giovedì 28 agosto 2025

Stress

Stress e discorso comune

Nella vita quotidiana la parola stress viene usata per indicare tensione, fatica, sovraccarico. È il linguaggio del corpo e delle emozioni che “non ce la fanno più”. La psicologia tradizionale lo descrive come squilibrio tra richieste esterne e risorse interne. La psicoanalisi, invece, invita a interrogarsi non solo su “quanto pesa” lo stress, ma sul rapporto soggettivo con la richiesta: perché un compito diventa insostenibile per quel soggetto e non per un altro?

Esempio: due studenti affrontano lo stesso esame. Uno lo vive con insonnia e panico, l’altro come stimolo. Non è la difficoltà oggettiva a determinare lo stress, ma il rapporto singolare che ciascuno ha con la domanda dell’Altro (genitori, professori, società)


La prospettiva psicoanalitica

Per la psicoanalisi, lo stress non è riducibile a un eccesso di stimoli o a un deficit di adattamento. Esso segnala il punto in cui il soggetto si confronta con una domanda che tocca il suo desiderio e il suo rapporto con l’Altro. Si colloca nella tensione tra:

Il dovere: ciò che l’Altro sociale impone (lavoro, produttività, risultati).

Il desiderio: ciò che il soggetto vuole veramente, spesso inconscio.

Il corpo: luogo in cui questa contraddizione si inscrive.

Esempio: un giovane padre, oberato da lavoro e famiglia, sviluppa gastrite cronica. In analisi emerge che vive le richieste come “impossibili da soddisfare”, segnale di un conflitto tra dovere e desiderio.


Stress e discorso capitalista

Lacan descrisse il discorso capitalista come un ordine sociale che promette soddisfazione immediata, ma spinge il soggetto in un ciclo infinito di prestazioni. Lo stress contemporaneo può essere letto come effetto di questa logica: nessun traguardo basta, perché la richiesta non ha fine. Quando il corpo cede, si rivela il limite della macchina prestazionale.

Esempio: una manager racconta di controllare le mail anche di notte, incapace di staccare. Lo stress diventa segnale che la promessa di “successo totale” si è trasformata in prigionia.


Il sintomo e il reale

Lo stress si manifesta nel corpo: insonnia, tachicardia, tensioni muscolari, gastriti. È il reale del corpo che non obbedisce più. La psicoanalisi non riduce questi fenomeni a semplici disturbi da eliminare, ma li legge come sintomi, modi singolari con cui il soggetto testimonia del suo disagio.

Esempio: una studentessa sviluppa crisi di panico in prossimità degli esami. Non è la quantità di studio a schiacciarla, ma l’angoscia di deludere la madre, che investe su di lei un ideale di perfezione.


Stress e inconscio

Dietro lo stress spesso si nasconde una domanda inconscia: “Cosa vogliono da me?”, “Qual è il mio posto?”, “Che senso ha ciò che faccio?”. Non basta ridurre la tensione: occorre dare parola al soggetto, permettere che emerga il suo modo singolare di rispondere al desiderio dell’Altro. Lo stress diventa così una via d’accesso al cuore della questione soggettiva.


Una bussola etica

La psicoanalisi non offre tecniche di rilassamento né ricette universali. Propone piuttosto un’etica: non adattare il soggetto a un sistema che lo consuma, ma aiutarlo a riconoscere ciò che per lui ha valore. In questo senso, lo stress non è solo un nemico da eliminare, ma può trasformarsi in occasione di cambiamento, passaggio da un eccesso che schiaccia a una domanda di senso che orienta.





Problematiche psicotiche


1. La psicotizzazione come struttura soggettiva

Dal punto di vista psicoanalitico, i problemi psicotici non vanno ridotti a un insieme di sintomi isolati, ma vanno compresi come espressione di una struttura soggettiva specifica. In particolare, la psicosi secondo Lacan si caratterizza per la forclusione del Nome-del-Padre, ossia l’assenza di un significante fondamentale che possa mediare tra il soggetto e la realtà simbolica. Questo vuoto simbolico differenzia la psicosi dalla nevrosi e dalla perversione, dove il significante padrone è presente e permette al soggetto di articolare il proprio desiderio e di confrontarsi con la legge sociale.

2. Manifestazioni cliniche

La psicotizzazione si manifesta attraverso diverse modalità cliniche. Tra le più evidenti vi sono allucinazioni e deliri, che rappresentano tentativi del soggetto di colmare il vuoto simbolico con costruzioni proprie, spesso non condivisibili socialmente. Il delirio, in questo senso, non è un semplice errore cognitivo, ma una soluzione soggettiva che cerca di rendere stabile un mondo percepito come incerto o minaccioso. A queste si aggiungono i disturbi della percezione, in cui il reale può apparire instabile o frammentato, e le somatizzazioni, con il corpo che diventa luogo di regolazione del reale quando manca un appoggio simbolico.

3. Dinamiche psicoanalitiche

Dal punto di vista dinamico, la psicosi è caratterizzata da una difficoltà intrinseca a sostenere il reale. La forclusione implica che il soggetto non ha a disposizione il significante che nella nevrosi permette di rinviare, mediare e simbolizzare l’esperienza. Questo genera angoscia intensa e può sfociare in episodi psicotici acuti, soprattutto quando il reale invade il soggetto senza mediazioni simboliche. In risposta, il soggetto psicotico costruisce modalità di difesa proprie, che si manifestano come comportamenti eccentrici, isolamento sociale o, talvolta, come creatività simbolica intensa.

