giovedì 16 ottobre 2025

Il corpo parlante: tra psicoanalisi e immunologia



Sistema immunitario


Un corpo che parla

Per la psicoanalisi, il corpo non è solo un organismo, ma un corpo parlante. Freud descriveva il sintomo come una formazione di compromesso: ciò che la parola non riesce a dire, il corpo lo manifesta attraverso dolore, tensioni o malattie psicosomatiche. Lacan (1975) riprende questa idea, sostenendo che l’essere umano è «parlato dal significante» e che il corpo è il luogo dove il linguaggio lascia la sua traccia reale.

Le neuroscienze e la psiconeuroimmunologia confermano che mente, cervello e sistema immunitario costituiscono un continuum comunicativo. Emozioni, traumi e stress modulano la risposta immunitaria, mostrando come il corpo reagisca come se fosse attraversato dal linguaggio dell’esperienza.


Il linguaggio del sistema immunitario

Il sistema immunitario non è solo difesa, ma un complesso sistema di riconoscimento, memoria e regolazione. Ogni giorno distingue tra “sé” e “non-sé” grazie a cellule specializzate come linfociti T e B, recettori e citochine che comunicano tra loro. Questa rete molecolare consente di attivare risposte precise e, allo stesso tempo, di tollerare ciò che appartiene al sé, evitando attacchi dannosi.

La tolleranza immunologica è fondamentale per la salute (Abbas, Lichtman & Pillai, 2010). Quando fallisce, si manifestano le malattie autoimmuni, in cui il sistema immunitario attacca tessuti sani, come nel lupus, nella tiroidite di Hashimoto o nella sclerosi multipla. In psicoanalisi, analogamente, il soggetto può perdere la capacità di riconoscere parti di sé, generando sintomi o autoaggressioni psichiche.


Stress e regolazione immunitaria

La psiconeuroimmunologia mostra che stress cronico, lutti o traumi alterano la regolazione immunitaria. L’asse ipotalamo-ipofisi-surrene produce cortisolo, modulando la proliferazione dei linfociti e la secrezione di citochine (Ader, 2007). Un eccesso di cortisolo indebolisce le difese immunitarie o mantiene attiva l’infiammazione.

Le citochine infiammatorie comunicano con il cervello, influenzando umore, sonno e appetito. Dantzer et al. (2008) hanno evidenziato come l’infiammazione cronica possa produrre sintomi depressivi o ansiosi. In altre parole, il corpo traduce in linguaggio biologico ciò che la parola non riesce a dire: un trauma non elaborato, un conflitto interno o una tensione emotiva persistente.


Tolleranza e riconoscimento

Il concetto di tolleranza è centrale sia in immunologia sia in psicoanalisi. Il sistema immunitario deve distinguere ciò che eliminare da ciò che integrare; allo stesso modo, il soggetto deve riconoscere e accogliere le proprie contraddizioni interne. Medzhitov e Janeway (2002) descrivono la tolleranza come un processo di apprendimento biologico: il corpo convive con l’alterità senza distruggerla.

In psicoanalisi, la tolleranza simbolica permette al soggetto di integrare desideri, colpe o impulsi ritenuti inaccettabili senza generarne sintomi. L’infiammazione cronica diventa quindi un esempio concreto di come la regolazione fallita, nel corpo come nella psiche, conduca a sofferenza persistente.


Il corpo parlante come campo comune

Lacan definiva il corpo «luogo dove l’inconscio si iscrive» (Seminario XX). Il corpo parlante non è né solo biologia né solo psiche: è un campo d’intersezione tra linguaggio e vita. Il sistema immunitario, con il suo linguaggio molecolare, distingue, integra e ricorda, mostrando come la regolazione biologica e quella psichica seguano logiche analoghe.

Comprendere questa corrispondenza non significa confondere i livelli, ma riconoscere che corpo e parola condividono la stessa logica del riconoscimento e della tolleranza. Il sintomo psichico e l’infiammazione biologica, ciascuno nel proprio registro, segnalano un fallimento della mediazione tra sé e Altro. La cura diventa così il ripristino di un dialogo tra corpo e parola: un corpo parlante capace di riconoscere e integrare la differenza.


Conclusione

Il corpo parlante mostra che salute e benessere non coincidono con assenza di conflitto, ma con capacità di regolazione. La psicoanalisi e la neuroimmunologia ci ricordano che il corpo e la mente non agiscono separati: entrambi cercano equilibrio tra difesa e apertura, tra sé e alterità. Comprendere questo dialogo apre prospettive per una cura integrata, dove parola e biologia si rispecchiano e si sostengono reciprocamente.


Bibliografia essenziale

Abbas, A.K., Lichtman, A.H., & Pillai, S. (2010). Cellular and Molecular Immunology. Elsevier.

Ader, R. (2007). Psychoneuroimmunology. Academic Press.

Dantzer, R., O’Connor, J.C., Freund, G.G., Johnson, R.W., & Kelley, K.W. (2008). From inflammation to sickness and depression. Nature Reviews Neuroscience, 9(1), 46–56.

Lacan, J. (1975). Le Séminaire, Livre XX: Encore. Seuil.

Medzhitov, R., & Janeway, C.A. (2002). Decoding the patterns of self and nonself. Science, 296(5566), 298–300.







mercoledì 15 ottobre 2025

Fibromialgia: la condizione medica e la lettura psicoanalitica


1. La condizione medica

La fibromialgia è una sindrome cronica caratterizzata da dolore muscoloscheletrico diffuso, stanchezza persistente, disturbi del sonno, problemi cognitivi (spesso definiti “fibro-fog”) e una ipersensibilità agli stimoli dolorosi. Colpisce circa il 2–4% della popolazione mondiale, con netta prevalenza femminile, e in Italia si stima interessi 1,5–2 milioni di persone, soprattutto tra i 40 e i 60 anni.

Dal punto di vista medico, la fibromialgia non ha una causa organica unica. Le ricerche evidenziano:

Disfunzioni del sistema nervoso centrale, con alterazioni della modulazione del dolore e della soglia sensoriale.

Iperattivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, tipica dello stress cronico.

Alterazioni di neurotrasmettitori come serotonina e dopamina, con impatto su percezione del dolore e regolazione dell’umore.


Fattori genetici e ambientali che modulano la vulnerabilità alla sindrome.

Il dolore è reale, misurabile e invalidante, ma la sua intensità spesso non corrisponde a lesioni tissutali evidenti. Questo spiega perché la fibromialgia sia spesso definita “sindrome di sensibilizzazione centrale”.

Numerosi studi evidenziano anche un legame con stati emotivi cronici: stress, ansia, depressione e traumi precoci sembrano influenzare la comparsa e la gravità dei sintomi. La psiconeuroimmunologia mostra come stress cronico e tensioni emotive possano alterare la risposta immunitaria, favorendo infiammazione e percezione amplificata del dolore.


2. Lettura psicoanalitica 

La fibromialgia diventa ancora più significativa se osservata attraverso la lente della psicoanalisi lacaniana. Per Lacan, il corpo umano non è mai neutro: è “corpo parlante” (corps parlant), strutturato dal linguaggio e attraversato dal desiderio.

Il dolore diffuso della fibromialgia può essere letto come il Reale che irrompe nel corpo, quando il simbolico non è in grado di rappresentare tensioni interne, conflitti affettivi o traumi precoci. In altre parole, il sintomo corporeo prende la parola laddove il linguaggio e la simbolizzazione falliscono.

