L’identità latinoamericana si costituisce su una frattura: quella tra un passato mitico e una modernità imposta. Non si tratta solo di un problema storico o politico, ma di una questione strutturale che riguarda la soggettivazione. I miti, in questo senso, non sono meri racconti arcaici, ma dispositivi simbolici che orientano la posizione del soggetto nel mondo, definiscono la sua relazione con l’Altro, e determinano il suo rapporto con il desiderio, la legge, il corpo.
L’America Latina non è nata da un’origine pura, ma da una violenta collisione di simboli. La conquista ha imposto nuovi S1 — Dio, Re, Progresso — sovrapponendosi a quelli preesistenti senza annullarli del tutto. È in questa zona d’intersezione e conflitto che si forgiano soggettività ibride, meticce, frammentate e, allo stesso tempo, profondamente creative.
1. Il cosmo indigeno: soggetto come parte del tutto
Le cosmogonie indigene pre-colombiane non pongono il soggetto al centro, ma lo iscrivono in una rete di relazioni tra umani, spiriti, natura e divinità. In culture come quelle Quechua, Guaraní o Maya, l’essere umano non è un individuo separato, ma parte di un tessuto di reciprocità cosmica. Il mito non è narrazione secondaria, ma S1 primario che ordina il reale, dà senso al desiderio, orienta la vita quotidiana.
Ad esempio, la figura della Pachamama, la Madre Terra, non è un semplice spirito della natura, ma un principio relazionale. Onorarla significa riconoscere il proprio debito simbolico verso ciò che rende possibile l’esistenza. In chiave lacaniana, potremmo dire che il soggetto non si costituisce attorno alla castrazione e alla legge del Nome-del-Padre, ma attorno alla donazione e al rituale come forma di simbolizzazione del desiderio e della mancanza.
In questo contesto, la mancanza (manque-à-être) non è vissuta come angoscia di separazione, ma come apertura all’altro, come possibilità di circolazione simbolica. Il desiderio non si presenta come mancanza da colmare, ma come danza cosmica, come posizione dentro una rete vivente.
2. Colonialismo: forclusione e scissione simbolica
L’invasione europea produce una discontinuità violenta nel tessuto simbolico. Le autorità coloniali impongono i propri significanti — Cristo, Legge, Proprietà, Mercato — cercando di sostituire quelli autoctoni. Il soggetto colonizzato è interpellato da un Altro che non riconosce i suoi codici e che pretende di imporre una verità unica. La colonialità del sapere (Mignolo) si configura, a livello psichico, come una vera e propria forclusione dell’Altro simbolico originario.
Lacanianamente, potremmo dire che il Nome-del-Padre indigeno è espulso dal campo simbolico. Ciò non genera semplicemente alienazione, ma una spaccatura più profonda, che può assumere la forma di una psicosi culturale: la realtà non è più ordinata da un S1 condiviso, e il soggetto è costretto a oscillare tra identificazioni imposte e resistenze silenziose. L'interiorizzazione dei significanti coloniali non è mai completa: genera senso di colpa, estraneità, e un desiderio che non trova parole.
Inoltre, il corpo stesso diventa campo di battaglia: il corpo del colonizzato è disciplinato, sessualizzato, reso oggetto. Il godimento è regolato, ridotto, colpevolizzato. Ma proprio nel corpo si conservano le tracce di un sapere altro, di un desiderio che non si lascia catturare. Come nei rituali sincretici afroamericani o nelle danze guaraní, il corpo continua a parlare l’antico linguaggio dell’Altro espulso.
3. Soggettività meticce e l’antropofagia simbolica
Il soggetto latinoamericano, però, non è solo vittima della frattura. L’ibridazione, anziché solo perdita, diventa anche risorsa. Il modernismo brasiliano e la filosofia dell’antropofagia (Oswald de Andrade) propongono una strategia di soggettivazione attiva: divorare l’Altro coloniale, trasformarlo, metabolizzarlo. Come ha mostrato Suely Rolnik (2017), questa logica opera nel corpo, nell’arte, nel pensiero.
Si tratta, in termini lacaniani, di riattivare la funzione del discorso analitico: il soggetto non parla più dalla posizione dell’Altro coloniale, ma dalla propria mancanza, trasformando gli S1 ricevuti in significanti nuovi. L’oggetto a, quel resto di godimento che sfugge alla cattura simbolica, diventa centro produttivo. La mancanza, lungi dall’essere deficit, si fa matrice di creazione simbolica.
Il meticcio, il mestizo, come figura di soggettivazione, non cerca una coerenza identitaria, ma una posizione nella discontinuità. È il soggetto che abita la frontiera (Anzaldúa), che fa della dislocazione uno spazio creativo. Qui il significante padrone non si impone, ma si reinventa.
4. Decolonialità e riscrittura del legame sociale
I movimenti decoloniali contemporanei non mirano al ritorno puro all’origine, ma alla riscrittura del legame sociale. Il buen vivir, le epistemologie femministe indigene, le lotte per la giustizia ecologica e simbolica, propongono un altro ordine discorsivo: uno in cui il godimento non sia monopolio del soggetto padrone, ma sia distribuito, condiviso, articolato nel legame.
In termini lacaniani, si tratta di passare dal discorso del padrone al discorso analitico e forse a un discorso nuovo, ancora in formazione: dove il soggetto non sia ridotto a funzione del Capitale, ma possa riaprire il rapporto con il proprio desiderio nella relazione con l’Altro. Un discorso in cui il Nome-del-Padre possa rinascere come garante del legame e non come imposizione normativa.
Conclusione
La soggettivazione latinoamericana è un processo incompiuto, ma non per questo deficitario. Essa ci mostra che il soggetto non si costituisce solo attraverso la legge e la rinuncia, ma anche attraverso la creazione simbolica, la resistenza silenziosa, l’apertura all’altro. Lacan ci insegna che non esiste soggetto senza mancanza, e che proprio da questa mancanza può emergere il desiderio come forza di trasformazione.
In America Latina, la soggettivazione è sempre anche una lotta: contro l’imposizione di significanti estranei, contro la riduzione a identità fisse, contro la cancellazione dell’alterità. Ma è anche una danza, un canto, una reinvenzione continua. Un modo per dire che anche nella frattura, anche nel trauma, è possibile produrre legame, parola, vita.
BIBLIOGRAFIA
- Mignolo, W. D. (2015). America Latina e modernità. L'opzione decoloniale. Meltemi.
- Rolnik, S. (2017). Spettri dell’antropofagia. Arte, psicoanalisi e politiche del desiderio. Nottetempo.
- Anzaldúa, G. (1987). Borderlands/La Frontera: The New Mestiza. Aunt Lute Books.
- Sánchez Aguilar, A. (2019). Le più belle storie dei miti sudamericani. Gribaudo.
- Da Soller, R. (2025). Loverbar, Cüirtopia e le crepe del Borikén. DeriveApprodi.
- Lacan, J. (1969-70). Il rovescio della psicoanalisi. In Seminario XVII. Einaudi.
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