4. Il ruolo dell’analista

L’approccio psicoanalitico ai problemi psicotici non punta a “riempire” il vuoto simbolico, ma a offrire un sostegno simbolico flessibile, che consenta al soggetto di affrontare il reale senza esserne travolto. In analisi, questo può tradursi in una funzione contenitiva del linguaggio: l’analista non interpreta come nel trattamento nevrotico classico, ma accompagna il soggetto nella costruzione di punti di riferimento simbolici stabili, anche minimi. Il linguaggio diventa così un supporto per il soggetto, più che uno strumento di rivelazione dell’inconscio.

5. Interventi educativi e sociali

Dal punto di vista educativo e sociale, comprendere la struttura psicotica è fondamentale per modulare gli interventi. Routine, rituali e simbolizzazioni condivise possono fungere da ancore simboliche, aiutando il soggetto a orientarsi nella realtà quotidiana. Lavorare in gruppo, ad esempio, richiede attenzione al ritmo, alla prevedibilità e alla possibilità di riconoscere e rispettare i limiti del reale percepito dal soggetto. La rete di supporto, che includa educatori, psicologi e operatori socio-sanitari, diventa così essenziale per garantire stabilità e coerenza.

6. Implicazioni sociali e politiche

La prospettiva lacaniana invita a considerare il problema psicotico non solo clinicamente, ma anche politicamente e socialmente. La psicosi mette in luce quanto il tessuto simbolico sia cruciale per la convivenza e quanto la fragilità del significante padrone possa rendere difficile il rapporto del soggetto con la società. In quest’ottica, gli interventi psicoanalitici e educativi diventano parte di una pratica più ampia di sostegno alla soggettività, volta non a normalizzare, ma a permettere al soggetto di trovare forme proprie di relazione con il mondo e con gli altri.

7. Conclusione

In sintesi, i problemi psicotici, letti attraverso la lente psicoanalitica, non sono semplicemente malattie o disturbi comportamentali, ma manifestazioni di una struttura soggettiva caratterizzata dalla forclusione del Nome-del-Padre. Riconoscere questa struttura consente interventi più adeguati, basati sul sostegno simbolico, sulla coerenza educativa e sulla costruzione di punti di riferimento stabili che permettano al soggetto di vivere il reale senza esserne sopraffatto.


domenica 24 agosto 2025

Tutto quello che resta di te – Trauma, memoria e resilienza tra le generazioni

Locandina del film con l'intera famiglia



“Io sono il mare: nelle mie profondità le perle sono nascoste; ma hanno forse chiesto al sommozzatore dei miei gusci?”


Tutto quello che resta di te (All That’s Left of You, 2025, in anteprima nelle arene estive), diretto e interpretato da Cherien Dabis, è un film drammatico che esplora la storia di una famiglia palestinese attraverso tre generazioni, mettendo al centro il trauma intergenerazionale, la perdita e la memoria. La regista palestinese-americana, nota anche per il suo lavoro televisivo in Ozark e The Sinner, porta sullo schermo una narrazione intima, che intreccia il vissuto individuale con la storia collettiva


Una storia familiare dentro la Storia

La vicenda prende avvio a Jaffa, durante la Nakba del 1948, con i nonni costretti a lasciare la loro terra di aranci. Negli anni dell’Intifada del 1988, la morte del figlio maggiore Sharif diventa il punto nodale del trauma familiare. Infine, il trasferimento in Canada apre un nuovo capitolo: i figli della terza generazione devono affrontare il peso della diaspora, cercando un equilibrio tra le radici e la nuova vita.

La voce narrante è quella della madre Hanan (interpretata dalla stessa Dabis), che intreccia ricordi e vissuti collettivi, trasformando la storia di una famiglia in un racconto universale sulla trasmissione del dolore e della memoria.

Personaggi e funzioni simboliche

Ogni personaggio incarna un aspetto diverso dell’elaborazione del trauma:

Hanan: la soggettività femminile come luogo di cura e resilienza, capace di trasformare il lutto in memoria condivisa.

Salim (Saleh Bakri): insegnante e amante della letteratura araba, rappresenta la funzione culturale; attraverso la parola e il sapere apre spazi simbolici di elaborazione.

Sharif: il figlio ucciso negli scontri, resta il trauma originario che costringe la famiglia a confrontarsi con lutto e colpa.

Noor: il figlio minore, porta con sé la complessità della diaspora, costretto a negoziare identità e appartenenza in una nuova terra.


Lingua, cultura e Nome-del-Padre

Uno dei fili più forti del film è il ruolo della lingua araba. Le parole, le poesie, i proverbi custodiscono la memoria e fanno da legame tra le generazioni. In termini simbolici, ad essere “perla nascosta”, è il lutto trasformato in parola, cultura e racconto.

Qui la lingua e la cultura assumono la funzione del Nome-del-Padre: un punto di ancoraggio simbolico che permette di non restare imprigionati nella ripetizione traumatica. È ciò che consente di trasformare la perdita in memoria, e la ferita in continuità.

