giovedì 8 maggio 2025

Miti di soggettivazione nella società cinese: tra ordine simbolico e flusso vitale



Abstract

Il presente contributo esplora i dispositivi culturali che sostengono i processi di soggettivazione nella società cinese contemporanea, focalizzandosi sul ruolo delle tradizioni taoista e confuciana, in rapporto con le trasformazioni imposte dal capitalismo postmoderno e dallo Stato autoritario. L'analisi muove da una prospettiva psicoanalitica lacaniana, integrata con le riflessioni di filosofi come Byung-Chul Han, François Jullien e Slavoj Žižek. L’articolo si propone di individuare i miti fondativi della soggettivazione cinese, mettendoli in tensione con la crisi dell’ordine simbolico occidentale e interrogando le possibilità di un atto soggettivo al di là delle coordinate culturali canoniche.

Parole chiave: soggettivazione, Cina, taoismo, confucianesimo, Lacan, capitalismo, Han, Žižek


1. Introduzione

Nel mondo occidentale la soggettivazione si struttura storicamente a partire da un confronto con la Legge, il Padre, il Nome e la loro crisi simbolica. Questo processo comporta una divisione del soggetto, che si costruisce come risposta a una mancanza strutturale e alla sua iscrizione nell'ordine dell'Altro. Diversamente, nella società cinese la costituzione del soggetto segue traiettorie differenti, più legate a un ethos della continuità, dell’armonia e del flusso vitale che a un taglio strutturante simbolico. In quest’ottica, taoismo e confucianesimo non sono soltanto filosofie o religioni, ma veri e propri dispositivi culturali di soggettivazione.

La Cina contemporanea, inoltre, rappresenta uno dei più potenti laboratori mondiali di sperimentazione politico-economica: un capitalismo autoritario e tecnologico che coniuga efficienza economica, controllo sociale e profondi riferimenti simbolici alla propria tradizione. La soggettività cinese si colloca quindi all’incrocio tra forme antiche di legame e una soggettivazione performativa contemporanea, in cui il soggetto non è più represso, ma stimolato a eccellere.


2. Taoismo: soggetto senza taglio?

Il taoismo, fondato sull’idea del Dao (道) come principio immanente e ineffabile, rifiuta la centralità della Legge e del Nome. Il celebre incipit del Daodejing – «Il Dao che può essere detto non è l’eterno Dao» – introduce un campo simbolico in cui il linguaggio stesso è sospetto, e il soggetto è invitato a svuotarsi per aderire al flusso naturale delle cose.

Come osserva Jullien (2003), l’universo taoista non conosce il conflitto interiore come motore di soggettivazione. Il Sé non si costituisce per separazione, ma per sottrazione: il soggetto si forma nel gesto di abbandonare ogni volontà personale per seguire il movimento del cosmo. In questo senso, la soggettività taoista è quasi un’antitesi del soggetto lacaniano: non si struttura attraverso la mancanza, ma si dissolve nel processo vitale.

Tuttavia, non si tratta di una psicosi culturalizzata, come si potrebbe forzatamente pensare in un’ottica lacaniana, ma di un’altra forma di economia psichica, che rifiuta l’intervento traumatico del significante e privilegia l’armonizzazione spontanea.


3. Confucianesimo: una Legge senza desiderio

Accanto al taoismo, il confucianesimo rappresenta una forma di soggettivazione più aderente a un ordine simbolico codificato. I rituali (li), la pietà filiale (xiao), i ruoli sociali definiti, costruiscono una soggettività che si sviluppa attraverso l’interiorizzazione dell’ordine morale e familiare. L’autorità del padre e dell’anziano non è imposta in modo traumatico, ma come parte di un equilibrio cosmico e relazionale.

Il confucianesimo, in questo senso, funziona come un sostituto culturale del Nome-del-Padre, ma senza lo scarto traumatico e l’interdizione tipici della struttura edipica occidentale. Si tratta piuttosto di una normatività armonica, che produce soggetti funzionali alla comunità, più che individui divisi dal proprio desiderio.