Il significante e il sintomo: Lacan distingue tra il significante padrone (S1) e il soggetto del significante (S2). La fibromialgia può emergere quando il significante che regge la soggettività vacilla, ad esempio nei contesti di eccessiva richiesta sociale o relazionale. Il dolore diventa così un nuovo significante, che segnala l’impossibilità di continuare a sostenere ruoli o identità imposte dall’Altro.

Godimento e difesa: Il dolore cronico può essere considerato un eccesso di godimento corporeo (jouissance) non mediato dal simbolico. Non si tratta di piacere, ma di un modo di esistere nel corpo che permette al soggetto di resistere a un’assenza di riconoscimento o a un trauma non elaborato.

Trauma e simbolizzazione mancante: Molti pazienti presentano esperienze di trauma o stress precoce. L’esperienza non simbolizzata ritorna nel corpo, creando un sintomo che scrive il non detto. La fibromialgia può essere vista come atto corporeo di soggettivazione: un dolore che segnala la presenza del soggetto là dove la parola manca.

Discorso dell’Altro: Spesso le pazienti con fibromialgia hanno vissuto contesti di iperadattamento, in cui hanno rinunciato a esprimere la propria soggettività. Il corpo dolorante diventa una barriera simbolica, un modo per affermare la propria esistenza al di fuori delle aspettative altrui.


3. Implicazioni cliniche

La fibromialgia richiede un approccio integrato:

Trattamento medico per modulare il dolore e migliorare il sonno.

Psicoterapia psicosomatica o psicodinamica, che permetta al soggetto di riconoscere il significato del dolore e di riappropriarsi della parola.

Tecniche corporee dolci (yoga, rilassamento, fisioterapia empatica) per ristabilire fiducia e presenza nel corpo.

Supporto relazionale e gruppi di condivisione, per ridurre isolamento e senso di estraneità al proprio corpo.

La lettura lacaniana permette di capire che la fibromialgia non è solo un problema di tessuti o neurotrasmettitori, ma un messaggio del corpo che chiede ascolto. La cura diventa un percorso per riconnettere corpo e linguaggio, ridando senso al dolore e restituendo al soggetto la possibilità di abitare il proprio corpo senza esserne prigioniero.



martedì 14 ottobre 2025

Condizione biomedica e contesto familiare


1. La malattia come evento familiare

Quando un membro della famiglia sviluppa una condizione biomedica, come una malattia cronica o degenerativa, l’esperienza investe l’intera struttura familiare. Il corpo che soffre diventa un Reale condiviso, ridefinendo routine e abitudini quotidiane. Ad esempio, un adolescente con diabete di tipo 1 impone controlli della glicemia e regole alimentari che coinvolgono genitori e fratelli, trasformando la quotidianità familiare.


2. Il Reale e la frattura simbolica

Per Lacan, il Reale è ciò che sfugge alla simbolizzazione. La malattia irrompe come limite inatteso: un genitore con Parkinson manifesta tremori e rigidità che interrompono gesti abituali, compromettendo la vita simbolica della famiglia. Il Reale si manifesta nella difficoltà di coordinare movimenti, gestire attività domestiche o sociali, obbligando la famiglia a confrontarsi con ciò che non può essere controllato.


3. Il sintomo e la funzione del malato

Il sintomo non è solo segnale fisico, ma significante che struttura l’esperienza familiare. La malattia diventa messaggio simbolico: cura, limiti e continuità della vita quotidiana devono essere negoziati. In un caso di Alzheimer precoce di un genitore, i figli devono ridefinire ruoli, supervisionare attività e adattare dialoghi e gesti affettivi, mostrando come il sintomo ordina le dinamiche relazionali.


4. L’Altro familiare

La famiglia è un Altro simbolico complesso, dove ciascun membro rappresenta aspettative e desideri diversi. La malattia costringe a negoziare tra legge biologica e emozioni. Un bambino con asma grave insegna ai genitori a modulare ansia e attenzione, mentre un partner con cancro richiede ridefinizione dei ruoli nella cura e nella gestione emotiva. L’Altro familiare diventa spazio di negoziazione simbolica, dove desiderio, responsabilità e cura si intrecciano.


5. Godimento e limiti del piacere

La malattia modifica il godimento (jouissance) non solo del malato, ma anche dei familiari. Le attività condivise, i pasti e i momenti di convivialità devono adattarsi a limiti biologici. In un caso di fibrosi cistica di un figlio, le vacanze e le attività sportive diventano pianificate con attenzione alla fragilità fisica, mostrando come il piacere e l’affetto siano mediati dal Reale corporeo.


6. La malattia come significante padrone

Per Lacan, un significante padrone struttura desiderio e vita simbolica. La malattia diventa questo significante: guida abitudini, ordina priorità e influenza relazioni. Ad esempio, nel caso di un genitore con sclerosi multipla, la famiglia riorganizza la gestione domestica, il lavoro e le relazioni sociali attorno alle capacità residue del malato, rendendo la malattia un punto di riferimento costante.


7. Implicazioni cliniche

Osservare la malattia in famiglia con una lente lacaniana permette di comprendere come il sintomo corporeo influenzi dinamiche soggettive e relazionali. La terapia medica resta centrale, ma la consapevolezza del significato simbolico della malattia favorisce la negoziazione dei desideri, dei limiti e del godimento. Supporto psicologico, gruppi di sostegno e mediazione familiare possono facilitare l’integrazione del Reale nella vita quotidiana.


8. Conclusione

La malattia in famiglia non è solo evento biologico, ma esperienza simbolica condivisa. Il corpo malato introduce il Reale, diventa significante padrone e costringe tutti a ridefinire rapporti, desideri e godimento. La famiglia negozia limiti, ristruttura la vita quotidiana e trova nuove modalità per confrontarsi con la realtà corporea. Attraverso questa rielaborazione simbolica e affettiva, la malattia diventa occasione di trasformazione dei legami e di riorganizzazione della vita familiare.


Breve bibliografia

Lacan, J. (1966). Écrits. Paris: Seuil.

Lacan, J. (1973). Le séminaire, Livre XX: Encore. Paris: Seuil.

Miller, J.-A. (1995). Le point de capiton. Paris: Seuil.

Anzieu, D. (1985). Le Moi-peau. Paris: Dunod.

Favez-Boutonier, F. (2005). La famille et le corps malade. Paris: Dunod.







Condizione biomedica


1. La malattia tra corpo e soggetto

La condizione biomedica non è solo alterazione fisiologica, ma esperienza soggettiva. Malattie croniche, acute o degenerative come diabete, cancro, Parkinson o fibromialgia comportano compromissioni funzionali misurabili. Tuttavia, il loro impatto travalica il corpo: influenza desideri, progetti di vita e relazioni. Ad esempio, un paziente con diabete di tipo 1 deve monitorare costantemente glicemia e alimentazione, trasformando abitudini quotidiane e negoziando continuamente con il proprio corpo.


2. Il Reale del corpo

Il Reale, per Lacan, è ciò che sfugge alla simbolizzazione. La malattia irrompe come Reale: resiste al controllo e interrompe la quotidianità. Un paziente con Parkinson vive rigidità e tremori che ostacolano gesti ordinari, introducendo l’imprevisto nella routine e imponendo vincoli concreti. Il corpo diventa testimone della vulnerabilità e dei limiti della volontà cosciente.