La poesia finale di Hāfiẓ Ibrāhīm

Il film si chiude con la poesia “La lingua araba piange la sua sorte” di Hāfiẓ Ibrāhīm. L’immagine del mare che custodisce perle diventa il simbolo della memoria culturale: ciò che è doloroso può essere trasformato, simbolizzato, reso trasmissibile. È la parola a impedire che il lutto resti ferita muta, dando alla famiglia e allo spettatore la possibilità di integrare il trauma.

Un racconto intimo e universale

Con regia sensibile e interpretazioni intense, Cherien Dabis offre più di un affresco storico palestinese: mette in scena un dramma familiare che parla a tutti. Tutto quello che resta di te mostra come le famiglie, attraverso la lingua, la cultura e il Nome-del-Padre, possano trasformare la violenza subita in memoria condivisa. Un film che interroga sul rapporto tra trauma e resilienza, tra perdita e continuità, e che offre una riflessione universale sulla forza della trasmissione intergenerazionale.







sabato 16 agosto 2025

🌗 Disturbo bipolare: una lettura diversa con Lacan

Quando sentiamo parlare di disturbo bipolare pensiamo subito alle oscillazioni tra mania e depressione.

La psichiatria moderna lo descrive come una malattia caratterizzata da fasi di umore opposto: da un lato l’euforia incontenibile, dall’altro la tristezza profonda.

👉 Ma in psicoanalisi lacaniana le cose si guardano in un altro modo.
Per Lacan, non esistono malattie psichiche definite solo da sintomi: esistono soggetti con un rapporto singolare al linguaggio, al desiderio e al godimento.


📌 1. Non “una malattia”, ma un modo di stare nel mondo

Per la psichiatria classica, il bipolare è un disturbo unitario che si cura con farmaci stabilizzatori dell’umore.
Per Lacan, invece, queste oscillazioni sono l’effetto di come un soggetto riesce – o non riesce – a trovare un appoggio simbolico per regolare il proprio rapporto con il reale.

Esempio: due persone diagnosticate come “bipolari” possono vivere storie totalmente diverse. Una può essere un nevrotico che alterna slanci creativi e cadute depressive; un’altra può essere un soggetto psicotico che si difende dalla caduta nel vuoto con momenti maniacali.


⚡ 2. La mania: l’eccesso senza limite

La fase maniacale è caratterizzata da energia senza sosta, pensieri veloci, senso di onnipotenza.
In Lacan, questo può essere letto come un momento in cui il soggetto si lascia travolgere da un godimento senza più il freno del simbolico.

Esempio: un paziente racconta di aver dipinto giorno e notte senza dormire, convinto di dover “salvare il mondo” con la sua arte. Non c’è più spazio per il desiderio, ma solo per l’urgenza del godimento.


🌑 3. La depressione: il vuoto e il non senso

La fase depressiva, al contrario, è dominata dal blocco e dalla perdita di senso. Il soggetto si percepisce inutile, senza desiderio, identificato al “niente”.

Esempio: una donna che in fase maniacale organizzava feste e progetti senza sosta, durante la depressione non riusciva nemmeno ad alzarsi dal letto, convinta che la vita non avesse più motivo.


🔀 4. Non una struttura, ma un fenomeno

Lacan non riconosce il “bipolare” come una struttura clinica autonoma.
Per lui, le strutture fondamentali restano tre: nevrosi, psicosi, perversione.
Le oscillazioni maniacali e depressive sono fenomeni che possono comparire dentro queste strutture.

Esempio clinico:

  • Un nevrotico può vivere fasi depressive come esito di conflitti inconsci irrisolti, e fasi maniacali come difesa dall’angoscia.
  • Un soggetto psicotico, invece, può avere episodi maniacali quando manca il Nome-del-Padre a limitare l’invasione del godimento.


🪢 5. Il Nome-del-Padre e il limite

Per Lacan, il punto chiave è il rapporto con il Nome-del-Padre: quel significante che introduce la Legge, il limite, la castrazione simbolica.
Quando manca, il soggetto resta esposto a oscillazioni estreme: troppo pieno (mania) o troppo vuoto (depressione).

Esempio: un ragazzo alterna periodi in cui sogna di fondare una grande impresa tecnologica a momenti in cui si chiude in camera e smette di parlare. Ciò che manca è un punto simbolico stabile che gli dia un orientamento.


🛠️ 6. Il lavoro analitico

Cosa fa allora la psicoanalisi?
Non cerca di “curare il bipolare” come etichetta, ma di lavorare con la singolarità del soggetto. L’obiettivo è aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di annodare il desiderio e il godimento.

Esempio: in analisi, una paziente ha imparato a riconoscere che la sua iperattività maniacale nascondeva l’impossibilità di tollerare la tristezza. Nominare questa dinamica le ha permesso di dare forma a un equilibrio più vivibile.


🔑 Conclusione

La psichiatria vede il disturbo bipolare come una malattia da stabilizzare con farmaci.
La lettura lacaniana, invece, lo considera un modo soggettivo di rapportarsi al godimento.
Non si tratta di negare l’utilità dei farmaci, ma di ricordare che dietro i sintomi c’è sempre un soggetto unico, con la sua storia e il suo desiderio.

