Extimité. Il cuore estraneo del soggetto
Il termine extimité, coniato da Jacques Lacan, rappresenta una delle sue più potenti invenzioni concettuali e linguistiche. Apparentemente paradossale, extimité fonde due poli che sembrano inconciliabili: l’“intimo” e l’“esterno”. Non si tratta di un semplice gioco linguistico: Lacan intendeva con questo termine indicare qualcosa che sovverte radicalmente il modo in cui siamo abituati a concepire il soggetto. Ciò che vi è di più intimo in noi – la nostra verità, il nostro desiderio, il nostro godimento – è anche ciò che ci risulta radicalmente estraneo.
L’inconscio, per Lacan, non è il “profondo” da esplorare in una discesa archeologica nell’interiorità, come in molta psicoanalisi classica. Non c’è un fondo da scavare, ma una struttura da annodare, un bordo da percorrere. L’inconscio è il discorso dell’Altro, e il soggetto non è altro che un effetto, una piega, una torsione di questo discorso. In questo senso, l’extimité è ciò che ci abita al cuore, ma non ci appartiene. È la presenza perturbante dell’Altro nel nostro stesso intimo.
Topologia del soggetto: il dentro che si rovescia nel fuori
Per rendere pensabile l’extimité, Lacan si appoggia a strumenti topologici. Oggetti come il nastro di Möbius o il toro permettono di concepire spazi in cui non esiste una separazione netta tra interno ed esterno. Come nel nastro di Möbius, dove percorrendo la superficie ci si ritrova dall’altro lato senza mai “uscire”, così nella struttura soggettiva il “fuori” dell’Altro si trova al cuore stesso del soggetto. Questo rovesciamento è essenziale per comprendere l’angoscia: non è solo la paura dell’Altro, ma la vertigine di riconoscere che l’Altro è dentro di noi.
L’extimité è dunque la manifestazione del Reale, di ciò che non si lascia addomesticare dal linguaggio. È l’enigma del godimento, quella jouissance che eccede il principio di piacere e sfugge alla simbolizzazione. È l’incontro con il proprio sintomo come nucleo opaco, non interpretabile fino in fondo. Lì, nel punto in cui il soggetto si sente più esposto, più vulnerabile, più incomprensibile anche a sé stesso, si rivela l’extimité.
Clinica dell’extimité: abitare l’estraneo
Dal punto di vista clinico, l’extimité impone una riformulazione radicale del compito analitico. L’analisi non è volta a ricostruire un passato rimosso, né a raggiungere una verità interiore nascosta. L’analisi è, piuttosto, un percorso che conduce il soggetto a prendere posizione rispetto all’estraneità che lo costituisce.
Il compito dell’analista non è quello di interpretare per dare un senso all’angoscia o al sintomo, ma di funzionare come supporto del vuoto, come presenza discreta che consente l'emergere del soggetto nella sua singolarità. Il soggetto, nel corso dell’analisi, non viene “liberato” da un peso interno, ma guidato a riconoscere e abitare ciò che di più irriducibile lo costituisce.
Il rischio, naturalmente, è che il soggetto tenti di colmare l’extimité con identificazioni immaginarie rigide, oppure che ne venga travolto, come può avvenire nella psicosi. Per questo, Lacan sviluppa negli ultimi seminari l’idea del nodo borromeo: tenere insieme i tre registri (Reale, Simbolico, Immaginario) è la condizione per sostenere il soggetto nella sua divisione senza crollare. Non si tratta di sciogliere il nodo, ma di ripercorrerlo, di conoscerne le torsioni, i punti di crisi, le compensazioni sintomatiche.
Educazione ed extimité: un’etica dell’ospitalità
Il concetto di extimité ha implicazioni decisive anche nel campo educativo. In ogni relazione pedagogica autentica, l’educatore si trova a fare i conti con ciò che nel soggetto educando resiste all’assimilazione, alla norma, al progetto educativo stesso. È quel punto opaco, inquietante, che non risponde agli schemi prefissati, ma che è anche la fonte più viva e imprevedibile del soggetto.
L’educazione che tiene conto dell’extimité non punta a integrare o a normalizzare a tutti i costi, ma a creare uno spazio simbolico sufficientemente stabile perché il soggetto possa costruire il proprio modo di essere al mondo. Ciò è particolarmente evidente nei contesti educativi con soggetti disabili o con migranti, dove il lavoro educativo deve confrontarsi con forme radicali di alterità.
In questi casi, l’educatore diventa una figura di accoglienza del Reale dell’altro, ma anche un punto d’appoggio per la simbolizzazione possibile. È una funzione prossima a quella analitica: non si tratta di spiegare il soggetto a sé stesso, ma di accompagnarlo nell’invenzione del proprio modo di stare nel linguaggio e nel mondo. L’extimité, qui, non è un ostacolo ma una risorsa, il luogo stesso da cui può emergere il desiderio.
Conclusione: l’estraneo che ci fonda
Nel tempo della trasparenza e dell’identità, l’extimité resta una provocazione. Ci ricorda che non siamo mai interamente padroni di noi stessi, che c’è in ognuno una parte che sfugge, che si sottrae, e che proprio questa parte è il motore del desiderio, della creazione, della relazione. In psicoanalisi come in educazione, si tratta di sopportare questo cuore estraneo, di non cedere alla tentazione di ridurlo, di contenerlo, di spiegarlo.
L’etica che ne deriva è un’etica dell’ascolto, dell’ospitalità, della non-padronanza. Non si tratta di “conoscere” l’altro, ma di incontrarlo nel punto in cui egli stesso si scopre estraneo a sé. In questo senso, l’extimité è il nome di un’umanità che non si chiude in sé stessa, ma che accetta di farsi attraversare dall’Altro. Solo così il soggetto può non solo esistere, ma es-sistere: stare fuori da sé nel punto in cui si costituisce.
Bibliografia essenziale
- Lacan, J. Écrits. Paris: Seuil, 1966.
- Lacan, J. Le Séminaire, Livre XI: Les quatre concepts fondamentaux de la psychanalyse. Paris: Seuil, 1973.
- Lacan, J. Le Séminaire, Livre XX: Encore. Paris: Seuil, 1975.
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- Miller, J.-A. “Extimité”, in La Cause Freudienne, n. 1, 1988.
- Fink, B. The Lacanian Subject: Between Language and Jouissance. Princeton University Press, 1995.
- Zupančič, A. Ethics of the Real: Kant, Lacan. Verso, 2000.
- Recalcati, M. L’uomo senza inconscio. Raffaello Cortina, 2010.
- Cifali, M. L’éducateur et l’intime. PUF, 1994
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