3. Il sintomo come significante

Il sintomo non è solo un segnale fisico, ma un significante che comunica al soggetto. La modalità con cui si affronta la malattia riflette il rapporto con desiderio e legge simbolica. Ad esempio, un paziente con fibromialgia, che soffre di dolore cronico diffuso, può oscillare tra osservanza scrupolosa delle terapie e trasgressione dei limiti, mostrando come il sintomo organizzi comportamenti e vita quotidiana.


4. L’Altro e la legge simbolica

Il medico, la scienza e le norme rappresentano l’Altro simbolico. La malattia si vive come dialogo con l’Altro: la terapia impone regole e limiti che il soggetto deve integrare. Un paziente oncologico, sottoposto a chemioterapia, negozia tra desiderio di normalità e necessità biologiche: il corpo indica ciò che non può essere trasgredito, mentre il soggetto cerca un equilibrio tra vita simbolica e vincoli terapeutici.


5. Godimento e limiti del piacere

Lacan distingue tra desiderio e godimento (jouissance). La malattia influenza il godimento: restrizioni dietetiche, affaticamento o dolore interferiscono con piacere e piaceri corporei. Un paziente con sclerosi multipla deve modulare attività fisica, lavoro e rapporti sociali, ridefinendo il godimento in relazione ai limiti imposti dal corpo e trasformando l’esperienza della malattia in riflessione sul rapporto tra piacere e necessità biologiche.


6. La malattia come significante padrone

Ogni condizione biomedica può diventare un significante padrone, guidando la vita simbolica e quotidiana. Un paziente con asma grave deve strutturare attività, viaggi e relazioni attorno alla propria condizione respiratoria. La malattia diventa punto di riferimento costante, non solo come problema medico, ma come evento simbolico che ordina desideri e comportamenti, rivelando l’intreccio tra corpo, sintomo e significante padrone.


7. Implicazioni cliniche

La prospettiva lacaniana non sostituisce la medicina, ma la integra. Comprendere il significato soggettivo della malattia aiuta a negoziare desiderio, limiti e godimento. Il trattamento farmacologico rimane centrale, ma l’attenzione al sintomo come linguaggio del corpo favorisce consapevolezza e adattamento. Gruppi di sostegno o interventi psicologici possono aiutare a integrare il Reale nella vita quotidiana.


8. Conclusione

La condizione biomedica non è solo evento fisiologico, ma esperienza soggettiva che intreccia Reale, simbolico e immaginario. Malattie come diabete, Parkinson, cancro o fibromialgia impongono limiti, parlano al soggetto e ridefiniscono desiderio e godimento. La malattia diventa occasione di negoziazione tra piacere, regole simboliche e realtà corporea, trasformandosi in punto di riflessione sul rapporto tra soggetto, corpo e Altro.


Breve bibliografia

Lacan, J. (1966). Écrits. Paris: Seuil.

Lacan, J. (1973). Le séminaire, Livre XX: Encore. Paris: Seuil.

Miller, J.-A. (1995). Le point de capiton. Paris: Seuil.

Anzieu, D. (1985). Le Moi-peau. Paris: Dunod.

Favez-Boutonier, F. (2005). La famille et le corps malade. Paris: Dunod.



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lunedì 13 ottobre 2025

Lacan e Jung: due vie dell’inconscio


La psicoanalisi nasce da una scoperta sconvolgente di Sigmund Freud: l’uomo non è padrone in casa propria.
Ciò che pensa di controllare — desideri, pensieri, affetti — è mosso da una forza inconscia che parla attraverso sogni, sintomi e lapsus.
Da questa scoperta si dipartono due grandi vie: quella di Carl Gustav Jung, che cerca armonia e trasformazione, e quella di Jacques Lacan, che mette al centro la mancanza e il linguaggio.


1. Freud: il conflitto e il desiderio

Per Freud, l’inconscio non è una dimensione spirituale o collettiva, ma un campo di forze in lotta.
Le pulsioni sessuali e aggressive vengono rimosse dalla coscienza, ma continuano a vivere nell’inconscio, trasformandosi in sintomi o fantasie.
Freud non vede nella psiche una via alla totalità, bensì un teatro di conflitti.

La cura analitica, per lui, non guarisce integrando, ma rendendo consapevole la divisione.
L’obiettivo non è la pace interiore, ma la possibilità di vivere con meno autoinganno, accettando la propria parziale verità.


2. Jung: la via del simbolo e della totalità

Jung, allievo di Freud nei primi anni, si separa presto dal maestro.
Pur riconoscendo la scoperta dell’inconscio, la interpreta in modo più ampio e spirituale.
Introduce il concetto di inconscio collettivo, popolato da archetipi universali: l’Ombra, l’Eroe, la Madre, il Vecchio Saggio.

Per Jung, i sogni e i simboli non esprimono solo desideri rimossi, ma movimenti dell’anima che mirano alla totalità.
La psiche tende spontaneamente alla riconciliazione degli opposti, in un processo che chiama individuazione.
Attraverso il confronto con i propri simboli interiori, il soggetto si trasforma, integrando gli aspetti oscuri e riconoscendo il Sé come principio di ordine e senso.

In questa prospettiva, la guarigione coincide con una trasformazione simbolica: comprendere il significato profondo dei sogni e dei miti per diventare più completi.
L’analisi è dunque un cammino verso la pienezza, non la gestione del conflitto.


3. Lacan: la via del linguaggio e della mancanza

Lacan, invece, si definisce il “ritorno a Freud”.
Ma il suo ritorno è radicale: rilegge Freud alla luce della linguistica, della filosofia e della logica.
Per lui, l’inconscio è strutturato come un linguaggio.
Non è popolato da archetipi o simboli universali, ma da significanti che determinano il soggetto.

Il desiderio, per Lacan, nasce dal vuoto che il linguaggio produce.
Ogni parola rimanda a un’altra, e il soggetto è preso in questa catena di senso mai completa.
L’Io, che per Jung può maturare verso il Sé, è per Lacan un’immagine immaginaria, costruita nello stadio dello specchio.

Il vero soggetto è altrove: è diviso tra ciò che dice e ciò che lo fa parlare.
L’analisi non serve a integrare, ma a decentrare: a far emergere il desiderio inconscio e la mancanza strutturale che ci costituisce.
Non si tratta di guarire trovando un’unità, ma di assumere la propria divisione e abitare il desiderio in modo più autentico.


4. Freud tra Jung e Lacan

Freud rompe con Jung quando capisce che l’allievo vuole spiritualizzare la psicoanalisi.
Per Freud, la libido resta sessuale e conflittuale, non una forza cosmica o religiosa.
Teme che l’idea di Sé e di totalità trasformi la psicoanalisi in una forma di gnosi, perdendo il suo legame con la realtà psichica e con il corpo.

In questo senso, Freud è più vicino a Lacan: entrambi mantengono il nucleo tragico della psicoanalisi, il riconoscimento della mancanza e del desiderio come forze mai del tutto conciliabili.
Lacan radicalizza Freud, portando la psicoanalisi nel linguaggio e mostrando che il soggetto non è mai intero, ma sempre parlato dall’Altro.


5. Due etiche, due destini

  • Jung propone una psicologia della trasformazione simbolica: la guarigione passa dall’integrazione degli opposti e dal senso ritrovato.
  • Lacan, in linea con Freud, parla di un’etica del desiderio: la verità non è nell’armonia, ma nel riconoscimento della mancanza che ci spinge a vivere e a parlare.

Entrambi aprono vie di conoscenza, ma divergono radicalmente sull’esito:
per Jung, il compimento; per Lacan, la parola che non si chiude mai.