💡 Messaggio finale: più che “curare il bipolare”, la sfida è accompagnare ogni persona a inventare la propria strada tra eccesso e vuoto, trovando un modo singolare di stare nel linguaggio e nel mondo.






giovedì 14 agosto 2025

🌴La vacanza come performance. Tra social, desiderio e il bisogno di raccontarsi


📸 Dal riposo alla vetrina

Un tempo la vacanza era soprattutto pausa: tempo sottratto al lavoro per riposare, cambiare aria, rallentare.

Oggi, per molti, è anche vetrina pubblica.

Si parte con un piano mentale di foto e video “da postare”.

Si scelgono luoghi anche in base alla loro “instagrammabilità”.

Ogni momento diventa contenuto più che esperienza.

Esempio: invece di godersi il tramonto, si passa mezz’ora a trovare l’angolo giusto e il filtro perfetto.


🏆 Il viaggio come status

Il sociologo Pierre Bourdieu parlerebbe di capitale simbolico: la vacanza diventa un modo per mostrare un certo livello culturale o economico.

Più il viaggio è esclusivo o “avventuroso”, più cresce il valore sociale di chi lo racconta.

Non importa solo dove si va, ma come lo si presenta.

Esempio: un trekking in un posto remoto vale più di un week-end al mare… almeno sul feed di Instagram.


🎭 Lo spettacolo secondo Debord

Guy Debord, ne La società dello spettacolo, scriveva che “tutto ciò che era vissuto direttamente si è allontanato in una rappresentazione”.

Nella vacanza-performativa:

La foto della spiaggia conta più della spiaggia stessa.

Il video dell’escursione diventa più importante dell’escursione.

Esempio: tornati a casa, si rivedono più le foto che i ricordi mentali del momento.


🪞 Una lettura lacaniana

Per Lacan, la vacanza così vissuta appartiene al discorso del capitalista: l’esperienza è guidata non dal desiderio autentico, ma dalla domanda dell’Altro (“mostrami che sei felice e interessante”).

Si costruisce un “io vacanziero” ideale, misurato dai like.

Il godimento si sposta dal vivere al mostrare.

Esempio: la vera soddisfazione arriva quando arriva il commento “Che invidia!”


🌀 Il vuoto del desiderio

In Lacan il desiderio non si colma mai: ogni scatto “perfetto” apre subito la ricerca di quello successivo.

Non si cerca tanto il luogo, ma la conferma dell’Altro.

Il rischio è tornare più stanchi di prima, con la sensazione di non aver vissuto davvero.

Esempio: vacanza finita, già si pensa a “dove andare l’anno prossimo per fare ancora meglio”.


🧩 Il racconto come sinthomo

Non sempre, però, il racconto pubblico è solo alienazione.

Lacan chiamava sinthomo quel modo singolare di tenere insieme il reale, il simbolico e l’immaginario.

Per alcuni, postare foto e storie è un diario pubblico che:

Ordina e dà senso all’esperienza.

Protegge dall’angoscia del vuoto.

Crea una trama che lega momenti della vita.

Esempio: c’è chi, grazie al racconto della vacanza, riesce a ritrovare continuità in un periodo di caos personale.


🔍 Cattura o creazione?

La chiave è capire:

Cattura immaginaria → Racconto dettato solo dalle aspettative sociali.

Funzione sinthomatica → Racconto che sostiene il desiderio e il proprio modo di stare al mondo.


🌱 Verso una vacanza desiderante

Si può vivere la vacanza anche fuori dalla gabbia della performance:

🌿 Scegliere luoghi non dettati dal trend.

💤 Lasciare spazio alla noia e all’imprevisto.

📵 Tenere per sé momenti senza foto né post.

Esempio: un viaggio in un posto “banale” ma amato fin dall’infanzia può dare più gioia di una meta da copertina.

In sintesi: la vacanza oggi può essere performance, status, spettacolo. Ma può anche, se vissuta con un certo scarto dall’Altro, diventare un’occasione per ascoltare il proprio desiderio — che non sempre coincide con ciò che “fa scena”.







mercoledì 13 agosto 2025

Madre e Donna: una questione di integrazione in psicoanalisi

 In psicoanalisi, la questione dell’integrazione tra la madre e la donna riguarda il modo in cui ogni soggetto riesce (o non riesce) a pensare, sentire e vivere che la figura materna non esaurisce la femminilità, e che la donna amata o desiderata può includere anche aspetti materni. Questa integrazione non è scontata e, se non avviene, può produrre scissioni, idealizzazioni e difficoltà nelle relazioni affettive e sessuali.


1. Lato maschile: dalla scissione alla sintesi

Freud descrive una tendenza maschile inconscia a scindere la donna in due figure: la Madonna (oggetto di amore tenero e idealizzato) e la prostituta (oggetto di desiderio erotico). È un meccanismo che protegge il legame materno dalla sessualità, ma che può rendere impossibile amare e desiderare la stessa persona.

Lacan riformula questa dinamica notando che, per il soggetto maschile, la madre è già una donna desiderante di altro (del Nome-del-Padre, o del significante fallico). Accettare questa verità è un passaggio essenziale: permette di vedere la donna non come “madre pura” o “oggetto erotico degradato”, ma come un soggetto complesso, con lati materni e lati erotici.