Come nota Byung-Chul Han (2014), questo tipo di soggettività è facilmente cooptabile dai dispositivi contemporanei del neoliberismo: l’enfasi sulla prestazione, sulla dedizione, sull’eccellenza individuale viene recepita senza conflitto interiore, come prolungamento di una tradizione collettiva.



4. Il soggetto nel capitalismo cinese: prestazione e controllo

Il soggetto cinese contemporaneo vive una tensione tra tradizione e innovazione. Da un lato, permane l’impronta confuciana dei ruoli e dell’appartenenza; dall’altro, il capitalismo globalizzato impone forme di soggettivazione nuove, incentrate sull’efficienza, la prestazione, la competizione.

Han (2020) descrive questa nuova configurazione come una “società della trasparenza”, in cui il soggetto è spinto a esporsi, a controllarsi, a performare. Non c’è più bisogno della Legge: è il soggetto stesso a sorvegliarsi. In questo senso, la soggettività cinese è perfettamente funzionale a un regime di auto-sfruttamento soft, in cui la soggezione non passa attraverso l’interdizione, ma attraverso l’interiorizzazione di un Super-Io che spinge a eccellere senza tregua.

Žižek (2006, 2011) spinge la riflessione più in là, notando come il capitalismo cinese riesca a funzionare senza soggetto: «un capitalismo senza inconscio». Il modello cinese realizza una forma di post-soggettivazione in cui la coerenza ideologica non è più necessaria. Si può essere confuciani nei valori, comunisti nella propaganda, capitalisti nella prassi economica – senza apparente contraddizione. Il soggetto non è più diviso, perché non è più necessario.


5. Una soggettività modulare e flessibile

Questo quadro produce un soggetto modulare, fluido, collettivo, iperadattabile. Un soggetto che non si costituisce per sottrazione, ma per accumulazione di funzioni. La clinica interculturale conferma questa configurazione: nei contesti terapeutici, il soggetto cinese spesso non presenta sintomi legati alla colpa o alla trasgressione, quanto piuttosto forme di stanchezza, isolamento, esaurimento, che Han definisce come tipiche della “società della prestazione”.

Tuttavia, anche all’interno di questo scenario, emergono atti singolari: forme di dis-identificazione, di rifiuto, di fuga simbolica o creativa, che mostrano come il soggetto non sia mai del tutto sussumibile dall’ordine culturale. Il sintomo, in questo senso, diventa il luogo in cui il soggetto, pur non essendo mai stato pienamente nominato, fa comunque esistere un vuoto.


6. Conclusione: tra mito e clinica

Il mito cinese della soggettivazione si articola tra flusso e forma, tra assenza di Legge e eccesso di norma. Non si tratta di giudicare, ma di comprendere le logiche di soggettivazione che operano in una cultura non edipica. La soggettività cinese non si forma a partire da un vuoto simbolico da colmare, ma da un pieno cosmico da abitare.

In un tempo in cui anche in Occidente l’ordine simbolico vacilla, e il soggetto si trova frammentato tra godimento, prestazione e controllo, guardare alla soggettività cinese significa anche interrogare la possibilità di un nuovo atto soggettivo: un atto che non ricada nella nostalgia del Padre, né si perda nel flusso del godimento, ma apra lo spazio per un’etica del soggetto come discontinuità, nonostante tutto.


Bibliografia

  • Han, B.-C. (2014). La società della stanchezza. Nottetempo.
  • Han, B.-C. (2020). La società senza dolore. Einaudi.
  • Jullien, F. (2003). La propensione delle cose. Cortina.
  • Lacan, J. (1975). Il seminario, Libro XI: I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi. Einaudi.
  • Žižek, S. (2006). Visions of Excess: Selected Writings on Economy, Society and Culture. Verso.
  • Žižek, S. (2011). Living in the End Times. Verso.
  • Wang, B. (2004). The Sublime Figure of History: Aesthetics and Politics in Twentieth-Century China. Stanford University Press.


Nessun commento:

Posta un commento

Eschaton. Per un’erotica del tempo estremo

Il tempo dell’invecchiamento non è solo successione cronologica ( Chronos, χρόνος ), ma un esperire soggettivo della fine , un attraversame...