Bibliografia essenziale

  • Freud, S. (1900). L’interpretazione dei sogni.
  • Jung, C.G. (1954). Psicologia e alchimia; (1958) Aion. Ricerche sul simbolismo del Sé.
  • Lacan, J. (1966). Écrits; (1953–1964) Seminari I–XI.
  • Fink, B. (1995). The Lacanian Subject.
  • Evans, D. (1996). An Introductory Dictionary of Lacanian Psychoanalysis.







Miti psicologici ed educativi: Nausicaa



Nausicaa, la giovane principessa dei Feaci che accoglie Ulisse naufrago, rappresenta una delle figure più luminose e delicate dell’Odissea. Il suo nome — Ναυσικάα (Nausikáa), da naus (“nave”) e kazo (“bruciare, purificare”) — evoca un doppio movimento: quello del viaggio e quello della purificazione. È l’incontro fra il maschile errante e il femminile accogliente, ma anche fra due modalità del desiderio: quella del sapere e quella della cura.


L’incontro come soglia simbolica

Quando Nausicaa trova Ulisse sulla riva, nudo, coperto di salsedine e vergogna, si ritrae spaventata, poi si avvicina. È un momento di passaggio, una metaxy (μεταξύ) — uno spazio “in mezzo” fra due mondi. Per Lacan, lo spazio dell’incontro non è mai un luogo di fusione, ma di distanza simbolica, dove l’Altro appare come irriducibile. Nausicaa riconosce in Ulisse qualcosa che la attrae e al tempo stesso la eccede: il desiderio dell’Altro, che non può possedere ma solo accogliere.

Lacan direbbe che in questa scena si gioca la funzione dello sguardo come oggetto a — ciò che sfugge, ciò che resta di desiderabile perché non può essere ridotto a immagine. Nausicaa, che guarda e viene guardata, impara la differenza fra il sembrare e l’essere, fra l’amore e il desiderio.


Il femminile come accoglienza dell’alterità

Nausicaa non è una figura di seduzione, ma di apertura. Il suo gesto di offrire vesti e ospitalità ad Ulisse introduce l’idea del femminile come luogo dell’Altro. Non quello materno che ingloba, ma quello simbolico che permette la parola. Nella sua dolcezza, Nausicaa mostra una forma di éthique du féminin (etica del femminile) che non coincide con la passività, bensì con la capacità di lasciare essere l’altro, senza dominarlo.

Educativamente, questo gesto parla a chi lavora nella relazione d’aiuto: l’accoglienza non è mai fusione, ma mantenimento di una distanza giusta. Come in analisi, si tratta di creare uno spazio simbolico dove il soggetto possa riemergere dal naufragio, rivestirsi di parole e riprendere il viaggio.


Il soggetto come viandante del linguaggio

Ulisse, nel suo smarrimento, rappresenta il soggetto diviso, spogliato dei suoi significanti padroni (S1). Davanti a Nausicaa, non è più re, né eroe, ma puro essere parlante (parlêtre). È in questa nudità simbolica che può rinascere. La giovane principessa, con la sua parola ospitale, gli restituisce la possibilità di riprendere un posto nel discorso.

Nausicaa, allora, svolge una funzione educativa in senso profondo: non insegna, ma consente che l’altro si ritrovi nel linguaggio. È una funzione di mediazione simbolica, dove l’educatore, come lei, non si pone come padrone del sapere, ma come custode del luogo in cui la parola può ripartire.


Il limite come condizione del desiderio

L’incontro tra Nausicaa e Ulisse resta casto. Nessun amore, nessuna promessa. È proprio questa distanza che rende la scena feconda: il desiderio non si realizza, resta aperto. In termini lacaniani, Nausicaa mantiene la mancanza come motore simbolico. Se cedesse al possesso, il desiderio morirebbe.

L’educazione, come l’analisi, vive di questo stesso paradosso: aiutare senza colmare, accompagnare senza trattenere. L’errore sarebbe credere che il compito educativo consista nel “salvare” l’altro. In realtà, si tratta di sostenerlo nel suo stesso viaggio, come Nausicaa fa con Ulisse, indicando la via ma lasciandolo partire.


Nausicaa oggi

In una cultura che tende a saturare ogni mancanza con prestazioni, consumo o rassicurazioni immediate, la lezione di Nausicaa è quanto mai attuale. Essa ci ricorda che l’educazione è arte del limite, del non-tutto (pas-tout), direbbe Lacan: un sapere che non pretende di completare, ma di aprire.

Nausicaa rappresenta così l’incontro educativo come spazio simbolico, dove il soggetto può riemergere dal naufragio del senso e ritrovare la propria rotta.


Bibliografia essenziale

  • Omero, Odissea, Einaudi.
  • Jacques Lacan, Il seminario. Libro XX. Ancora, Einaudi.
  • Maud Mannoni, Il bambino, la follia e la psicanalisi, Einaudi.


giovedì 9 ottobre 2025

Lavoro e discorso capitalista. Una lettura clinico-sociale del fenomeno della Grande Dimissione




La Grande Dimissione — l’ondata di abbandoni volontari dal lavoro esplosa tra il 2021 e il 2023 — è stata interpretata in molti modi: come rifiuto della precarietà, come ricerca di equilibrio vita-lavoro, come effetto della pandemia. Ma letta attraverso Lacan e la sociologia critica, essa appare come un sintomo del discorso del capitale, una crepa nel meccanismo simbolico che lega desiderio e produzione.


1. Il discorso del capitale e il lavoro come godimento

Nel Seminario XVII, Lacan descrive il discorso del capitalista come “un discorso che funziona troppo bene, perché non fa più mancare nulla al circuito del godimento” (1969-70). Il soggetto contemporaneo è immerso in un’economia che non vieta, ma impone di godere, di performare, di realizzarsi. Il lavoro non è più solo mezzo di sopravvivenza, ma spazio in cui il soggetto cerca riconoscimento e senso.

Questa logica ha colonizzato anche il linguaggio delle imprese: passione, creatività, resilienza sono i nuovi imperativi morali. Ma, come osservano Boltanski e Chiapello, “l’autonomia e la creatività, nate come valori critici, sono diventate risorse produttive” (Le nouvel esprit du capitalisme, 1999, p. 97). Il soggetto interiorizza il comando di essere imprenditore di se stesso, fino allo sfinimento.


2. Dati empirici: chi si dimette e dove

Negli Stati Uniti, secondo il Bureau of Labor Statistics (BLS), nel 2022 oltre 47 milioni di lavoratori hanno lasciato volontariamente il proprio impiego. In Europa, Eurostat ha registrato un aumento medio delle dimissioni del 28% tra il 2021 e il 2023, con picchi in Germania, Paesi Bassi e Italia.

In Italia, i dati del Ministero del Lavoro (Rapporto 2023) mostrano che le dimissioni volontarie sono cresciute del 17% rispetto al periodo pre-pandemico, superando 2,2 milioni di casi nel 2023.

I settori più colpiti sono stati:

Commercio e ristorazione, dove il turnover ha superato il 30%, spesso per carichi di lavoro insostenibili e bassi salari;

Sanità e assistenza sociale, segnati da burnout e scarsità di riconoscimento simbolico;

Informatica e servizi digitali, dove il fenomeno è legato al “digital fatigue” e alla ricerca di senso;

Istruzione e formazione, in crescita soprattutto tra i giovani under 35, che percepiscono scarse prospettive e alto stress emotivo.