Esempio:

Un uomo in analisi racconta che con la moglie prova affetto ma non attrazione sessuale, mentre con altre donne prova desiderio ma nessun sentimento. L’analisi fa emergere che, a livello inconscio, associare il desiderio sessuale a una figura “materna” è vissuto come incestuoso. Il lavoro clinico consiste nell’elaborare l’idea che la sessualità possa esistere anche all’interno di un legame amoroso senza “corrompere” l’immagine della madre.


2. Lato femminile: dall’identificazione materna alla propria posizione di donna

Per Freud, la bambina ama e si identifica inizialmente con la madre, ma deve poi spostare l’investimento verso il padre per accedere alla propria femminilità. La sfida sta nel mantenere un legame positivo con la madre pur differenziandosi da lei.

Lacan aggiunge che, per una donna, la questione è più complessa: la femminilità non si riduce alla maternità, ma include un “di più” di desiderio che non è tutto preso nella funzione materna. La madre, infatti, non è mai “tutta madre”: anche lei è una donna con un desiderio che va oltre i figli. Riconoscere questo è essenziale per integrare maternità e femminilità senza conflitto.


Esempio:

Una donna, diventata madre, riferisce in analisi di sentirsi “svuotata” come donna e di temere che coltivare la propria sessualità possa essere incompatibile con l’essere una “buona madre”. L’analisi aiuta a elaborare il fatto che il desiderio non è in contraddizione con la maternità, e che la madre stessa, nella sua storia, è stata anche donna e amante.


3. Il nucleo comune: riconoscere la mancanza

In entrambi i lati, l’integrazione richiede di riconoscere due punti fondamentali:

1. La madre è un soggetto desiderante, non solo una funzione.

2. La donna non è un oggetto totale che colma ogni mancanza: resta sempre parziale.

Lacan insiste che nessuno “copre” completamente il desiderio dell’Altro: ogni rapporto è segnato da una mancanza strutturale. L’integrazione madre/donna si gioca nel tollerare questa mancanza, senza rifugiarsi nella scissione (idealizzazione da un lato, svalutazione dall’altro).


4. Quando manca l’integrazione

Lato maschile: si può amare senza desiderare, e desiderare senza amare, oscillando tra idealizzazione e svalutazione.

Lato femminile: la femminilità può ridursi alla maternità, oppure la maternità essere vissuta come ostacolo al desiderio.

In entrambi: si perde la possibilità di vivere relazioni in cui amore e desiderio possano coesistere.


Esempio clinico trasversale:

In una coppia, lui vive lei solo come madre dei figli e perde attrazione; lei, sentendosi vista solo come madre, si allontana affettivamente. L’analisi, individuale o di coppia, mira a riaprire lo spazio in cui l’altro possa essere visto e desiderato anche come soggetto, non solo come funzione.


Conclusione

Integrare madre e donna significa accettare che nella stessa persona possano convivere tenerezza e desiderio, cura e mancanza. È un lavoro psichico che richiede di sciogliere le scissioni difensive e di riconoscere nell’altro — e in sé stessi — la complessità della posizione soggettiva. È una delle sfide centrali non solo nella clinica psicoanalitica, ma anche nella vita amorosa di ciascuno.


Padre e Uomo: un’integrazione psichica complessa

 

Nella psicoanalisi freudiana e lacaniana, il “Padre” non coincide con il genitore biologico maschile. È, piuttosto, una funzione simbolica che introduce la Legge, separa il figlio dalla madre e apre lo spazio del desiderio. L’“Uomo”, invece, è la figura concreta e desiderante, con le sue qualità affettive, erotiche e sociali. Integrare queste due dimensioni significa riuscire a riconoscere nell’uomo amato, nel padre reale o in sé stessi (se uomini) la coesistenza di autorità simbolica e umanità desiderante.


1. Lato femminile: dal padre simbolico all’uomo desiderato

Per Freud, la bambina attraversa la fase edipica con un forte investimento amoroso sul padre, visto come colui che può dare ciò che la madre non ha. Quando diventa adulta, il rischio è che l’immagine del padre simbolico (forte, protettivo, normativo) non si integri con quella dell’uomo reale e imperfetto.

Lacan aggiunge che per una donna la funzione paterna è un “significante” che struttura il desiderio, ma il rapporto con l’uomo reale richiede di separare questa funzione dall’idealizzazione assoluta. Il partner non è il “Padre” ma un soggetto mancante, capace di desiderare e di fallire.

Esempio:

Una donna cerca partner carismatici e “guida” ma, una volta in relazione, si disillude rapidamente quando scopre limiti e fragilità. L’analisi le permette di riconoscere che sta cercando nell’uomo reale il Padre simbolico, senza tollerare la differenza tra funzione e persona.


2. Lato maschile: dal padre introiettato all’uomo che si è

Per il soggetto maschile, il padre è inizialmente il rivale edipico, ma anche la figura con cui identificarsi per accedere alla propria posizione sessuata. Il problema dell’integrazione nasce quando la funzione paterna interiorizzata (il “devi essere così”) rimane troppo rigida o troppo assente, impedendo di vivere la propria mascolinità in modo fluido.

