Abstract
L’articolo esplora la relazione tra le principali civiltà contemporanee, come delineato da Samuel Huntington, e le strutture simboliche che le sostengono, mettendo in dialogo questa analisi con la teoria lacaniana della soggettività e del legame. In particolare, si indaga come, in un mondo multipolare attraversato da crisi e disgregazioni, possa emergere un’etica della responsabilità reciproca. Attraverso il confronto tra civiltà occidentale, islamica, sinica e altri poli culturali, si delinea il tentativo di superare sia la chiusura identitaria che l'universale astratto, aprendo la possibilità di un riconoscimento fondato sulla mancanza condivisa, sulla vulnerabilità e sul desiderio dell’Altro.
1. Introduzione: oltre lo scontro di civiltà
Samuel Huntington, nella sua celebre opera The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order (1996), ha sostenuto che il conflitto del XXI secolo sarebbe stato caratterizzato dal confronto tra diverse "civiltà", ognuna definita da radici culturali e religiose distinte. L'Occidente, l'Islam, la Cina e altre civiltà sarebbero emerse come poli di potere e valori contrapposti. Sebbene la tesi di Huntington abbia suscitato ampie critiche per il suo determinismo e la sua rigidità, il suo concetto di "scontro culturale" è rimasto una chiave di lettura delle dinamiche geopolitiche contemporanee.
Tuttavia, in un mondo sempre più interconnesso, i confini tra le civiltà non sono così netti, e le frizioni culturali si mescolano nei contesti globalizzati, nelle città cosmopolite e nei flussi migratori. La domanda centrale che emerge da questa dinamica è: può esistere una forma di etica condivisa tra civiltà, fondata sul riconoscimento reciproco e sulla responsabilità?
2. Le strutture simboliche delle civiltà: una lettura lacaniana
Lacan, nel suo seminario Il rovescio della psicoanalisi (1969-70), ha indicato che ogni civiltà si fonda su una struttura simbolica che organizza il desiderio e i legami. Le civiltà contemporanee, quindi, non sono solo unità politiche o culturali, ma strutture simboliche che plasmano la soggettività degli individui.
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L’Occidente post-cristiano, in particolare, ha attraversato un processo di svuotamento simbolico, in cui il "Nome-del-Padre" (la figura autoritaria e simbolica che organizza la vita sociale) ha perso il suo ruolo centrale. Questo ha dato origine a una soggettività che Lacan descrive come il "discorso del capitalista", un ordine simbolico che, come nota Žižek, "è centrato sul godimento senza mancanza", in cui l’individuo è spinto a competere e a consumare in modo perenne, senza mai trovare soddisfazione.
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Il mondo islamico, al contrario, continua a mantenere un S1 (Significante padrone) solido, rappresentato dalla legge religiosa e dall’autorità spirituale. Tuttavia, questa struttura simbolica è sotto pressione, in particolare con le tensioni tra sunnismo e sciismo, e con il conflitto tra la tradizione religiosa e le sfide della modernità. Lacan, nella sua teoria del S1, ci ricorda che l’ordine simbolico di una civiltà non è mai statico, ma in continua trasformazione.
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La civiltà sinica, infine, fonda la sua organizzazione simbolica sulla coordinazione armonica dello Stato e della famiglia, come delineato nel pensiero confuciano. Qui, il legame sociale è il risultato di una visione integrata del soggetto all'interno della comunità, e il riconoscimento reciproco è spesso mediato dal rispetto per l'autorità statale.
In queste diverse strutture, il riconoscimento e la responsabilità sono giocati a livelli distinti, ma il loro impatto sulle relazioni tra le civiltà è fondamentale. Come sottolineato da Axel Honneth (1992), il riconoscimento reciproco è alla base di ogni giustizia sociale, e il conflitto tra diverse forme di riconoscimento è una delle chiavi per comprendere le disuguaglianze globali.
3. Il ritorno del soggetto responsabile
Lacan ci insegna che il soggetto non nasce dall’identità, ma dalla mancanza e dalla divisione. Ogni soggetto è costituito dal desiderio di riconoscimento, ma anche dalla sua fragilità. L’etica del riconoscimento non si fonda su un universale astratto, ma sulla responsabilità verso la mancanza dell’altro. Come sostiene Paul Ricoeur (1990) nel suo concetto di "etica della responsabilità", l’essere umano è chiamato a rispondere non solo agli altri, ma anche a ciò che è vulnerabile e irriducibile.
In una situazione globale multipolare, la responsabilità non può più essere solo un atto di individualismo, ma deve riconoscere la relazione interdipendente tra i popoli e le civiltà. Judith Butler (2004) sottolinea che la vulnerabilità è ciò che ci lega come esseri umani, e che ogni forma di giustizia deve essere costruita sulla base di questo riconoscimento della nostra condizione fragile e interconnessa.
4. Verso un’etica inter-civiltà: né relativismo né imposizione
In un mondo plurale, non possiamo accontentarci di un relativismo che nasconda le disuguaglianze, né di un’imposizione universale che neghi le differenze culturali. Come argomentato da Charles Taylor (2007), un’etica inter-civiltà deve essere in grado di riconoscere le diverse strutture simboliche, ma anche di trovare spazi condivisi per il dialogo e il riconoscimento reciproco.
Un’etica della responsabilità non può imporsi dall'alto, ma deve costruirsi attraverso la comunicazione simbolica e il riconoscimento delle differenze. Derrida (1997) ha parlato di "ospitalità" come la modalità fondamentale di relazione con l’altro, dove accogliere l’estraneo senza pretese di dominio è il primo passo per una responsabilità reciproca.
5. Conclusione: un mondo comune da costruire
La crisi dell’Occidente e l’emergere di altre potenze globali non devono essere visti solo come rischi, ma come opportunità di rinnovare la nostra visione del legame sociale. Un’etica della responsabilità reciproca non implica una uniformità culturale, ma una consapevolezza della fragilità condivisa e della necessità di riconoscere l’altro come parte integrante della nostra umanità.
Questo processo, come sostiene Giorgio Agamben (2003), non passa attraverso la conquista del potere, ma attraverso l’abitare le crepe del potere stesso, attraverso pratiche quotidiane di cura, accoglienza e dialogo. È nella responsabilità condivisa che possiamo iniziare a costruire un nuovo spazio comune, fondato non su identità chiuse, ma sul riconoscimento della nostra vulnerabilità collettiva.
Bibliografia
- Agamben, G. (2003). L’amico.
- Butler, J. (2004). Precarious Life: The Powers of Mourning and Violence.
- Derrida, J. (1997). De l’hospitalité.
- Honneth, A. (1992). Kampf um Anerkennung: Zur moralischen Grammatik sozialer Konflikte.
- Huntington, S. (1996). The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order.
- Lacan, J. (1969-70). Il seminario. Libro XVII: Il rovescio della psicoanalisi.
- Ricoeur, P. (1990). Soi-même comme un autre.
- Taylor, C. (2007). A Secular Age.