Le motivazioni dichiarate non sono solo economiche, ma riguardano il senso e la qualità della vita: il 42% degli intervistati (fonte: McKinsey, Great Attrition Report, 2023) parla di “assenza di riconoscimento” e “mancanza di scopo”. È il cuore del sintomo: la rottura del legame simbolico tra lavoro e desiderio.


3. Dimettersi come atto simbolico

Dal punto di vista psicoanalitico, la dimissione non è solo rifiuto, ma atto: un gesto che rompe il ciclo del godimento imposto. Come scrive Lacan nel Seminario XI (1964), “l’atto autentico introduce una discontinuità nel discorso dell’Altro”.

Nel discorso capitalista, l’Altro è il sistema produttivo che comanda: lavora, performa, consuma. Dimettersi significa sospendere questa catena, affermando la propria mancanza — il diritto a non godere come impone il mercato.

Molti soggetti, soprattutto giovani laureati e operatori del settore sociale, hanno scelto di lasciare impieghi “stabili” per aprirsi a forme di lavoro autonomo, progetti comunitari o pause esistenziali. Non sempre si tratta di fuga, ma di una domanda di riconfigurazione simbolica: lavorare con senso.


4. Sociologia critica: crisi del riconoscimento e della cura

Christophe Dejours nota che “la sofferenza nel lavoro nasce quando l’attività non trova più riconoscimento simbolico” (Souffrance en France, 1998, p. 42).

Nancy Fraser e Rahel Jaeggi parlano di una “crisi della riproduzione sociale” (Capitalism: A Conversation in Critical Theory, 2018), dove il tempo e le energie dedicate alla vita, alla cura e alla comunità vengono assorbiti dal mercato.

In questa prospettiva, la Grande Dimissione non è solo un evento economico, ma un sintomo collettivo del desiderio che resiste. Bernard Stiegler scrive: “l’uomo è malato del suo tempo accelerato, perché non ha più il tempo di pensare” (La misère symbolique, 2004, p. 21). Le dimissioni possono allora essere lette come tempo ritrovato, un tentativo di sottrarre la vita alla produzione e restituirla al pensiero e al desiderio.


5. Conclusione: dal sintomo alla possibilità

Non esiste un “fuori” dal discorso del capitale, ma — come ricorda Lacan — si può bucarlo. La Grande Dimissione mostra che una parte del soggetto non si lascia saturare dal godimento imposto. È una crepa nel dispositivo simbolico che lega lavoro e identità, un atto attraverso cui il desiderio tenta di riaffermarsi.




Bibliografia

J. Lacan, Il Seminario XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Einaudi, 1979.

J. Lacan, Il Seminario XVII. Il rovescio della psicoanalisi, Einaudi, 2001.

L. Boltanski, È. Chiapello, Le nouvel esprit du capitalisme, Gallimard, 1999.

C. Dejours, Souffrance en France, Seuil, 1998.

N. Fraser, R. Jaeggi, Capitalism: A Conversation in Critical Theory, Polity Press, 2018.

B. Stiegler, La misère symbolique, Galilée, 2004.

Bureau of Labor Statistics (BLS), Job Openings and Labor Turnover Summary, 2023.

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Rapporto Annuale sul Mercato del Lavoro, 2023.

McKinsey & Company, Great Attrition, Great Attraction Report, 2023.











mercoledì 8 ottobre 2025

Al fondo del Discorso della scienza


Fin dalla sua nascita, la psicoanalisi ha abitato un territorio ambiguo rispetto alla scienza. Freud la concepiva come una disciplina capace di osservare e comprendere la mente umana con rigore scientifico, ma l’oggetto della psicoanalisi — l’inconscio — sfuggiva a qualsiasi misura diretta. Non è una regione nascosta della psiche, bensì un sapere non saputo che si manifesta attraverso sogni, lapsus e sintomi (Freud, 1900; 1920). La psicoanalisi, quindi, non si limita a descrivere comportamenti osservabili, ma interpreta ciò che il soggetto comunica indirettamente, ciò che sfugge al calcolo e alla previsione.


La scienza e l’esclusione del soggetto

Con Lacan, la questione del rapporto tra psicoanalisi e scienza si radicalizza. La scienza moderna, inaugurata da Galileo, produce conoscenza formalizzabile, universale e oggettiva, ma per farlo espelle il soggetto del desiderio (Lacan, 1966). In termini lacaniani, il soggetto barrato ($) viene escluso, mentre il sapere (S₂) si autonomizza, creando una realtà che funziona senza il suo contributo soggettivo.

Questa espulsione, però, non annulla il soggetto: essa genera un resto, ciò che Lacan chiama il sintomo. La psicoanalisi, in questo senso, emerge come il “sintomo del discorso della scienza”: nasce dallo stesso terreno che la scienza percorre, ma ne mostra la mancanza costitutiva (Lacan, 1972-1973). Dove la scienza cerca di eliminare l’imprevisto, il soggetto ritorna come traccia, come desiderio inesplicabile.


L’inconscio strutturato come linguaggio

Per Lacan, l’inconscio è strutturato come un linguaggio (Lacan, 1966). Questo significa che condivide con la scienza l’uso del simbolico, ma ne rovescia la logica: mentre la scienza formalizza e ordina, la psicoanalisi ascolta le fratture, gli slittamenti e le assenze del linguaggio. Il suo sapere non è cumulativo né universale; riguarda il soggetto nella sua irripetibilità, restituendo significato a ciò che il discorso scientifico ignora.


Scienza contemporanea e soggetto tecnologico

Nel XXI secolo, la scienza si è intrecciata con la tecnologia e il capitalismo, ridefinendo il soggetto umano. Le neuroscienze, l’intelligenza artificiale e la data science hanno trasformato il sapere scientifico in una forza produttiva e predittiva. L’ideale contemporaneo è padroneggiare ogni comportamento, misurare ogni emozione, modellare ogni desiderio.

Tuttavia, Vanheule (2011) sottolinea come la psicoanalisi possa dialogare con la scienza contemporanea senza ridursi a essa, offrendo strumenti per comprendere il soggetto singolare. Il sintomo, il sogno e l’atto restano esperienze che sfuggono alla mappatura algoritmica: ciò che la scienza calcola non coincide con ciò che il soggetto vive.


Neuroscienze, IA e il limite del sapere

Le neuroscienze hanno permesso di comprendere le basi biologiche dell’affettività e della memoria, ma, come evidenzia Kandel (2013), la mente non può ridursi al cervello. L’intelligenza artificiale simula il linguaggio, ma non desidera; può generare frasi, ma non sa cosa significhino per il soggetto. È in questa distanza tra calcolo e desiderio che la psicoanalisi trova il suo compito: far emergere il soggetto dove la scienza costruisce modelli, ma non esperienze.


Il reale del godimento

Lacan distingue il reale scientifico, misurabile e formalizzabile, dal reale analitico, ciò che non si lascia scrivere. La psicoanalisi affronta questo reale impossibile: il trauma, il sintomo, il corpo parlante. Non si tratta di correggere o eliminare, ma di dare parola all’impossibile, di restituire senso al desiderio che sfugge alla legge e al calcolo.


Etica della psicoanalisi oggi

In un’epoca dominata da algoritmi e tecnoscienza, la psicoanalisi mantiene aperta la domanda sul soggetto e sul limite del sapere. Non compete con la scienza per produrre dati o previsioni, ma ricorda che l’essere umano non coincide mai con la propria rappresentazione. Dove la scienza tace, l’inconscio parla: il desiderio, il godimento, il sintomo restano il luogo in cui il soggetto rivela la propria irriducibile singolarità.