Lacan distingue tra il “Padre come Nome-del-Padre” (funzione di Legge e separazione) e il “padre reale” (concreto, con i suoi fallimenti). Diventare uomo significa accettare di incarnare parzialmente la funzione paterna, ma senza identificarsi completamente in un ideale onnipotente.

Esempio:

Un uomo sente di “non essere mai all’altezza” rispetto al padre, visto come impeccabile lavoratore e capofamiglia. Nelle relazioni, o cerca di dominare per compensare l’insicurezza, o si ritira sentendosi inadeguato. In analisi, scopre che l’immagine paterna idealizzata è una costruzione difensiva e che può essere uomo anche accettando il proprio limite.


3. Il nucleo comune: distinguere funzione e persona

Sia per il soggetto maschile che per quello femminile, l’integrazione tra Padre e Uomo richiede di distinguere:

1. La funzione simbolica: il Padre come garante della Legge, del limite e della separazione dal materno.

2. La figura reale: l’uomo concreto, con il suo desiderio, la sua parzialità e la sua mancanza.

Se queste due dimensioni restano confuse, si rischia:

Di cercare nell’uomo reale un’autorità simbolica assoluta, rimanendo delusi.

Di rifiutare ogni figura paterna perché identificata solo con autoritarismo o rigidità.

Di non riuscire a incarnare, come uomini, una mascolinità che integri autorevolezza e umanità.


4. Quando manca l’integrazione

Lato femminile: il partner viene idealizzato come “salvatore” o svalutato perché non corrisponde al Padre ideale.

Lato maschile: si può oscillare tra iper-virilità rigida (per incarnare un padre ideale) e rifiuto di ogni ruolo di guida (per paura di autoritarismo).

In entrambi: difficoltà a vivere relazioni basate su autorità simbolica e parità affettiva insieme.

Esempio clinico trasversale:

In una famiglia, la madre critica il padre per la sua fragilità emotiva, mentre il figlio adolescente lo svaluta perché “non è un vero uomo”. L’analisi familiare porta a distinguere che l’uomo può essere un buon padre anche senza aderire a un modello virile rigido, e che la funzione paterna può essere esercitata in modi diversi.


Conclusione

Integrare Padre e Uomo significa riconoscere che nessun uomo può incarnare totalmente la funzione simbolica del Padre, così come nessun Padre reale può essere solo autorità senza desiderio. È un lavoro psichico che libera sia gli uomini dalla schiavitù dell’ideale onnipotente, sia le donne dalla ricerca impossibile di un partner che sia insieme figura di Legge e amante perfetto. In termini lacaniani, significa tollerare che il Nome-del-Padre sia un significante, e che l’uomo reale sia sempre “più o meno” rispetto a quell’ideale.



Integrare maschile e femminile

In psicoanalisi, maschile e femminile non coincidono con maschio e femmina in senso biologico. Sono due posizioni soggettive, due modalità di rapportarsi al desiderio, al godimento e all’Altro. Sigmund Freud e, successivamente, Jacques Lacan, hanno mostrato come queste categorie siano strutturali e simboliche, non puramente anatomiche.


1. Maschile e femminile: due logiche del desiderio

Per Freud, il maschile si lega alla logica del possesso e della funzione fallica: essere o non essere in rapporto al fallo come segno simbolico di potere e desiderio. Il femminile, invece, è connesso alla logica dell’essere — di porsi come oggetto del desiderio — e alla possibilità di un godimento “altro” rispetto a quello fallico.

Lacan precisa questa distinzione nelle formule della sessuazione:

Lato maschile: “tutto” soggetto alla legge fallica, con un limite chiaro e definito.

Lato femminile: “non-tutto” sotto la legge fallica, aperto a un godimento non regolato interamente dal simbolico.

Ogni soggetto, indipendentemente dal sesso biologico, può collocarsi su uno o entrambi i lati, in momenti diversi della vita.


2. Cosa significa integrare?

Integrare maschile e femminile non è mescolare indistintamente le due posizioni, ma riconoscere in sé la possibilità di passare dall’una all’altra e di farle dialogare.

Per un uomo, integrare il femminile può voler dire accettare di essere ricettivo, vulnerabile, di lasciarsi condurre, senza vivere questo come perdita di virilità.

Per una donna, integrare il maschile può significare assumere la propria forza fallica, affermare il proprio desiderio, senza sentirsi “mascolinizzata” o “meno femminile”.


3. Le difficoltà

Spesso, l’integrazione è ostacolata da:

Identificazioni rigide: ruoli di genere interiorizzati in modo inflessibile (“un uomo non piange”, “una donna non deve volere troppo”).

Scissione interna: vivere un lato solo nella fantasia e l’altro nella vita reale, senza contatto tra i due.

Proiezione: attribuire all’altro sesso ciò che si rifiuta in sé (un uomo che vede l’emotività solo nelle donne, una donna che vede l’aggressività solo negli uomini).


4. Esempi clinici

Caso 1 — Uomo:

Un paziente, manager di successo, vive la relazione sessuale sempre come performance. Non riesce a lasciarsi sorprendere, teme che perdere il controllo significhi essere “meno uomo”. In analisi, emergono ricordi di un padre che svalutava ogni segno di fragilità. Il lavoro lo porta a tollerare momenti di passività e ricezione nel rapporto erotico, scoprendo nuove forme di piacere.

