideale dell’Io (Ich-Ideal), una costruzione immaginaria che regola il rapporto tra il soggetto e l’Altro sociale. Con la crisi del Nome-del-Padre, questo ideale è diventato più fragile: da un lato, il soggetto giapponese è ancora vincolato all’esigenza di mantenere il wa; dall’altro, l’introduzione di valori occidentali come l’individualismo ha generato un conflitto tra l’ordine simbolico tradizionale e i nuovi significati emergenti.

4. Il vuoto Zen e la risignificazione del desiderio

La filosofia Zen offre un'interessante chiave di lettura per comprendere la relazione tra psicoanalisi e cultura giapponese. Nel pensiero Zen, il vuoto (空, ku) non è un’assenza negativa, ma uno spazio di potenziale trasformazione. In parallelo, Lacan definisce il desiderio come strutturalmente mancanza-a-essere: il soggetto desidera sempre ciò che gli sfugge, e questa mancanza è ciò che lo costituisce.

La pratica Zen, con la sua enfasi sulla de-identificazione dall’Io e sull’accettazione dell’impermanenza, può essere vista come una modalità di risignificazione del desiderio. Se nella tradizione occidentale la psicoanalisi lavora sulla parola e sull’articolazione simbolica del desiderio, nel pensiero Zen si assiste a una sospensione della dialettica dell’Altro, cercando un accesso diretto a un’esperienza non mediata della realtà. Tuttavia, entrambe le prospettive riconoscono la centralità della mancanza come fondamento dell’esistenza soggettiva.

5. La risignificazione nelle pratiche artistiche e simboliche

Anche l’arte giapponese riflette il processo di risignificazione simbolica attraverso forme espressive che mettono in discussione il rapporto tra pieno e vuoto, soggetto e mondo. La calligrafia giapponese (shodo), ad esempio, può essere letta in chiave psicoanalitica come un atto che lascia traccia dell’inconscio nel gesto, un’esteriorizzazione del rapporto tra significante e soggetto.

Allo stesso modo, la cerimonia del tè (chanoyu) e il teatro Nō utilizzano il rituale come spazio di risignificazione, creando una dimensione in cui il significante si carica di un valore che trascende l’individuo e lo collega a una dimensione simbolica più ampia. Questa attenzione alla forma come veicolo di significato si avvicina all’idea lacaniana secondo cui il soggetto è effetto del significante, costantemente rimodellato dalle strutture simboliche che lo precedono.

Conclusioni

La cultura giapponese, nel suo confronto con la modernità e la psicoanalisi, ha prodotto una serie di risignificazioni che riflettono sia la crisi del Nome-del-Padre che nuove modalità di costruzione del soggetto. Il padre simbolico, il concetto di kokoro, l’armonia sociale (wa) e il vuoto Zen sono tutti elementi che hanno subito trasformazioni, passando da una funzione regolativa fissa a una struttura più fluida, in cui il soggetto giapponese si muove tra tradizione e innovazione.

Se la psicoanalisi occidentale lavora sulla parola e sulla rielaborazione del desiderio attraverso il significante, la cultura giapponese offre una prospettiva diversa, in cui il vuoto e il gesto simbolico diventano strumenti di trasformazione. In questo senso, la risignificazione giapponese non avviene solo attraverso il discorso, ma anche attraverso un’integrazione tra corpo, simbolo e esperienza estetica, offrendo un’interessante alternativa alla concezione occidentale del soggetto e del desiderio.


Bibliografia

  • Barthes, R. (1970). L’impero dei segni. Einaudi.
  • Doi, T. (1971). Amae: A Key Concept in Japanese Culture. Kodansha.
  • Freud, S. (1913). Totem e tabù. Boringhieri.
  • Lacan, J. (1966). Écrits. Seuil.
  • Lacan, J. (1973). Il seminario XI. Einaudi.
  • Marra, R. (2012). Lacan e il Giappone. Mimesis.
  • Nishida, K. (1921). An Inquiry into the Good. Yale University Press.
  • Ueda, S. (2001). Lacan and Zen. Kyoto University Press.

Il sintomo e i suoi falsi nomi: dalla nominazione alla soggettivazione


Se il sintomo è ciò che nel soggetto resiste all’ordine simbolico dato—qualcosa che non si lascia del tutto assimilare dalle coordinate del discorso—i suoi falsi nomi sono quei tentativi di addomesticarlo, di ridurlo a un significato già pronto. Il sintomo è una scrittura opaca, che il soggetto porta nel corpo e nel linguaggio; i suoi falsi nomi sono i modi in cui il discorso dominante cerca di tradurlo in qualcosa di leggibile, spesso sottraendogli la sua funzione soggettiva.

Ma perché il sintomo viene sempre nominato in modo falso? Perché non si può dargli un nome una volta per tutte? Il punto è che il sintomo non è semplicemente un disturbo, un deficit o un errore: è un modo con cui il soggetto si tiene nel mondo, un modo di fare legame con l’Altro. La questione non è eliminarlo, ma riconoscere in esso una logica, un possibile uso.