La psicoanalisi contemporanea diventa così custode del soggetto, portando attenzione alla verità singolare che sfugge a ogni formalizzazione. Non offre soluzioni universali, ma apre spazi di ascolto e interpretazione, ricordando che la vita psichica non si lascia mai completamente catturare dal sapere.


Bibliografia

Freud, S. (1900). L’interpretazione dei sogni. Milano: Boringhieri.

Freud, S. (1920). Al di là del principio di piacere. Milano: Boringhieri.

Lacan, J. (1966). Écrits. Paris: Seuil.

Lacan, J. (1972-1973). Il seminario, libro XX: Il transfert. Milano: Raffaello Cortina.

Vanheule, S. (2011). The Subject of Psychosis and Science. London: Palgrave Macmillan.

Kandel, E. R. (2013). The Age of Insight. New York: Random House.





Tra la terra e il fiore: coltivare il vuoto che genera vita





La terra come luogo dell’inconscio

L’orto e la floricoltura non sono semplici attività manuali: possono essere letti come spazi simbolici in cui il soggetto incontra il proprio inconscio. Nella terra che accoglie e trasforma, ritroviamo la logica del desiderio: seminare implica riconoscere la mancanza, attendere l’effetto di un atto di parola, non controllabile fino in fondo.

Lacan ci ricorda che “il desiderio è il desiderio dell’Altro”: nell’atto di coltivare, il soggetto si affida a un Altro — la terra, la natura, il tempo — che risponde, ma mai come previsto. L’orto diventa allora una metafora dell’elaborazione simbolica, un luogo dove ciò che cresce non è solo vegetale, ma anche psichico.


Il ritmo contro il discorso capitalista

Nel discorso capitalista, tutto deve essere immediato, performante, senza mancanza. L’orto introduce invece un tempo dell’attesa, dell’incompiuto, del limite. Ogni seme rinvia al non-tutto: si può preparare il terreno, ma non forzare la crescita.

Questa esperienza contrasta l’imperativo contemporaneo del “godere senza mancare”, restituendo alla soggettività un rapporto più autentico con il desiderio. Nell’orto, la soddisfazione non viene dal risultato, ma dal processo: il soggetto sperimenta la differenza tra bisogno e desiderio, tra nutrirsi e simbolizzare.

Un esempio clinico-educativo: in un laboratorio con persone con disabilità psichica, l’attesa della germinazione diventa un modo di lavorare sull’angoscia e sulla fretta. La pianta, crescendo a suo ritmo, insegna che il desiderio non è padroneggiabile; lo si può solo accompagnare.


Il fiore come oggetto a

Nel linguaggio lacaniano, il fiore può essere letto come oggetto a, resto di godimento che cattura lo sguardo e attira il desiderio. Non ha utilità immediata, ma rappresenta ciò che sfugge alla catena simbolica: il bello, l’effimero, la perdita.

Nel prendersene cura, il soggetto si confronta con la fragilità e con il limite del controllo. Il fiore fiorisce e appassisce: è una piccola lezione sull’evaporazione del godimento, sulla necessità di lasciare andare.

Così, nei gruppi di floricoltura, il lavoro non consiste solo nel produrre qualcosa di bello, ma nel sostenere la presenza del desiderio di ciascuno, senza colmarlo. Il gruppo diventa un dispositivo dove il soggetto è invitato a simbolizzare ciò che non può possedere.


L’orto come spazio di legame simbolico

L’orto, nel lavoro educativo e psicosociale, può essere considerato una struttura discorsiva alternativa: non il luogo della produzione, ma della cooperazione.

Ogni gesto — annaffiare, potare, raccogliere — ha valore solo nella catena simbolica che lo lega agli altri. L’orto diventa un campo del significante, dove ogni soggetto trova posto nel legame sociale non per la sua funzione, ma per la sua parola e presenza.

In un gruppo, la divisione dei compiti produce un ordine simbolico minimo, che consente di far esistere un “noi” non fusivo: il soggetto partecipa a un discorso dove la mancanza non è negata, ma condivisa.


Coltivare la mancanza

L’orto e la floricoltura, letti con Lacan, insegnano a coltivare la mancanza: accettare che il desiderio non si colma, ma si tiene vivo solo se non si soddisfa interamente.

Il soggetto che zappa, semina o osserva il fiore che sfiorisce, sperimenta la verità del proprio limite: qualcosa cresce, ma non per suo merito; qualcosa muore, ma lascia un resto.

È in questo resto — nell’oggetto a, nel fiore inutile, nel germoglio inatteso — che l’inconscio si manifesta.

Coltivare diventa allora un atto etico, non estetico: un modo di stare nel mondo non come padroni, ma come parlanti, in ascolto del ritmo del desiderio.


Bibliografia 

Lacan, J. (1960). Subversion du sujet et dialectique du désir. Écrits.

Lacan, J. (1972-73). Il Seminario. Libro XX: Ancora. Einaudi.

Winnicott, D. W. (1971). Gioco e realtà. Armando.

Dolto, F. (1984). L’immagine inconscia del corpo.

Anzieu, D. (1985). Il gruppo e l’inconscio. Borla.

Žižek, S. (1999). Il soggetto scabroso. Raffaello Cortina.





sabato 4 ottobre 2025

Gentilezza e desiderio nel Terzo Settore: la vocazione al lavoro sociale nell'era del discorso capitalista





Negli ultimi anni, il Terzo Settore sta attraversando una crisi profonda: aumentano le dimissioni volontarie, la fatica emotiva e la perdita di senso vocazionale, anche tra operatori storicamente motivati da forte impegno etico. Questo fenomeno non può essere letto solo come problema organizzativo o economico: va interpretato come un segno del mutamento del discorso sociale dominante.

Secondo Jacques Lacan, ogni epoca si struttura attorno a un “discorso” che organizza il rapporto tra soggetto, sapere e desiderio. Il discorso del capitalista (che oggi nel 2025 potremmo chiamare del tecno-capitalista o tecno-liberista), descritto da Lacan nel 1972, espelle la mancanza e mira a un godimento immediato. Nella vita quotidiana recente, questa logica si è progressivamente affermata anche in contesti in cui prima resistevano forme tradizionali di solidarietà, trasformando la cura e l’impegno sociale in prestazioni misurabili e standardizzate.

Come osserva Lorenzo Corsellini (2025), le organizzazioni rischiano di “perdere la loro anima trasformandosi in aziende del sociale”, dove la persona dell’operatore viene sostituita dal ruolo, e la motivazione personale dall’obbligo di risultato. In questo contesto, anche chi è motivato dal senso della propria vocazione può sentirsi disorientato e svuotato.


Crisi vocazionale e discorso capitalista

La demotivazione non è un problema individuale, ma un effetto strutturale del discorso capitalista. L’operatore sociale smette di riconoscersi come soggetto del desiderio, diventando funzione di un apparato che misura solo efficienza e output.

Per Lacan, “Il desiderio è il desiderio dell’Altro” (Seminario XI, 1964): il soggetto desidera essere riconosciuto come desiderante. Quando l’Altro istituzionale si riduce a macchina amministrativa, il desiderio si spegne e la crisi vocazionale si manifesta come angoscia istituzionale.