Caso 2 — Donna:

Una paziente rifiuta offerte di avanzamento di carriera per paura di “spaventare gli uomini” e di restare sola. Nell’infanzia, la madre le aveva trasmesso che una donna desiderabile è docile e accondiscendente. L’analisi le permette di integrare la propria parte fallica, sviluppando una posizione desiderante senza sentirsi “contro natura”.


5. Perché l’integrazione è importante

Quando le due polarità sono integrate:

C’è maggiore libertà nelle relazioni e nel desiderio.

Si evitano rigidità che portano a sintomi (impotenza, frigidità, inibizione).

Si arricchisce la vita erotica, potendo alternare attività e ricettività.

Si riduce la necessità di proiettare sull’altro ciò che non si accetta di sé.


6. Direzione analitica

Il lavoro analitico verso l’integrazione passa attraverso:

1. Interpretare le resistenze a occupare l’altra posizione.

2. Elaborare le identificazioni infantili che vincolano il soggetto a ruoli rigidi.

3. Dare parola alle fantasie rimosse che contengono già elementi dell’altro lato.

4. Spostare il godimento da uno schema unico a più possibilità, tollerando l’ignoto.


Conclusione

Integrare maschile e femminile significa uscire dalla tirannia degli stereotipi e dalle scissioni interne, per abitare più pienamente la propria soggettività. Non è un traguardo che si raggiunge una volta per tutte, ma un processo continuo: si tratta di imparare a giocare su più registri, riconoscendo che dentro ciascuno c’è spazio sia per la forza che per la vulnerabilità, sia per il dare che per il ricevere.

domenica 10 agosto 2025

Prometeo e Pandora: il fuoco oggi






Nella Dialettica dell’Illuminismo, Adorno e Horkheimer mostrano come il progetto razionalista dell’Occidente, nato per liberare l’uomo dal mito, finisca per trasformarsi in una nuova forma di dominio. La ragione, emancipata dai vincoli religiosi, diventa ragione strumentale: non più ricerca di senso, ma calcolo tecnico finalizzato al controllo della natura e dell’uomo. In questo processo, il mito non scompare: ritorna mascherato nelle promesse e nelle paure della modernità.


Se assumiamo Prometeo come simbolo di questo slancio illuministico, il “fuoco” che ruba agli dèi è la conoscenza tecnico-scientifica, capace di emancipare ma anche di standardizzare e soggiogare. In chiave lacaniana, questo fuoco è il sapere (S2) che, nel Discorso Capitalista, bypassa il significante padrone (S1) e si collega direttamente all’oggetto a di godimento. Il circuito si accelera: il sapere produce oggetti, gli oggetti alimentano il desiderio, il desiderio spinge a nuovo sapere, senza passare per un limite simbolico. La punizione di Prometeo — il fegato eternamente divorato — diventa l’immagine del soggetto neoliberale, intrappolato in una produttività incessante, consumato dal proprio stesso godimento.


Pandora, inviata da Zeus come “dono” ingannevole, apre il vaso che contiene tutti i mali del mondo, lasciando dentro solo la speranza. Per Adorno e Horkheimer, Pandora rappresenta il ritorno del mito nel cuore della ragione: le catastrofi prodotte dalla tecnica — guerre totali, crisi ecologiche, alienazione — non sono accidenti esterni, ma esiti intrinseci della razionalità strumentale. Per Lacan, Pandora è il ritorno del reale: ciò che il discorso capitalista tenta di rimuovere (la castrazione, il limite) riappare come resto traumatico, come fallimento della padronanza tecnica. La speranza rimasta nel vaso è ambigua: per il capitalismo, è la promessa che un nuovo progresso risolverà i problemi creati dal precedente; per la psicoanalisi, è l’oggetto a, causa del desiderio che mantiene in moto la macchina.


Il fuoco oggi: sapere-potere e godimento

Nel mito, il fuoco di Prometeo è tecnica e cultura: il passaggio dalla dipendenza dagli dèi alla capacità umana di trasformare il mondo. Nell’epoca contemporanea, questo fuoco si è moltiplicato e frammentato: non è più una singola conquista, ma un insieme di potenze tecniche che toccano ogni dimensione del reale.


Oggi il fuoco è:

Energia: nucleare, rinnovabile, fossile — potenza fisica di trasformazione.

Spazio: esplorazione e sfruttamento economico dello spazio extraterrestre con mezzi tecnici sempre più potenti

Informazione: il calcolo algoritmico e la capacità di modellare realtà (IA, big data, simulazioni digitali).

Biotecnologia: manipolazione della vita (genomica, editing genetico, ingegneria dei tessuti).

Potere comunicativo: controllo delle reti sociali, influenza cognitiva e affettiva su scala globale.


Per Adorno e Horkheimer, questo fuoco contemporaneo è la ragione strumentale portata all’estremo: un sapere che misura, calcola e prevede, riducendo ogni cosa a materia prima manipolabile. È emancipatore e, al contempo, produttore di nuove forme di dominio. Il “fuoco” oggi è anche il sistema tecnico-economico stesso, capace di automantenersi e di imporsi come necessità storica.

