sabato 4 ottobre 2025

Gentilezza e desiderio nel Terzo Settore: la vocazione al lavoro sociale nell'era del discorso capitalista





Negli ultimi anni, il Terzo Settore sta attraversando una crisi profonda: aumentano le dimissioni volontarie, la fatica emotiva e la perdita di senso vocazionale, anche tra operatori storicamente motivati da forte impegno etico. Questo fenomeno non può essere letto solo come problema organizzativo o economico: va interpretato come un segno del mutamento del discorso sociale dominante.

Secondo Jacques Lacan, ogni epoca si struttura attorno a un “discorso” che organizza il rapporto tra soggetto, sapere e desiderio. Il discorso del capitalista (che oggi nel 2025 potremmo chiamare del tecno-capitalista o tecno-liberista), descritto da Lacan nel 1972, espelle la mancanza e mira a un godimento immediato. Nella vita quotidiana recente, questa logica si è progressivamente affermata anche in contesti in cui prima resistevano forme tradizionali di solidarietà, trasformando la cura e l’impegno sociale in prestazioni misurabili e standardizzate.

Come osserva Lorenzo Corsellini (2025), le organizzazioni rischiano di “perdere la loro anima trasformandosi in aziende del sociale”, dove la persona dell’operatore viene sostituita dal ruolo, e la motivazione personale dall’obbligo di risultato. In questo contesto, anche chi è motivato dal senso della propria vocazione può sentirsi disorientato e svuotato.


Crisi vocazionale e discorso capitalista

La demotivazione non è un problema individuale, ma un effetto strutturale del discorso capitalista. L’operatore sociale smette di riconoscersi come soggetto del desiderio, diventando funzione di un apparato che misura solo efficienza e output.

Per Lacan, “Il desiderio è il desiderio dell’Altro” (Seminario XI, 1964): il soggetto desidera essere riconosciuto come desiderante. Quando l’Altro istituzionale si riduce a macchina amministrativa, il desiderio si spegne e la crisi vocazionale si manifesta come angoscia istituzionale.

Žižek (2008) osserva che il capitalismo contemporaneo cattura il desiderio invece di reprimerlo, orientandolo alla prestazione e svuotandolo di senso. La demotivazione riflette quindi la penetrazione del discorso capitalista anche nei legami sociali quotidiani, a scapito delle pratiche solidali tradizionali che in passato garantivano un senso di continuità e appartenenza.


Gentilezza organizzativa come pratica simbolica

In questo scenario, la gentilezza organizzativa emerge come pratica di riconoscimento. Non è cortesia superficiale o remissività, ma un approccio relazionale che costruisce senso, benessere e fiducia condivisa.

Silvia Guetta (2023) sottolinea come la gentilezza integri cura della relazione, responsabilità e professionalità, diventando una competenza che sostiene un ambiente lavorativo positivo. Essa reintroduce un Altro capace di ascoltare e riconoscere il soggetto, ristabilendo legami simbolici indeboliti dal discorso capitalista.

In chiave lacaniana, la gentilezza integra aspetti del discorso dell’analista, offrendo spazio alla parola, sospendendo la funzione riduttiva della prestazione e permettendo al soggetto di emergere. Non è solo valore etico, ma strumento simbolico di recupero del soggetto, contrastando la riduzione dell’operatore a funzione e ripristinando la centralità del desiderio nel lavoro sociale.

Angela Gallo (2021) evidenzia che le organizzazioni gentili creano condizioni in cui ogni operatore può ritrovare il senso del proprio contributo. L'autrice osserva che la gentilezza rigenera i legami di fiducia, trasformando controllo in parola e produttività in coordinazione simbolica. In tal modo, l’ambiente organizzativo diventa più resiliente e capace di sostenere anche i momenti di difficoltà emotiva.


Gentilezza, transfert e azione politica

La fidelizzazione degli operatori non dipende solo da incentivi materiali, che restano comunque necessari, ma soprattutto dal riconoscimento simbolico. La gentilezza, intesa come linguaggio e posizione soggettiva, opera come transfert istituzionale: il soggetto resta fedele all’organizzazione che gli restituisce parola e ascolto.

Secondo Hannah Arendt (1958), l’agire umano è politico perché crea un mondo comune e uno spazio in cui i legami si mantengono e il senso condiviso si rinnova. La gentilezza, come pratica organizzativa, diventa una forma concreta di azione politica, riattivando il desiderio e contrastando gli effetti depotenzianti del discorso capitalista anche nella vita quotidiana.


Conclusione

La crisi vocazionale nel Terzo Settore riflette l’erosione del legame simbolico e del desiderio, indotta dalla penetrazione del discorso capitalista. La gentilezza organizzativa, intesa come competenza relazionale e pratica simbolica, offre un percorso per contenere la crisi, riattivare il desiderio e favorire la fidelizzazione degli operatori. Essa permette di trasformare la prestazione in riconoscimento, l’ordine in relazione e la routine in azione politica condivisa, integrando il principio del discorso analitico nella vita quotidiana del lavoro sociale e combinando riconoscimento simbolico e incentivi materiali in un approccio organico.


Bibliografia

Arendt, H. (1958). Vita activa. La condizione umana. Il Mulino.

Corsellini L. (2024), "La mancanza vocazionale, le dimissioni volontarie e la crisi delle organizzazioni cooperative: una ricerca esplorativa" in La formazione alla ricerca, Università di Firenze 

Gallo, A. (2021). Competenze e sentimenti in azione

Guetta, S. (2023). Professionalità e gentilezza per costruire benessere. In Sistemi educativi, Orientamento, Lavoro, Università di Firenze.

Lacan, J. (1964). Il Seminario, Libro XI: I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi. Einaudi.

Lacan, J. (1972). Discorso del capitalista, in Altri scritti. Einaudi.

Žižek, S. (2008). Il soggetto scabroso. Tragedia, eros, politica. Raffaello Cortina.







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