Žižek (2008) osserva che il capitalismo contemporaneo cattura il desiderio invece di reprimerlo, orientandolo alla prestazione e svuotandolo di senso. La demotivazione riflette quindi la penetrazione del discorso capitalista anche nei legami sociali quotidiani, a scapito delle pratiche solidali tradizionali che in passato garantivano un senso di continuità e appartenenza.


Gentilezza organizzativa come pratica simbolica

In questo scenario, la gentilezza organizzativa emerge come pratica di riconoscimento. Non è cortesia superficiale o remissività, ma un approccio relazionale che costruisce senso, benessere e fiducia condivisa.

Silvia Guetta (2023) sottolinea come la gentilezza integri cura della relazione, responsabilità e professionalità, diventando una competenza che sostiene un ambiente lavorativo positivo. Essa reintroduce un Altro capace di ascoltare e riconoscere il soggetto, ristabilendo legami simbolici indeboliti dal discorso capitalista.

In chiave lacaniana, la gentilezza integra aspetti del discorso dell’analista, offrendo spazio alla parola, sospendendo la funzione riduttiva della prestazione e permettendo al soggetto di emergere. Non è solo valore etico, ma strumento simbolico di recupero del soggetto, contrastando la riduzione dell’operatore a funzione e ripristinando la centralità del desiderio nel lavoro sociale.

Angela Gallo (2021) evidenzia che le organizzazioni gentili creano condizioni in cui ogni operatore può ritrovare il senso del proprio contributo. L'autrice osserva che la gentilezza rigenera i legami di fiducia, trasformando controllo in parola e produttività in coordinazione simbolica. In tal modo, l’ambiente organizzativo diventa più resiliente e capace di sostenere anche i momenti di difficoltà emotiva.


Gentilezza, transfert e azione politica

La fidelizzazione degli operatori non dipende solo da incentivi materiali, che restano comunque necessari, ma soprattutto dal riconoscimento simbolico. La gentilezza, intesa come linguaggio e posizione soggettiva, opera come transfert istituzionale: il soggetto resta fedele all’organizzazione che gli restituisce parola e ascolto.

Secondo Hannah Arendt (1958), l’agire umano è politico perché crea un mondo comune e uno spazio in cui i legami si mantengono e il senso condiviso si rinnova. La gentilezza, come pratica organizzativa, diventa una forma concreta di azione politica, riattivando il desiderio e contrastando gli effetti depotenzianti del discorso capitalista anche nella vita quotidiana.


Conclusione

La crisi vocazionale nel Terzo Settore riflette l’erosione del legame simbolico e del desiderio, indotta dalla penetrazione del discorso capitalista. La gentilezza organizzativa, intesa come competenza relazionale e pratica simbolica, offre un percorso per contenere la crisi, riattivare il desiderio e favorire la fidelizzazione degli operatori. Essa permette di trasformare la prestazione in riconoscimento, l’ordine in relazione e la routine in azione politica condivisa, integrando il principio del discorso analitico nella vita quotidiana del lavoro sociale e combinando riconoscimento simbolico e incentivi materiali in un approccio organico.


Bibliografia

Arendt, H. (1958). Vita activa. La condizione umana. Il Mulino.

Corsellini L. (2024), "La mancanza vocazionale, le dimissioni volontarie e la crisi delle organizzazioni cooperative: una ricerca esplorativa" in La formazione alla ricerca, Università di Firenze 

Gallo, A. (2021). Competenze e sentimenti in azione

Guetta, S. (2023). Professionalità e gentilezza per costruire benessere. In Sistemi educativi, Orientamento, Lavoro, Università di Firenze.

Lacan, J. (1964). Il Seminario, Libro XI: I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi. Einaudi.

Lacan, J. (1972). Discorso del capitalista, in Altri scritti. Einaudi.

Žižek, S. (2008). Il soggetto scabroso. Tragedia, eros, politica. Raffaello Cortina.







venerdì 3 ottobre 2025

De-umanizzazione dell’altro e invenzione del nemico nel XXI secolo


1. Introduzione

Il XXI secolo è segnato da un paradosso: mentre la globalizzazione ha intensificato interdipendenze economiche, tecnologiche e culturali, nello stesso tempo assistiamo a una crescente produzione di nemici. Guerre, terrorismo, migrazioni, crisi ambientali ed economiche alimentano processi di de-umanizzazione dell’altro, in cui il diverso viene ridotto a minaccia o a vita sacrificabile. Comprendere questo fenomeno significa intrecciare lo sguardo della psicoanalisi lacaniana, che mette in luce le radici soggettive dell’odio, e quello della teoria critica, che mostra come il potere politico ed economico abbia bisogno di inventare continuamente nemici per consolidarsi.


2. La radice psicoanalitica: l’altro come specchio

Per Lacan, il soggetto si costituisce nello stadio dello specchio, dove l’immagine dell’altro è insieme fonte di riconoscimento e di rivalità. L’ostilità verso il nemico non è quindi accidentale, ma strutturale: deriva dalla difficoltà di sostenere la mancanza che abita il soggetto stesso. De-umanizzare significa proiettare sull’altro ciò che non si vuole ammettere di sé: aggressività, fragilità, eccesso di godimento.

Come sottolinea Žižek, il nemico è spesso rappresentato come colui che “gode in modo diverso”: il migrante che vive di assistenza, il musulmano percepito come fanatico, il rivale politico visto come corrotto o traditore. Questo godimento opaco diventa insopportabile e giustifica la sua esclusione o eliminazione.


3. Conflitti contemporanei e figure del nemico

La dinamica di invenzione del nemico si manifesta oggi in diversi scenari:

Guerra in Ucraina: la retorica bellica da entrambe le parti mira a disumanizzare il nemico. I russi sono descritti come invasori brutali, gli ucraini come nazisti da estirpare. In entrambi i casi, la logica della guerra totale cancella la dimensione umana dell’avversario.

Conflitto Israele-Gaza: qui la de-umanizzazione opera in modo speculare. Per alcuni israeliani i palestinesi sono ridotti a terroristi anonimi; per alcuni palestinesi gli israeliani sono “occupanti da eliminare”. Judith Butler (Frames of War) ha mostrato come i media decidano quali vite sono degne di lutto e quali no: una geografia della pietà che segna la differenza tra umano e non umano.

Migrazioni e frontiere: il migrante è spesso rappresentato come massa indistinta. I barconi sovraffollati vengono letti non come tragedie umanitarie ma come “invasioni”. Wendy Brown (Walled States, Waning Sovereignty) interpreta i muri come dispositivi simbolici che producono un “fuori” ostile, inventando il migrante come nemico.

Populismo digitale: nei social network, algoritmi e polarizzazione facilitano la nascita di nemici interni: élite, minoranze, oppositori politici. L’odio circola in forma virale, trasformando cittadini in “parassiti” o “traditori”.


4. Teoria critica: la funzione politica del nemico

Per la teoria critica, l’invenzione del nemico è uno strumento di governo. Adorno e Horkheimer avevano già visto come l’aggressività sociale venga incanalata contro figure stigmatizzate. Oggi, la precarietà economica e climatica, prodotta dal neoliberismo, trova sfogo in nuove figure di capro espiatorio: migranti, poveri, dissidenti.

Achille Mbembe (Politiques de l’inimitié) ha parlato di necropolitica: la gestione della vita attraverso la decisione su chi può vivere e chi può morire. La de-umanizzazione non è quindi solo psicologica, ma un dispositivo che consente a Stati e poteri globali di giustificare guerre preventive, politiche securitarie e nuove forme di autoritarismo.


