1. L’adolescente e la crisi del Nome-del-Padre
Con Lacan, l’adolescenza non è una semplice fase biologica o psicosociale, ma un momento strutturale della soggettivazione. L’irruzione della pubertà non è solo un fatto corporeo: è un evento del reale che sconvolge l’economia simbolica costruita nell’infanzia. Il corpo si trasforma, si carica di godimento, e le coordinate familiari non bastano più a reggere l’angoscia che ne deriva.
In questo tempo logico, il soggetto si confronta con il vuoto del significante, con l’assenza di garanzie sull’identità sessuale, sul desiderio, sul legame con l’Altro. È il momento in cui la funzione del Nome-del-Padre – se ha tenuto – può essere rimodulata. Ma spesso, nell’epoca del declino dell’Altro simbolico, il padre è assente o svuotato, e il giovane resta esposto al reale senza mediazione.
L’adolescente si ritrova allora senza istituzione, nel senso profondo: senza luogo simbolico che lo accolga, senza discorso che gli dia posto. Ed è lì che emergono le nuove forme del sintomo, del ritiro, dell’aggressività o dell’adesione a identificazioni immaginarie rigide.
2. L’irruzione del reale e il corpo in questione
La pubertà è l’entrata del corpo nell’ordine del reale. Il godimento lo attraversa senza misura: il giovane lo sente esplodere sotto forma di angoscia, eccitazione, vergogna, attrazione, rifiuto. Il corpo non è più semplice superficie identificabile: diventa luogo opaco, enigma, perturbazione.
Lacan ci insegna che non c’è rapporto sessuale: non esiste formula simbolica che stabilisca in modo pacifico la relazione tra i sessi. Il soggetto adolescenziale si trova allora senza garanzie, in una terra di nessuno in cui deve inventare una modalità propria di stare nel desiderio.
Il rischio è che, in assenza di parola e di Altro, il godimento invada tutto: e allora si passa all’atto, al taglio, all’anoressia, al silenzio, al consumo compulsivo. Il corpo parla dove il simbolico tace.
3. Il sintomo come invenzione soggettiva
Il sintomo non è un disturbo da correggere, ma una soluzione soggettiva. È ciò che permette al giovane di sostenere il proprio desiderio là dove l’Altro è mancante o incoerente. È una scrittura del reale, un modo di “tenersi insieme”.
Nel lavoro educativo e clinico, il sintomo va ascoltato, decifrato, rispettato, non eliminato con la fretta di normalizzare. Il soggetto può iniziare a separarsene solo se trova un luogo dove il sintomo è accolto senza essere subito etichettato. Questo luogo, quando funziona, è l’istituzione come spazio simbolico: scuola, centro educativo, équipe, gruppo.
Ma quando tutto ciò manca, l’adolescente è davvero “senza istituzione”: consegnato al godimento puro o alle sue caricature ideologiche.
4. Fare istituzione: minima, mobile, transferale
Fare istituzione non vuol dire solo gestire strutture, ma occupare simbolicamente un posto nell’Altro. Una funzione educativa o terapeutica è efficace quando funge da punto di riferimento desiderante, non normativo, capace di sostenere la parola del soggetto senza riempirne il vuoto.
Nei contesti attuali – scolastici, educativi, comunitari – è spesso necessario fare istituzione minima: anche un piccolo gruppo, una presenza costante, un laboratorio, possono diventare luoghi in cui si struttura un transfert e si riapre il legame.
Là dove si lavora con soggetti “fuori discorso” (disabilità, marginalità, migrazione, fallimento scolastico), il compito è creare uno spazio dove il soggetto possa esistere come tale, anche con la sua opacità, anche con il suo rifiuto.
5. L’educatore come operatore del desiderio
L’educatore, nell’ottica lacaniana, non è colui che sa, ma colui che sostiene una mancanza senza cederla al sapere. È chi tiene aperta la questione del desiderio. In questo senso, educare in adolescenza non significa trasmettere un contenuto, ma accompagnare l’invenzione soggettiva di un modo di stare nel mondo.
È necessario rinunciare all’ideale, al mito della “presa in carico” totale. L’adolescente ha bisogno che qualcuno regga la sua domanda anche quando non la formula, anche quando la trasforma in sintomo o aggressività. L’educatore non interpreta, ma offre una presenza simbolica, una costanza, un desiderio.
Conclusione. Adolescenza come soglia: tra perdita e invenzione
L’adolescenza è una soglia strutturale. È il momento in cui il soggetto è più vicino al reale della mancanza, e dunque anche più esposto alla possibilità di inventare qualcosa di proprio.
Lacan ci invita a non avere fretta: sostenere l’enigma, accompagnare la traversata, lasciare tempo alla parola. In un mondo che chiede prestazione e adattamento, l’adolescente chiede spazio per diventare soggetto. Anche se non lo dice.
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