Nel Discorso Capitalista, il fuoco è il flusso continuo tra S2 (sapere) e a (oggetto di godimento): ogni nuova tecnologia produce nuovi oggetti di consumo e di desiderio, che generano bisogni inediti, alimentando ulteriore produzione. È un fuoco che non si spegne, perché brucia nel registro del godimento, non solo in quello dell’utilità.

La sua pericolosità sta nel fatto che il circuito bypassa il limite simbolico: il sapere non è più mediato da una legge o da un orientamento etico, ma diretto al godimento immediato.

Il fuoco è quindi doppio:

Prometeico: potere di emancipare, creare, connettere, curare, dare forma nuova al mondo.

Pandorico: capacità di destabilizzare, inquinare, distruggere, generare effetti imprevisti che ritornano come reale traumatico.

L’intelligenza artificiale generativa, per esempio, è al tempo stesso strumento di democratizzazione del sapere e di automazione massiva della produzione simbolica, con rischi di alienazione e manipolazione.


Etica del fuoco

La questione non è spegnere il fuoco, ma ritrovare un modo di custodirlo. In termini lacaniani, significa reinserire il fuoco nel circuito del discorso dell’analista: porlo in un contesto in cui possa interrogare il soggetto, piuttosto che saturarne il desiderio. In termini adorniani, significa sottrarre la tecnica alla pura logica del dominio, riconnettendola a un progetto di emancipazione reale e non fittizia.

Prometeo e Pandora, così riletti, ci parlano della condizione umana nell’era del capitalismo avanzato: la liberazione tecnica e il limite catastrofico sono inseparabili. L’etica sta nel riconoscere questa coappartenenza, evitando sia la cieca esaltazione prometeica sia il fatalismo pandorico. Solo allora il fuoco potrà restare una risorsa per il desiderio, e non una fiamma che divora.


Riferimenti 

Adorno, T.W., & Horkheimer, M. (1944). Dialettica dell’illuminismo, Einaudi.

Lacan, J. (1972). Il seminario, Libro XVII: Il rovescio della psicoanalisi , Einaudi 

Graves, R. (1955). I miti greci. Milano: BUR.


Prometeo e Pandora: la trasgressione e il godimento



Nel mito greco, Prometeo ruba il fuoco agli dèi per donarlo agli uomini. È un atto di rivolta contro l’ordine divino (hybris), che Zeus punisce in modo duplice: con la tortura eterna del titano e con la creazione di Pandora, prima donna, come inganno e portatrice di mali.

Lacan ci invita a non leggere questi miti solo come racconti simbolici, ma come discorsi strutturanti. Il gesto prometeico può essere inteso come un atto che apre il campo del desiderio umano: l'uomo non vive più solo nella natura, ma entra nel campo della tecnica, della cultura, della mancanza, dell’Altro. Il fuoco è il significante del sapere e del desiderio.

Ma ogni apertura del desiderio ha un prezzo. Non a caso:

Zeus punisce Prometeo con la ripetizione di una sofferenza (il fegato che ricresce),

E introduce nel mondo Pandora, che porta con sé il godimento in eccesso (le sciagure),

Mettendo così l’uomo di fronte al reale che ha voluto toccare.


🔹 Epimeteo, fratello di Prometeo: il soggetto che “vede dopo

Prometeo significa “colui che prevede”. Epimeteo, invece, è “colui che capisce dopo”. È lui che accetta Pandora, malgrado il divieto del fratello. In termini lacaniani, Epimeteo è il soggetto che cade nel fantasma, che si lascia sedurre dall’immagine dell’oggetto (Pandora) senza cogliere la struttura simbolica sottostante.


🔹 Pandora come risposta alla hybris prometeica

Pandora non è solo punizione, è anche limite simbolico: una risposta femminile alla pretesa maschile di accesso illimitato al sapere e al potere. In questo senso, Lacan direbbe che è l’apparizione dell’oggetto a, l’oggetto causa del desiderio, ma anche la soglia che segnala un godimento che non si può padroneggiare.

Il desiderio di Prometeo si scontra con un resto irriducibile: la femminilità come enigma, il godimento come eccesso, la colpa come strutturale.


🔹 Una struttura simbolica: desiderio – trasgressione – colpa

Il mito, letto alla luce della psicoanalisi, mette in scena una struttura ripetitiva:

Il desiderio prometeico (sapere, potere, fuoco),

La trasgressione (furto, disobbedienza),

L’irruzione del reale (Pandora, le sciagure),

La colpa simbolica (la sofferenza eterna, la speranza chiusa).

Questo schema è valido ancora oggi: ogni volta che il soggetto tenta di colmare la mancanza, si confronta con un godimento che lo eccede. E ogni volta che il sapere si spinge troppo oltre, qualcosa ritorna: il reale, l'enigma, il sintomo.


📚 Riferimenti

Lacan, Seminario VII – L’etica della psicoanalisi → per la lettura dell’atto prometeico come oltrepassamento del limite.

Vernant & Detienne, La nascita della mitologia → per la lettura strutturale di Prometeo e Pandora.

Miller, L'Orientation Lacanienne 

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