5. Clinica e resistenza simbolica

Sul piano clinico, la de-umanizzazione rappresenta un fallimento della parola. Quando l’altro non è più interlocutore ma puro corpo da eliminare o respingere, la convivenza si rompe. L’educazione, il lavoro sociale e la psicoanalisi hanno il compito di restituire parola al luogo del nemico, creando spazi di riconoscimento della comune mancanza che fonda ogni soggetto.

Sul piano politico, si tratta di pensare un discorso non paranoico, capace di riconoscere conflitti senza trasformarli in guerre assolute. Un’etica del desiderio, come suggerisce Lacan, significa accettare che l’altro non può essere ridotto né annullato, ma è parte costitutiva del legame sociale.


6. Conclusione

La de-umanizzazione dell’altro e l’invenzione del nemico non sono residui arcaici, ma meccanismi moderni che intrecciano inconscio e potere. Dalla guerra in Ucraina al conflitto israelo-palestinese, dai muri alle frontiere fino ai social media, il nemico viene continuamente reinventato per stabilizzare identità fragili e ordini politici instabili. La sfida, clinica e politica, è riconoscere questi dispositivi e opporvi una pratica della parola che non riduca l’altro a vita sacrificabile, ma lo accolga come soggetto. Solo così è possibile sottrarsi alla spirale paranoica del XXI secolo e immaginare una convivenza fondata sulla cooperazione nella differenza.


Bibliografia essenziale


Adorno, T. W., Horkheimer, M. (1947). Dialettica dell’illuminismo. Torino: Einaudi.

Brown, W. (2010). Walled States, Waning Sovereignty. New York: Zone Books.

Butler, J. (2009). Frames of War: When Is Life Grievable? London: Verso.

Lacan, J. (1966). Écrits. Paris: Seuil.

Mbembe, A. (2016). Politiques de l’inimitié. Paris: La Découverte.

Žižek, S. (2008). Violence. London: Profile Books.






Psicosomatica. Una lettura integrata


1. Dal dualismo al legame corpo-mente

Per secoli la medicina occidentale ha oscillato tra due poli: da una parte l’approccio organicista, che riduceva la malattia al corpo biologico; dall’altra visioni spiritualiste o psicologiche, che spiegavano il disturbo a partire dalla mente. La psicosomatica contemporanea cerca di superare questo dualismo cartesiano. Il corpo non è solo macchina, e la mente non è solo pensiero: la persona è un’unità complessa, in cui reti neuronali, affetti e simboli interagiscono in modo costante.


2. La prospettiva psicoanalitica

Già Freud aveva colto come sintomi corporei potessero funzionare da conversione di conflitti psichici. Nelle isterie di fine Ottocento, ad esempio, paralisi o dolori non corrispondevano a lesioni organiche, ma a una messa in scena del desiderio inconscio.
Lacan radicalizza questa prospettiva: il corpo, dice, non è mai naturale, ma sempre corpo parlante, inciso dal linguaggio. I sintomi psicosomatici, in questa chiave, non si riducono a un messaggio da decifrare, ma segnalano un punto in cui il reale del corpo eccede il senso e si inscrive senza mediazione simbolica. La clinica psicoanalitica invita quindi ad ascoltare il paziente nella sua singolarità, evitando sia riduzionismi biologici sia interpretazioni forzate.


3. Neuroscienze e stress cronico

Le neuroscienze hanno documentato come lo stress cronico o i traumi precoci possano modificare profondamente i sistemi neuroendocrini e immunitari. L’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), attivato nelle risposte di allarme, se iperstimolato produce alterazioni ormonali che aumentano la vulnerabilità a patologie cardiovascolari, autoimmuni e oncologiche. Queste scoperte mostrano la circolarità tra psiche e soma: emozioni e contesti relazionali incidono biologicamente, senza che sia necessario opporre spiegazioni “organiche” a spiegazioni “psichiche”.


4. La malattia come significazione

Molti pazienti non vivono la malattia solo come un dato medico, ma la inscrivono in una narrazione personale: “mi è venuto l’infarto dopo la morte di mia moglie”, “l’ulcera mi è esplosa nel periodo di mobbing”. Qui la psicosomatica mostra il suo volto più umano: la malattia diventa un testo su cui il soggetto scrive, a volte senza volerlo, ciò che non riesce a esprimere con le parole. La medicina narrativa, sviluppata negli ultimi decenni, conferma l’importanza di dare spazio a queste storie, perché la cura passa anche attraverso la ricostruzione di un senso.


5. Clinica integrata: alcuni esempi

  • Ulcera gastrica: oggi sappiamo che l’Helicobacter pylori è un fattore determinante, ma lo stress ne influenza l’insorgenza e l’aggravamento. La terapia più efficace integra farmaci e supporto psicologico, per contenere ansia e conflitti che riattivano la sintomatologia.
  • Cardiopatie: fattori biologici come ipertensione o colesterolo elevato si intrecciano con tratti psicologici (aggressività repressa, solitudine cronica) e con condizioni sociali (stili di vita, precarietà). Un intervento esclusivamente farmacologico rischia di essere parziale.
  • Oncologia: non esiste una “personalità cancerogena”, ma numerosi studi mostrano come sostegno psicologico, relazioni significative e senso di vita possano migliorare decorso e risposta alle cure. La malattia, in questo campo, diventa occasione di rielaborazione esistenziale.


6. Dimensione sociale e culturale

Il corpo non si ammala solo “in privato”: porta i segni di un contesto sociale. Disturbi da stress lavoro-correlato, burn-out, ansia da prestazione o depressione reattiva mostrano come il discorso capitalista lasci tracce somatiche. In questo senso la psicosomatica diventa anche critica sociale: invita a interrogare condizioni di vita, ritmi produttivi, mancanza di reti di sostegno. La malattia non è mai solo dell’individuo, ma sempre inscritta in un campo collettivo.


7. Un modello a tre livelli

Una lettura integrata può articolarsi su tre piani:

  1. Biologico: il corpo come organismo, con i suoi meccanismi cellulari, immunitari e neuroendocrini.
  2. Psichico: conflitti, difese e fantasmi inconsci che prendono forma attraverso il corpo.
  3. Simbolico-sociale: il modo in cui il linguaggio, la cultura e le relazioni definiscono la percezione della malattia e orientano la cura.


8. Conclusione

La psicosomatica non cerca di attribuire alla mente la “causa” delle malattie, ma di leggere la malattia come punto di intersezione tra corpo, psiche e società. Integrare medicina, neuroscienze e psicoanalisi significa riconoscere che il corpo non è soltanto un organismo che funziona, ma anche un corpo che parla, che soffre e che chiede di essere ascoltato. La sfida è costruire dispositivi di cura capaci di tenere insieme questi diversi livelli, senza riduzionismi, e restituire al paziente un posto di soggetto nella propria esperienza di malattia.


Bibliografia essenziale

  • Freud S., Opere, vol. II, Boringhieri.
  • Lacan J., Seminario XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Einaudi.
  • Marty P., La psicosomatica dell’adulto, Borla.
  • LeDoux J., Il cervello emotivo, Baldini+Castoldi.
  • Sapolsky R., Perché alle zebre non viene l’ulcera, Mondadori.
  • Fava G.A., Sonino N., The biopsychosocial model thirty years later, Psychotherapy and Psychosomatics, 2008.

Eschaton. Per un’erotica del tempo estremo

Il tempo dell’invecchiamento non è solo successione cronologica ( Chronos, χρόνος ), ma un esperire soggettivo della fine , un attraversame...