1. Il falso nome come riduzione clinica: dal DSM alla neutralizzazione del soggetto

Nella clinica psichiatrica standard, il sintomo è nominato attraverso categorie diagnostiche: depressione, disturbo ossessivo-compulsivo, ADHD, autismo, schizofrenia… Questi nomi non sono falsi nel senso che siano completamente sbagliati, ma lo diventano quando funzionano come etichette che inchiodano il soggetto, senza lasciare spazio alla sua singolarità.

Ad esempio, se un bambino con difficoltà di apprendimento viene nominato “dislessico”, questa nominazione può aprire a strumenti di supporto, ma può anche chiudere un’altra possibilità: quella di interrogare cosa significa per lui quel blocco nel leggere e nello scrivere. È un problema cognitivo o una forma di rifiuto dell’Altro che gli impone il linguaggio? È un deficit o una modalità sintomatica di resistenza?

Il rischio di questa nominazione clinica è che il sintomo venga trattato come un malfunzionamento da correggere, anziché come un elemento con un senso da decifrare.


2. Il falso nome pedagogico: l’adattamento forzato

Nel campo educativo, il sintomo viene spesso rinominato in funzione dell’integrazione sociale: comportamento problematico, iperattività, difficoltà relazionali, bisogno educativo speciale… Questi nomi sono strumenti operativi, ma possono diventare falsi nomi quando mirano solo ad adattare il soggetto alle regole dell’istituzione, ignorando la sua struttura soggettiva.

Un ragazzo che si isola e rifiuta il contatto può essere classificato come “timido” o “con difficoltà sociali”, ma questo non dice nulla sul perché di questo isolamento. È una difesa contro un’angoscia insostenibile? È una forma di protesta contro un ambiente che non lo riconosce?

Nel lavoro con la disabilità, questo tema è ancora più centrale: nominare un comportamento come “non conforme” può portare a forzare l’adattamento, senza considerare il valore del sintomo per il soggetto stesso.


3. Il falso nome politico: la cattura del sintomo nei discorsi sociali

C’è poi un’altra modalità di falsificazione: quella che trasforma il sintomo in un effetto dell’ordine sociale, senza più riconoscere la parte attiva del soggetto nella sua formazione.

Oggi molte sofferenze vengono lette attraverso griglie sociopolitiche:

La depressione diventa “malattia della società della performance”

L’ansia giovanile diventa “effetto della precarietà”

Il disagio psicologico diventa “trauma dovuto alla violenza strutturale”

Anche qui, non si tratta di negare che ci siano fattori sociali reali. Il problema è quando il sintomo viene letto solo come qualcosa di imposto dall’Altro (la società, il capitalismo, il patriarcato, la scuola, la famiglia…), togliendo al soggetto la possibilità di riconoscere la propria posizione in ciò che gli accade. Se il sintomo è solo un effetto, allora il soggetto diventa una pura vittima, senza nessun margine di lavoro su di sé.

Nel lavoro con gli immigrati, per esempio, il discorso vittimario può essere un falso nome che li incastra in un ruolo passivo, mentre la questione soggettiva del loro sintomo resta in ombra. Un giovane immigrato musulmano che rifiuta la scuola può certo avere difficoltà legate al razzismo o alla discriminazione, ma il suo rifiuto può anche avere una dimensione più interna, legata al modo in cui vive il rapporto con l’autorità, con il sapere, con la trasmissione culturale.


4. Il falso nome dell’autogiustificazione

Infine, il soggetto stesso può darsi dei falsi nomi per evitare di confrontarsi con il proprio sintomo.

“Sono fatto così” → Nome che chiude, senza lasciare spazio alla trasformazione

“È il mio carattere” → Nome che lo naturalizza, come se fosse immutabile

“È colpa dei miei genitori” → Nome che lo colloca interamente nell’Altro

Queste nominazioni funzionano come difese: proteggono il soggetto dall’angoscia di interrogarsi su cosa fare del proprio sintomo.

Verso un nome proprio del sintomo

Se il sintomo ha tanti falsi nomi, esiste un vero nome?

Lacan direbbe che non esiste un nome definitivo, ma esiste la possibilità di costruire un uso del sintomo. Il punto non è eliminarlo, né semplicemente capirlo, ma trovare un modo per fargli posto senza esserne schiacciati.

In educazione e nel sociale, questo significa:

Dare spazio alla parola del soggetto, senza imporgli subito una lettura esterna

Considerare la funzione del sintomo, invece di vederlo solo come un errore da correggere

Permettere che il soggetto trovi un suo modo di nominarsi, senza incasellarlo in categorie chiuse




🔍L'Analisi in Lacan

Fare un’ analisi secondo Jacques Lacan non è semplicemente parlare dei propri problemi. È un’esperienza trasformativa, in cui il soggetto ...